Cop16, finanziamenti dai Paesi ricchi ai Paesi poveri e sistemi di monitoraggio per la biodiversità

Raggiunto un accordo insperato. L’obiettivo è raccogliere 200 miliardi di dollari all’anno entro il 2030
28 Febbraio 2025
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Biodiversità Canva

Un lungo applauso nella sede della Fao di Roma ha accolto l’accordo per il finanziamento della conservazione della biodiversità. L’intesa è stata trovata nell’ambito della Cop16 dopo giorni di trattative serrate e momenti di stallo e apre la strada a un nuovo approccio multilaterale che sblocca i miliardi di dollari necessari a proteggere le specie a rischio e gli ecosistemi. In un contesto geopolitico complesso, questo accordo, a tratti insperato, dimostra che il multilateralismo può ancora portare risultati concreti.

Biodiversità, chi deve pagare?

Uno degli elementi centrali dei negoziati è stato il dibattito su chi debba sostenere i costi e su come distribuire i fondi. I Paesi più ricchi si sono impegnati a mobilitare almeno 30 miliardi di dollari all’anno per i Paesi più poveri, nell’ambito di un piano ambizioso volto a raccogliere 200 miliardi di dollari all’anno entro il 2030. Queste cifre rappresentano un notevole balzo in avanti rispetto ai circa 15 miliardi di dollari stanziati nel 2022, e indicano una volontà di riallineare gli impegni finanziari per la salvaguardia della biodiversità.

Il compromesso e il ruolo dei Brics

Il compromesso, fortemente influenzato dalla proposta del blocco Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), è stato determinante per sbloccare i negoziati. I Paesi emergenti hanno dimostrato di poter contribuire a un equilibrio globale, insistendo sulla necessità di un sostegno maggiore da parte delle economie sviluppate: “I nostri sforzi dimostrano che la cooperazione internazionale può ancora portare speranza in un momento di grande incertezza geopolitica”, ha dichiarato Steven Guilbeault, ministro canadese dell’Ambiente e del Cambiamento Climatico in un’intervista al Guardian.

Rafforzamento dei meccanismi di monitoraggio

Oltre al reindirizzamento delle risorse economiche, un altro risultato fondamentale raggiunto dalla Cop16 riguarda il rafforzamento dei meccanismi di monitoraggio. Il quadro di monitoraggio, ora accettato da tutti i Paesi partecipanti, consentirà di verificare con precisione i progressi compiuti in materia di biodiversità. Ward Anseeuw, responsabile della tutela del suolo presso la Fao, ha spiegato:

“Questo è molto importante, in quanto integra gli indicatori del territorio per i diritti sulle terre, consentendoci di considerare non solo la biodiversità, ma anche chi ha effettivamente i diritti sull’uso del suolo. Questo tiene conto, quindi, anche delle popolazioni indigene, i piccoli agricoltori e le donne, che sono spesso i custodi di sistemi agricoli ricchissimi di biodiversità.”

L’introduzione di strumenti di monitoraggio efficaci è vista come essenziale per assicurare che gli impegni finanziari non rimangano solo sulla carta, ma siano tradotti in azioni concrete per la protezione e il ripristino degli ecosistemi degradati.

Obiettivi di conservazione

Anche se l’istituzione di un fondo specifico per la biodiversità non è stata accettata, l’accordo mira comunque a proteggere e ripristinare il 30% delle aree degradate entro il 2030.

