Il 20 maggio si celebra la Giornata Mondiale delle Api, istituita nel 2017 dalle Nazioni Unite su proposta della Slovenia, patria dell’apicoltore e pioniere Anton Janša. L’obiettivo è quello di sensibilizzare governi, aziende e cittadini sul ruolo determinante delle api (e di altri impollinatori) per la sicurezza alimentare, la biodiversità e gli equilibri degli ecosistemi. Le api svolgono un servizio ecosistemico essenziale: l’impollinazione. Senza di essa, una larga parte delle coltivazioni alimentari — frutta, verdura, semi oleosi, piante foraggere — subirebbe un crollo drastico.
Nel contesto dell’agricoltura industriale e del cambiamento climatico, però, le api sono sempre più minacciate. Secondo la Fao, la loro popolazione è in calo in molte aree del pianeta, con effetti già misurabili su produttività agricola e qualità delle colture. L’allarme è confermato anche da numerosi istituti di ricerca europei: se non si interviene con politiche mirate, la crisi degli impollinatori rischia di destabilizzare interi segmenti dell’agroalimentare.
Quanto cibo dipende dalle api
Le api sono responsabili dell’impollinazione del 75% delle colture alimentari a livello globale e del 90% delle piante da fiore selvatiche. Il dato è consolidato da ricerche Fao e Ipbes (Piattaforma Intergovernativa sulla Biodiversità), che segnalano come oltre 5 miliardi di dollari annui di produzione agricola siano direttamente attribuibili all’azione degli impollinatori.
In concreto, l’assenza delle api avrebbe effetti immediati sulla disponibilità e sulla qualità di alimenti di largo consumo: mele, pere, fragole, mandorle, pesche, pomodori, zucchine, ma anche colture industriali come il caffè e il cacao. Non si tratta solo di rese inferiori, ma anche di frutti più piccoli, meno nutrienti e di minor valore commerciale. Per esempio, uno studio dell’Università della California ha dimostrato che la presenza regolare di api su una piantagione di mandorli aumenta la pezzatura dei frutti del 30%.
La dipendenza dalle api è particolarmente marcata in agricoltura biologica, dove non si ricorre a impollinazione artificiale. Ma anche le grandi monoculture traggono vantaggio dalla presenza di impollinatori selvatici. Questo ha portato negli ultimi anni ad alcuni tentativi di “reintroduzione attiva” di api in contesti agricoli intensivi, non sempre con esiti positivi, a causa della scarsità di habitat naturali nelle aree coltivate.
I fattori di declino
Il declino delle api è il risultato di fattori convergenti. In primo luogo, l’uso estensivo di pesticidi — in particolare neonicotinoidi e fungicidi sistemici — altera le funzioni cognitive e di orientamento delle api bottinatrici. Anche a basse dosi, queste sostanze interferiscono con la capacità delle api di ritrovare l’alveare e incidono negativamente sul tasso di sopravvivenza delle larve.
Un secondo elemento critico è la frammentazione e la perdita di habitat naturali. L’espansione urbana, la meccanizzazione dell’agricoltura e la riduzione delle siepi e delle aree incolte hanno eliminato molte delle zone di foraggiamento e nidificazione, specie per le api selvatiche (che rappresentano la maggior parte della biodiversità impollinatrice). Le monocolture inoltre fioriscono per periodi molto brevi, costringendo le api a lunghi periodi di carestia vegetale.
Il cambiamento climatico aggrava ulteriormente la situazione. L’aumento delle temperature, la frequenza delle piogge intense e gli sfasamenti tra i cicli di fioritura e il picco dell’attività degli impollinatori riducono l’efficienza dell’impollinazione. In molti casi si verifica una desincronizzazione tra api e fiori, con riduzioni misurabili nei raccolti.
Infine, la diffusione di parassiti e malattie — come la Varroa destructor, un acaro che attacca le larve — rappresenta una delle principali cause di mortalità nelle colonie di api domestiche. La globalizzazione e la movimentazione di api regine tra paesi hanno favorito la trasmissione di agenti patogeni su scala globale, con impatti significativi anche per l’apicoltura europea.
Strategie di convivenza
Di fronte al declino degli impollinatori, stanno emergendo strategie di mitigazione e adattamento. La prima linea di difesa è rappresentata dall’apicoltura, che in molti paesi — Italia inclusa — ha visto una crescita negli ultimi dieci anni, sia in ambito rurale che urbano. In città sono sempre più numerosi i tetti verdi, gli orti condominiali e le terrazze aziendali che ospitano alveari. Il miele urbano, sorprendentemente, ha in molti casi una contaminazione inferiore rispetto a quello prodotto in zone agricole ad alto uso di fitofarmaci.
Ma l’apicoltura non è sufficiente. È necessario un cambiamento strutturale nelle pratiche agricole: rotazioni colturali, coperture vegetali multiflora, riduzione dei pesticidi e reintroduzione di habitat nei margini agricoli sono misure già adottate in diversi programmi agroambientali. L’Unione Europea, attraverso la Politica Agricola Comune, prevede incentivi per le aziende agricole che adottano “misure favorevoli agli impollinatori”.
Anche il settore della ricerca si sta muovendo: sono in corso studi per sviluppare pesticidi “bee-friendly”, valutazioni sulla resilienza delle api autoctone ai cambiamenti climatici, e persino progetti sull’impollinazione assistita da robot in ambienti controllati. Tuttavia, la tecnologia non può sostituire l’impollinazione naturale: i costi, la complessità e l’inefficienza dei sistemi artificiali restano oggi enormemente superiori rispetto all’attività di un insetto che ha affinato il proprio ruolo evolutivo in oltre 100 milioni di anni.
La Giornata Mondiale delle Api, dunque, è molto più di un’iniziativa simbolica. È un invito a riconsiderare il rapporto tra produzione agricola, sostenibilità ambientale e biodiversità. Difendere gli impollinatori significa tutelare un pezzo fondamentale della catena alimentare globale e rendere più resiliente il nostro sistema agricolo alle sfide future.