Come funziona il Fondo per proteggere ‘per sempre’ le foreste tropicali (la Cina ha detto ‘no’)

Lanciato dal presidente brasiliano Lula, promette di essere il più grande piano mai messo in campo per proteggere le foreste tropicali, fondamentali per la vita ma a rischio soprattutto per le attività umane
14 Novembre 2025
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Foresta amazzonica

Il Fondo per la protezione delle foreste tropicali (Tropical Forests Forever Facility, TFFF), lanciato ufficialmente in questi giorni dal presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva, parte azzoppato. La Cina ha fatto sapere, proprio in occasione della COP30 in corso di svolgimento nella città amazzonica di Belém, che non intende partecipare, e dunque non metterà sul piatto risorse economiche.

La defezione cinese, che si aggiunge a quella degli Stati Uniti e, almeno per ora, del Regno Unito, pesa, perché il progetto del Brasile è ambizioso, strutturato e concepito per cambiare il modo in cui il mondo finanzia la tutela della natura.

Le motivazioni di Pechino sono politiche: secondo il Dragone infatti devono essere i Paesi sviluppati a farsi carico dei finanziamenti climatici, in base al principio delle “responsabilità comuni ma differenziate” adottato dalle Nazioni Unite nel 1992.

Cos’è il TFFF e perché è diverso da qualsiasi altro fondo forestale

Il Tropical Forests Forever Facility, nelle intenzioni di Lula che lo ha fortemente voluto, è il più grande piano mai messo in campo per proteggere le foreste tropicali, elementi chiave della stabilità climatica globale particolarmente a rischio per le attività umane e per gli effetti, già in atto, dei cambiamenti climatici. A differenza del Fondo Amazzonia, il denaro finanzierebbe le foreste esistenti, dando un premio ai Paesi che abbiano un tasso di deforestazione inferiore allo 0,5%, secondo un approccio pay-for-performance: chi protegge, incassa. La virtuosità degli Stati verrà verificata ogni anno analizzando lo stato della loro copertura forestale attraverso i dati satellitari. In caso di deforestazione, degrado o incendi, il fondo decurterà i pagamenti in proporzione ai danni

Il meccanismo è quello di ‘premiare’ monetariamente Paesi e comunità per spingerli a proteggere le foreste esistenti, ribaltando la logica economica che oggi rende più conveniente tagliare alberi che conservarli. Inoltre, altro grande elemento di novità, il Fondo destinerà almeno il 20% delle risorse alle popolazioni indigene e alle comunità locali.

La struttura finanziaria: come funziona il Fondo

Il TFFF punta a raggranellare 25 miliardi di dollari dai governi e 100 miliardi dagli investitori privati e dai mercati finanziari. Le risorse verranno investite in strumenti finanziari non dannosi per l’ambiente (esclusi carbone, deforestazione e attività estrattive), con l’obiettivo di ottenere un rendimento medio del 5,5% annuo per vent’anni.

Dopo aver ripagato investitori e Paesi donatori, gli utili saranno distribuiti ai Paesi forestali virtuosi. Si stima un flusso di cassa annuale di circa 3,4 miliardi di dollari, che si tradurrebbero in 800 milioni di dollari l’anno solo per proteggere le foreste: 4 dollari per ogni ettaro tropicale conservato.

Per il Brasile, ha calcolato il Ministero delle Finanze del Paese sudamericano, ciò equivarrebbe a 26 volte in più di quanto riceve attualmente dal Fondo per l’Amazzonia, al quale peraltro l’Unione europea destinerà 20 milioni di euro, secondo quanto dichiarato oggi.

Il Fondo presenta comunque delle criticità, la prima delle quali è che se gli asset performassero male, i finanziamenti potrebbero evaporare. Anche il rendimento del 5,5% non è garantito, mentre la dipendenza da investitori privati espone il fondo a shock finanziari.

Inoltre, per alcuni esperti la soglia del 20-30% di copertura forestale per accedere ai fondi è troppo bassa.

Una risposta strutturale al fallimento del mercato

Le foreste offrono servizi ecosistemici – assorbimento CO₂, regolazione idrica, biodiversità tra gli altri – ma non hanno un prezzo di mercato. Al contrario, chi le distrugge trae profitto immediato: legname, miniere, pascoli. Il TFFF prova a risolvere questo paradosso, proponendo un modello finanziario pensato per essere stabile, trasparente e basato su dati scientifici.

Chi partecipa e con quanti soldi

Il progetto ha l’ambizione di raccogliere 25 miliardi di dollari, come volano per arrivare poi a 125 miliardi, ma almeno nella fase di lancio i numeri sono inferiori alle attese. Al momento infatti sono 5,5 i miliardi di dollari sul tavolo, con 53 Paesi partecipanti, inclusi 19 investitori sovrani. 34 i Paesi tropicali firmatari, che da soli coprono il 90% delle foreste del Sud globale.

Tra i Paesi già a bordo:

  • Norvegia: 3 miliardi di dollari in 10 anni (prestiti da rimborsare entro il 2075; condizionati al raggiungimento di almeno 9,8 mld da altri donatori entro il 2026);
  • Brasile: 1 miliardo di dollari;
  • Indonesia: 1 miliardo di dollari;
  • Francia: fino a 500 milioni di euro entro il 2030;
  • Paesi Bassi: 5 milioni di dollari per il segretariato;
  • Portogallo: 1 milione di dollari;
  • Germania: favorevole, ma cifra non ancora definita.

Chi non partecipa (per ora?)

Tra chi non partecipa, invece:

  • Cina: rifiuto ufficiale (ma Lula intende parlarne con il presidente Xi Jinping al prossimo vertice del G20 in Sudafrica);
  • Regno Unito: nessun contributo nella fase iniziale, nonostante sia stato uno dei promotori del progetto;
  • Stati Uniti: si sono sfilati;
  • Italia: nessuna cifra annunciata.

Il ministro brasiliano delle Finanze Fernando Haddad ha indicato come obiettivo realistico 10 miliardi entro il prossimo anno, la metà di quanto Lula aveva inizialmente fissato.

Un cambio di paradigma per il Sud del mondo

Secondo il presidente brasiliano, il TFFF è comunque una svolta storica: “Per la prima volta, i Paesi del Sud del mondo assumono un ruolo di primo piano in un’agenda globale per le foreste”. “Le foreste valgono molto di più di quelle abbattute“, ha concluso.

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