Secondo il Wwf, l’esito del summit rappresenta un passo avanto, anche se le risorse attuali rimangono insufficienti. Come ha dichiarato Efraim Gomez, Global Policy Director del Wwf Internazionale: “Le Parti hanno fatto un passo nella giusta direzione. Ci congratuliamo per aver raggiunto questi risultati in un contesto politico globale difficile. C’è consenso su come procedere per mettere in atto gli accordi finanziari necessari per fermare la perdita di biodiversità e ripristinare la natura. Tuttavia, questo accordo non è sufficiente. Ora inizia il vero lavoro. È preoccupante che i Paesi sviluppati non siano ancora sulla buona strada per onorare il loro impegno di mobilitare 20 miliardi di dollari entro il 2025 a favore dei Paesi in via di sviluppo. Investire nella Natura è essenziale per il futuro dell’umanità. Grazie alla Natura, possiamo mitigare la crisi climatica, rendere gli ecosistemi e le comunità più resilienti, stabilizzare i prezzi del cibo, assorbire il carbonio che alimenta condizioni meteorologiche estreme e costringe le persone ad abbandonare il proprio territorio”.

Il fenomeno della migrazione climatica

I cambiamenti climatici, come l’aumento delle temperature, la desertificazione, l’innalzamento del livello del mare e l’intensificarsi di eventi meteorologici estremi, stanno trasformando progressivamente alcune regioni del mondo in aree inadatte alla vita. L’insostenibilità ambientale porta con sé quella sociale: a pagare le conseguenze sono soprattutto quei popoli che hanno meno responsabilità sul climate change e sulla perdita della biodiversità. Questo fenomeno è particolarmente evidente in aree vulnerabili come l’Africa subsahariana, l’Asia meridionale e il Pacifico, dove milioni di persone dipendono dall’agricoltura per la propria sopravvivenza. Anche lievi variazioni climatiche possono distruggere i mezzi di sussistenza, spingendo intere comunità a migrare.

Secondo il rapporto “Groundswell” della Banca Mondiale, entro il 2050 almeno 216 milioni di persone saranno costrette a migrare a causa delle conseguenze della crisi climatica. Le regioni più colpite includeranno l’Africa subsahariana (86 milioni di migranti previsti), l’Asia orientale e il Pacifico (49 milioni), e l’Asia meridionale (40 milioni).

La perdita di biodiversità è strettamente legata alle migrazioni forzate. Ecosistemi degradati non sono più in grado di fornire risorse essenziali come cibo, acqua e protezione contro eventi climatici estremi.

Tra questi:

  • La deforestazione accelera la desertificazione e riduce la fertilità del suolo;
  • La distruzione degli habitat naturali compromette la capacità delle comunità locali di praticare attività tradizionali come pesca o agricoltura;
  • La diminuzione della biodiversità marina, causata dall’acidificazione degli oceani e dalla pesca eccessiva, priva molte popolazioni costiere delle loro principali fonti di sostentamento.

Questi fattori rendono le popolazioni più povere particolarmente vulnerabili, poiché spesso non dispongono dei mezzi economici o tecnologici per adattarsi ai cambiamenti ambientali. La combinazione di degrado ecologico e povertà amplifica le disuguaglianze sociali, spingendo le persone a cercare condizioni di vita migliori altrove.

Il Global Biodiversity Framework, una corsa contro il tempo

L’accordo raggiunto alla Cop16 arriva più di due anni dopo il “Global Biodiversity Framework”, un piano internazionale ambizioso volto a proteggere almeno il 30% delle terre e dei mari del pianeta entro il 2030. Oggi, con un milione di specie minacciate di estinzione e la continua devastazione degli ecosistemi dovuta all’agricoltura intensiva, al consumo insostenibile e all’inquinamento della plastica, il quadro globale appare sempre più urgente. Per questo il nuovo accordo non solo mira a incrementare i finanziamenti, ma anche a garantire un monitoraggio accurato e trasparente dei progressi compiuti.

L’assenza degli Stati Uniti

Una nota negativa, seppur attesa, è la mancata partecipazione degli Stati Uniti di Donald Trump, dovuta al mancato ingresso degli States nella Convenzione Onu sulla Biodiversità. L’assenza di uno dei principali attori economici e politici può indebolire l’efficacia degli sforzi multilaterali ma Susana Muhamad, presidente della COP16, ha ricordato che l’accordo resta un risultato “storico” perché evidenzia l’importanza dell’impegno collettivo in un periodo di grande incertezza.

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