Laddove c’era il deserto, ora c’è una fila d’alberi. Potremmo parafrasare Adriano Celentano per spiegare quanto sta succedendo in Burkina Faso, il Paese dell’Africa occidentale che sta piantando alberi in una zona che fino a poco tempo fa era ricoperta dal deserto.
La svolta è arrivata il 21 giugno scorso, quando migliaia di persone sono scese per strada con l’obiettivo di piantare cinque milioni di alberi in sessanta minuti che sono già stati rinominati “l’ora patriottica per la riforestazione del Faso”. L’iniziativa è stata collettiva: ministri, contadini, organizzazioni locali, funzionari: tutti intenti a scavare buche, sistemare piantine, riempire terra.
Il presidente Ibrahim Traoré aveva lanciato la sfida poche settimane prima, piantando simbolicamente un tamarindo medicinale a Guiba. L’obiettivo è piantare venti milioni di alberi entro fine anno per contrastare il deserto che avanza nel Sahel. Ma com’è possibile piantare in una zona desertica? La risposta è un’antica tecnica agraria chiamata zaï.
L’uomo che ha fermato la sabbia
Tutto è partito da Yacouba Sawadogo, un contadino che negli anni Ottanta ha deciso di fare una cosa che sembrava folle: rimettere a posto la terra morta. Nel nord del Burkina Faso la siccità aveva trasformato i campi in distese sterili. Sawadogo ha recuperato una tecnica antica, lo zaï, e l’ha perfezionata. Risultato: 40 ettari di foresta dove prima c’era solo sabbia, con 96 specie di alberi e 66 tipi di piante, molte commestibili o medicinali. Sawadogo è morto nel dicembre 2023, ma il governo burkinabè ha istituito un premio con il suo nome per chi combatte la desertificazione.
Come funziona lo zaï
Lo zaï non è magia, è tecnica. Durante la stagione secca si scavano buche nel terreno – 10-15 centimetri di profondità, 20-40 di lato – e si riempiono di compost o letame animale. Poi si coprono con terra per evitare che il vento le svuoti. Quando arrivano le piogge, tra maggio e giugno, le cuvette intrappolano l’acqua e permettono ai semi di germinare anche su suoli degradati, che in Burkina chiamano “zipellé”.
I risultati sono importanti. Su terreni considerati finiti si ottengono 1.500 chili di cereali per ettaro e 5.000 chili di paglia, con incrementi del 34% e 40% rispetto alla coltivazione tradizionale. La versione meccanizzata riduce il lavoro da 300 ore per ettaro a 40, rendendo il metodo applicabile su larga scala. Uno studio italiano del 2024 ha confermato che il 62,92% degli agricoltori nella regione di Korsimoro ha adottato lo zaï, soprattutto chi ha accesso a formazione agricola e credito.
Da Thomas Sankara a Ibrahim Traoré
Il tema scelto per l’edizione 2025 della Giornata nazionale degli alberi, istituita nel 2018, non è casuale: “Piante medicinali: fonte di salute e resilienza climatica per le comunità”. Il progetto del presidente Traoré prevede la creazione di boschetti di piante medicinali in ogni provincia, distribuiti su terreni di cinque ettari come quello di Banguessom. Il primo ministro Rimtalba Jean Emmanuel Ouédraogo, presente alla cerimonia di lancio a Manga, ha parlato di un Burkina “più verde, più sano, più vivibile” per le prossime generazioni mentre il ministro dell’Ambiente Roger Baro ha richiamato l’eredità di Thomas Sankara, che nel 1986 alla Conferenza per la protezione degli alberi e delle foreste a Parigi aveva lanciato “le tre lotte”: contro il disboscamento abusivo, il bracconaggio e gli incendi boschivi.
La Grande Muraglia Verde
Il Burkina Faso non è solo in questo percorso.
Dal 2007 undici Paesi del Sahel – Senegal, Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger, Nigeria, Ciad, Sudan, Eritrea, Etiopia, Gibuti – partecipano alla Grande Muraglia Verde, un progetto dell’Unione Africana per restaurare 100 milioni di ettari di terre degradate entro il 2030. Il progetto potrebber creare 10 milioni di posti di lavoro e sequestrare 250 milioni di tonnellate di carbonio.
L’Agenzia Pan-Africana della Grande Muraglia Verde, creata nel 2010, coordina l’implementazione con il sostegno della Banca Mondiale e delle Nazioni Unite: nello scorso giugno, il Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (Undp) ha contribuito con 30.000 piantine alla Giornata nazionale degli alberi burkinabè.
Alberi che curano
Come anticipato, il presidente Traoré ha inaugurato la campagna piantando un tamarindo, albero diffuso in Africa per le sue proprietà medicinali: tratta malaria, problemi digestivi, infiammazioni, rafforza il sistema immunitario. La scelta di concentrarsi su piante medicinali unisce il restauro ecologico con sovranità sanitaria, che è una delle priorità del continente africano. Nel Sahel si piantano specie adattate al clima estremo: tamarindi, acacie, neem, moringa, alberi che offrono frutti, ombra, legname e medicine. Il boschetto di Banguessom rappresenta il primo modello replicabile: cinque ettari dove piantare alberi, ridare vita alla biodiversità e rendere la comunità meno dipendente dagli aiuti esterni.
Le conseguenze della riforestazione in Burkina Faso
In questa storia, esseri umani e ambiente si uniscono a doppio filo. La collettività non è solo beneficiaria della riforestazione, ma la sua stessa causa. Tutte le parti sociali hanno contribuito al progetto ispirato dal Yacouba Sawadogo: “I ministeri non possono restare ai margini di questa operazione”, ha spiegato il segretario generale del Ministero dell’Amministrazione territoriale, Saidou Sankara che ha piantato presso l’aeroporto di Dani.
Allo stesso modo, l’obiettivo per la fine del 2025 – 20 milioni di alberi – è ambizioso ma sostenuto da politiche pubbliche coordinate, accesso al credito per gli agricoltori, formazione tecnica, organizzazioni di produttori che si riuniscono per un’unica causa.
I risultati sono già visibili. Nella foresta di Sawadogo è tornata la fauna selvatica, termometro di un ecosistema che funziona da solo. Le 96 specie di alberi rappresentano una delle foreste piantate più diversificate al mondo, un laboratorio vivente di come si ripara la terra.
Il metodo burkinabè è anche la dimostrazione che tradizione e tecnologia non solo possono ma devono convivere: serve la combinazione di saperi tradizionali, tecnologie moderne (droni, GPS per monitorare le aree riforestate), mobilitazione nazionale e leadership politica per trasformare il deserto in un’area popolata dal verde. La strada è ancora lunga, dal momento che un quarto delle superfici agricole del Sahel è costituito da suoli degradati, ma la popolazione burkinabé dimostra che il deserto non è un destino.
“Chi pianta un albero prima di morire non ha vissuto invano”, dice un antico proverbio africano . In Burkina Faso hanno deciso di prenderlo sul serio.