Un gruppo di ricercatori internazionali guidati dall’Università di Bayreuth ha lanciato una proposta che potrebbe rivoluzionare l’agricoltura biologica europea: permettere l’editing genetico nelle coltivazioni organiche per aumentare le rese e rendere il settore più sostenibile. La ricerca, pubblicata su Cell Reports Sustainability, arriva in un momento cruciale per l’Unione Europea, che punta a raggiungere il 25% di superficie agricola biologica entro il 2030 nell’ambito del Green Deal europeo, sempre più vicino al suo smantellamento definitivo.
Il paradosso dell’agricoltura biologica
L’agricoltura biologica si trova oggi di fronte a un paradosso. Mentre da un lato riduce le emissioni di carbonio e l’inquinamento da fertilizzanti e pesticidi, dall’altro richiede più terra per produrre la stessa quantità di cibo rispetto all’agricoltura convenzionale. Questo aspetto rischia di vanificare i benefici ambientali attraverso la perdita di biodiversità causata dall’espansione delle terre agricole.
“L’obiettivo del 25% di terreni biologici difficilmente garantirà una produzione alimentare sostenibile nell’Ue se la biotecnologia moderna, come le Ngt, viene esclusa dall’agricoltura biologica”, spiega Alexandra Molitorisová, ricercatrice di diritto alimentare presso l’Università di Bayreuth e prima autrice dello studio.
Attualmente, solo il 10% delle aree agricole europee è coltivato con metodi biologici. Per raggiungere l’ambizioso target del 2030, l’Ue dovrà affrontare la sfida delle rese più basse tipiche dell’agricoltura biologica, che rappresentano un ostacolo significativo per la produzione alimentare sostenibile.
Le nuove tecniche genomiche
Le Nuove Tecniche Genomiche (Ngt), conosciute anche come editing genetico, rappresentano un’evoluzione rispetto agli Ogm tradizionali. Queste tecnologie, come il sistema Crispr-Cas9 definito “forbici genetiche”, permettono modifiche estremamente precise del Dna delle piante senza inserire materiale genetico da specie non vegetali.
“Un grande vantaggio dell’editing genetico è la capacità di apportare modifiche estremamente precise ai singoli geni, più velocemente ed efficacemente rispetto ai metodi di breeding tradizionali, che spesso richiedono molte generazioni prima che un tratto desiderabile si stabilizzi”, sottolinea Molitorisová.
La distinzione è fondamentale: mentre gli Ogm tradizionali possono comportare l’inserimento di geni da organismi animali, le Ngt producono risultati teoricamente ottenibili anche con l’incrocio convenzionale, seppur in tempi molto più lunghi – decenni invece di mesi. Sostenibile per l’ambiente, ma non per i tempi di una società abituata a consumare tutto e subito.
Cosa cambia rispetto alla mutagenesi tradizionale
Un aspetto particolarmente interessante emerso dalla ricerca riguarda il confronto tra le Ngt e la mutagenesi tradizionale. Quest’ultima utilizza sostanze chimiche o radioattive per indurre mutazioni genetiche casuali e non è mai stata soggetta alla regolamentazione sugli Ogm nell’Ue, nemmeno per le aziende biologiche.
“Se la mutagenesi non fosse stata esentata dalla legislazione sugli Ogm, si stima che l’80-90% dei prodotti cerealicoli sul mercato europeo sarebbe stato soggetto all’etichettatura Ogm”, spiega Purnhagen.
Doppio standard per la produzione bio: la proposta del prof. Purnhagen all’Ue
La Commissione Europea ha recentemente proposto una regolamentazione differenziata per le colture Ngt. Alcune piante modificate (Ngt-1) potrebbero essere trattate come varietà convenzionali, mentre altre (Ngt-2) sarebbero soggette a requisiti normativi alleggeriti. Tuttavia, anche questa nuova proposta esclude le piante modificate geneticamente dall’agricoltura biologica, considerandole incompatibili con le definizioni attuali di agricoltura biologica e con le aspettative dei consumatori.
Il team di ricercatori guidato dal professor Kai Purnhagen propone invece l’introduzione di due standard biologici a livello europeo: uno per il “biologico senza Ngt” e uno per il “biologico con Ngt”. Questa soluzione garantirebbe trasparenza e libertà di scelta per la comunità biologica, affrontando anche i problemi pratici di identificazione e tracciabilità delle Ngt.
Cosa ne pensano consumatori e agricoltori
La ricerca evidenzia come i consumatori europei non distinguano chiaramente tra Ngt e Ogm tradizionali, ma esistano forti indicazioni che sarebbero disposti ad accettare queste tecnologie se producessero benefici sostanziali.
La percezione di “naturalezza” gioca un ruolo cruciale: il processo di breeding normale avviene tra varietà incrociabili, esattamente come accade con le Ngt. “I consumatori biologici si preoccupano dell’ambiente e della sostenibilità. Per gli agricoltori biologici, accettare questa tecnologia è un modo per parlare a quei consumatori”, conclude Purnhagen.
In questo contesto, i ricercatori sottolineano che la decisione finale dovrebbe spettare alle comunità di agricoltori biologici e consumatori, attraverso strumenti democratici come giurie di cittadini o di esperti. Questo approccio partecipativo potrebbe rappresentare la chiave per andare oltre le resistenze e costruire un consenso informato su una tecnologia che potrebbe trasformare l’agricoltura europea.
La sfida è complessa ma il tempo stringe: con il 2030 alle porte e obiettivi ambiziosi da raggiungere, l’Europa si trova a un bivio tra tradizione e innovazione, tra purezza ideologica e pragmatismo sostenibile. La risposta potrebbe determinare non solo il futuro dell’agricoltura biologica, ma l’intera strategia alimentare europea nell’era del cambiamento climatico. Ammesso che quest’ultimo rappresenti ancora un problema per le istituzioni.
Sul tema, potrebbe interessarti: Per un italiano su due le istituzioni hanno ridotto le politiche green (sondaggio Youtrend)