Cambiamento climatico, in Italia costa quasi 300 euro ad abitante: è record in Ue

In un decennio i danni economici sono quintuplicati, la media europea è di 116 euro per abitante
23 Luglio 2024
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Fiume su terreno arido

Il cambiamento climatico costa. Esattamente 284 euro ad abitante in Italia, il Paese che registra più danni economici tra i Ventisette dell’Ue. In un decennio, dal 2015 ad oggi, la cifra dei danni da inquinamento climatico nel Belpaese è addirittura quintuplicata (+490%).

Quanto costa il cambiamento climatico

Non se la passano bene neanche in Spagna (221 euro di danni per abitante) e in Ungheria (214 euro), mentre Germania e Francia rimangono più vicine alla media europea, pari a 116 euro di danno per cittadino. Alcuni Paesi europei quali Grecia, Danimarca, Lituania e Polonia ne escono quasi indenni.

Questi sono i dati elaborati da The European House – Ambrosetti, emersi durante la sesta edizione della Community Valore Acqua per l’Italia che include 42 tra aziende e istituzioni della filiera estesa dell’acqua. “Viviamo una situazione particolarmente delicata soprattutto nel nostro Paese, che si stima quest’anno possa raggiungere la più alta anomalia termica della storia italiana, +1,75°C sopra la media, con tutte le conseguenze che ben conosciamo”, avverte Valerio De Molli, Managing partner e Ceo di The European House – Ambrosetti. Tra le varianti che influiscono sui fenomeni climatici c’è il ciclo dell’acqua, che a sua volta viene direttamente coinvolto dal climate change.

“La corretta gestione della risorsa idrica è e sarà perciò un elemento sempre più decisivo che monitoriamo attraverso la Community Valore Acqua e che deve essere supportato sicuramente da un aggiornamento delle infrastrutture in ottica di incremento dello stoccaggio, ma anche da un veloce processo di digitalizzazione della filiera estesa e da un efficientamento della raccolta e gestione dei dati”, aggiunge Molli.

Quali sono i fenomeni più frequenti

I fenomeni estremi sono la conseguenza più tangibile del cambiamento climatico e, più precisamente, del surriscaldamento climatico. Senza scendere nei dettagli tecnici, l’aumento generalizzato delle temperature fa sì che l’atmosfera riesca ad immagazzinare più energia potenziale prima di scaricarla a terra con fenomeni molto violenti.

Quelli che provocano maggiori danni economici in Ue sono:

  • Alluvioni (44% dei casi);
  • Tempeste (34%);
  • Ondate di calore (14%), direttamente correlate alla siccità.

Il rischio effetto domino è dietro l’angolo: “Se non riuscissimo a invertire la tendenza e si dovessero raggiungere i +2° di riscaldamento globale, raddoppierebbe la perdita di capacità idroelettrica in Italia e triplicherebbe se si raggiungesse un riscaldamento di 3 gradi in più nel Sud Italia e lungo l’arco alpino”, spiega Benedetta Brioschi, partner del Forum.

I danni economici da cambiamento climatico sono ormai una realtà consolidata, tanto che il governo ha previsto l’obbligo di assicurazione contro i danni da cambiamento climatico, che le imprese dovranno stipulare entro fine anno. Quest’obbligo è stato inserito con la Legge di bilancio per garantire una maggiore resilienza e sicurezza alle imprese che si trovino di fronte a calamità naturali, ma anche per ridurre l’esborso di denaro pubblico. Le imprese che non adempiono a questo obbligo potrebbero subire sanzioni e penalizzazioni, come l’esclusione dagli aiuti statali o l’applicazione di multe.

I settori e le regioni più esposte

Dall’analisi del The European House – Ambrosetti, i settori economici più esposti all’impatto della scarsità d’acqua sono quello agricolo e idroelettrico. In agricoltura, tra 2022 e 2023, la produzione di miele si è ridotta del 70%, quella delle pere del 63% e quella di ciliegie del 60%. Male anche produzione di olio d’oliva, che deve fare i conti anche con la Xylella (-27%), vino (-12%) e pomodori (-12%).

L’Istat conferma il calo di produzione seppure con dati leggermente diversi. Un tassello dell’effetto domino sono i prezzi finali dei beni agricoli che nel 2023, certifica l’Istituto di statistica, hanno registrato un +4,2%. Altro inesorabile effetto: calano i lavoratori del settore agricolo; per le unità di lavoro Istat stima una diminuzione complessiva del 4,9%, risultato di una flessione sia dei lavoratori indipendenti (-6,1%) sia di quelli dipendenti (-2,5%).
Una panoramica europea sull’andamento dell’economica agricola ha visto il calo più vistoso della produzione in volume in Grecia, Spagna, Danimarca e Paesi Bassi. La crescita si è registrata in Francia, attualmente leader nel settore con 96 miliardi di euro, seguita da Germania con 76,3 e l’Italia con 73,5 miliardi di euro, +2,7% rispetto al 2022.

Oltre la metà delle regioni italiane (12) si trova in una situazione di elevato stress idrico, con situazioni particolarmente gravi in Sicilia, Calabria, Puglia e Basilicata.
Le scene dei paesaggi aridi e delle caprette disidratate che arrivano dalla Sicilia hanno fatto il giro del mondo, tanto che The Guardian ha dedicato un approfondimento alla grave siccità che sta colpendo l’isola. Gli effetti sull’agricoltura e sull’allevamento sono devastanti; in molte zone, l’acqua potabile è razionata.
Nel 2021, in Sicilia si era raggiunta una temperatura da 48,8 gradi. Le precipitazioni sono diminuite di oltre il 40% dal 2003 (appena 150 millimetri di piogge nell’ultimo semestre 2023).

Le autorità di bacino sono la soluzione?

Da tempo, diversi esperti (e non solo) chiedono alle istituzioni di aumentare la capacità di invaso dei territori, in modo da razionalizzare l’uso dell’acqua che il cambiamento climatico manda giù tutta insieme.

Secondo il Commissario Straordinario nazionale per l’adozione di interventi urgenti connessi al fenomeno della scarsità idrica Nicola Dell’Acqua, per attenuare la crisi idrica bisogna dare più poteri alle autorità di bacino perché “sono gli enti che possono aiutare il Paese a governare l’emergenza siccità affidando loro la pianificazione dell’approvvigionamento idrico primario e lasciando solo la gestione locale alle regioni”.

La soluzione proposta dal Commissario Dell’Acqua muove da un dato di fatto: l’Italia è spaccata a metà; in alcune zone del Nord piove troppo, in altre del Sud piove troppo poco (quasi niente). Quindi “L’unico strumento necessario per la pianificazione degli interventi è quello del bilancio idrico che deve essere redatto a livello di distretto in una visione più ampia che superi diatribe locali e regionali: i grandi nodi idraulici poteranno acqua da un punto A a un punto B del Paese superando confini regionali e distrettuali. Non abbiamo più il tempo di assistere a diatribe sul pagamento della risorsa, tutti gli attori in campo devono prendere coscienza del pesante impatto della gestione frammentata dell’acqua sul futuro dell’Italia”.

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