Gli squali sono tra i simboli indiscussi della potenza marina, ma potrebbero essere messi in ginocchio non da reti o arpioni, bensì da un fenomeno invisibile: l’acidificazione degli oceani. Una nuova ricerca, pubblicata su Frontiers in Marine Science, mette in discussione uno degli strumenti più iconici e vitali per questi predatori, i denti. La progressiva riduzione del pH marino legata all’assorbimento di Co₂ atmosferica non si limita a intaccare coralli, conchiglie e molluschi, ma si spinge a corrodere la dentatura degli squali, modificandone la struttura fino a comprometterne l’efficacia. In un esperimento condotto su denti di Carcharhinus melanopterus – gli squali pinna nera delle barriere coralline – mantenuti per otto settimane in vasche che simulavano i mari del 2300, i ricercatori hanno osservato un danno raddoppiato rispetto ai denti immersi in acque a pH attuale. Un dato che apre interrogativi non soltanto sulla capacità di sopravvivenza di una delle specie apicali più rilevanti, ma sull’intero equilibrio delle catene trofiche oceaniche.
Quando l’acqua diventa acida
Il processo che minaccia gli squali parte molto lontano dalle onde. Ogni anno, gli oceani assorbono circa un quarto delle emissioni di anidride carbonica prodotte dall’uomo. Questa Co₂, una volta disciolta, innesca una serie di reazioni chimiche che abbassano il pH dell’acqua marina. Negli ultimi due secoli, il livello medio globale è sceso da circa 8.2 a 8.1: un calo apparentemente minimo, ma sufficiente a indebolire gli scheletri calcarei dei coralli e i gusci di molluschi e crostacei. Le proiezioni più accreditate, citate anche dal Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, prevedono un ulteriore tracollo entro il 2300, fino a 7.3. Per organismi che dipendono da strutture mineralizzate, come denti e denticoli dermici degli squali, si tratta di una trasformazione radicale.
La ricerca guidata da Maximilian Baum dell’Università Heinrich Heine di Düsseldorf ha scelto di indagare proprio questo effetto. Sessanta denti di squalo pinna nera, raccolti senza stress sugli animali in un acquario tedesco, sono stati divisi tra due vasche: una con valori chimici vicini a quelli attuali e una con pH ridotto a 7.3. Dopo otto settimane, le differenze erano nette: aumento della corrosione delle radici, perdita della fine seghettatura e alterazioni della superficie del dente. Analisi al microscopio elettronico hanno confermato danni diffusi e un incremento delle irregolarità superficiali, che potrebbero tradursi in minore efficienza durante la cattura e la lacerazione delle prede. Un segnale che non riguarda soltanto la specie in esame: “Ci saranno effetti anche sui denti di altri predatori oceanici quando sono strutture altamente mineralizzate come quelle degli squali”, ha sottolineato Baum.
Il rischio per la catena alimentare marina
Per un predatore apicale, la dentatura non è un dettaglio estetico ma l’asse portante della sua capacità di nutrirsi. Gli squali, a differenza dei mammiferi, sostituiscono costantemente i denti: nuove file si spingono in avanti per rimpiazzare quelle perse. Ma se il ritmo delle perdite supera quello della sostituzione, l’equilibrio si rompe. Lo studio segnala che le corrosioni osservate potrebbero accelerare l’usura oltre le capacità di ricambio naturale, con impatti diretti sulla possibilità di catturare e trattenere le prede.
Questo fattore si aggiunge a pressioni già note. Gli squali affrontano una riduzione delle risorse alimentari per via della pesca industriale, che colpisce le stesse specie di cui si nutrono. Inoltre, temperature marine più alte e concentrazioni crescenti di Co₂ incidono sul metabolismo e sulla sensibilità dei loro organi sensoriali, inclusi quelli che rilevano i segnali chimici dell’acqua. Il rischio, in prospettiva, è di un predatore meno efficace, con conseguenze a cascata. La presenza degli squali è infatti cruciale per la salute degli ecosistemi marini: regolano le popolazioni di pesci e mantengono la stabilità delle barriere coralline. Un loro indebolimento potrebbe aprire la strada a squilibri difficili da correggere.
Non tutti gli studi arrivano però alle stesse conclusioni su un futuro di “squali senza denti”. Alcune ricerche precedenti hanno suggerito che la corrosione osservata potrebbe non tradursi automaticamente in una perdita funzionale: denti danneggiati potrebbero ancora riuscire a tagliare o perforare le prede, e sarà necessario verificare se le alterazioni morfologiche abbiano effetti concreti sull’efficienza predatoria. In ogni caso, la questione resta aperta e gli squali si trovano esposti a una vulnerabilità ulteriore, con esiti che dipenderanno dalla loro capacità di adattarsi a condizioni oceaniche sempre più estreme.
Adattamento o declino per i grandi predatori
Alcune ipotesi avanzate dagli stessi autori dello studio riguardano la possibilità che gli squali reagiscano aumentando la frequenza di sostituzione dei denti o migliorando i meccanismi di riparazione. La loro storia evolutiva – oltre 400 milioni di anni, comprendenti eventi climatici estremi e catastrofi naturali – mostra una notevole capacità di resilienza. Tuttavia, la rapidità dell’attuale crisi climatica rende incerto il margine di adattamento.
Le ricerche sugli effetti dell’acidificazione non sono ancora definitive. Alcuni studi, condotti su altre specie, non hanno riscontrato danni significativi alla dentatura. Le differenze potrebbero dipendere da variabili come la tipologia di dente, la composizione chimica specifica o i tassi di ricambio. Ma la prospettiva di un oceano con pH 7.3 – mai sperimentato negli ultimi milioni di anni – rende queste incertezze poco rassicuranti.
Intanto, le conseguenze certe dell’acidificazione si vedono già su coralli, cozze e crostacei, che faticano a costruire e mantenere le proprie strutture calcaree. L’aggiunta degli squali a questo elenco segnerebbe un salto qualitativo: non più solo organismi statici o di basso livello trofico, ma i vertici della catena alimentare. L’“evil twin” della crisi climatica, come viene definita l’acidificazione, potrebbe dunque erodere non soltanto i denti ma il ruolo stesso degli squali come regolatori degli ecosistemi marini.