Eccellenza balneare italiana? Sì, ma con il record dei siti peggiori

Un paese tra i migliori in Europa, ma con 30 siti balneabili “fuori gioco” da oltre cinque anni consecutivi
1 Agosto 2025
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Nel 2024 l’Italia si piazza tra i primi dieci paesi europei per qualità eccellente delle acque di balneazione: il 90,3% dei siti monitorati dall’Agenzia europea dell’ambiente supera i requisiti più alti stabiliti dalla direttiva europea. Un dato solido, che colloca il paese sopra la media dell’Unione (85%) e davanti a Spagna, Portogallo e Francia. Ma dietro questa performance si nasconde un primato decisamente meno invidiabile. Dei 58 siti europei classificati come “scarsi” per cinque anni consecutivi, più della metà — esattamente 30 — si trovano in Italia. È il numero più alto tra gli Stati membri.

Questo divario è il riflesso diretto di una gestione frammentata, con zone di eccellenza affiancate da aree ancora non conformi agli standard minimi. La mappa della balneabilità europea offre una fotografia aggiornata che va letta senza eufemismi. I numeri premiano gli investimenti strutturali a lungo termine, penalizzano i ritardi nei sistemi di depurazione e rivelano che l’acqua balneabile non è mai solo una questione di spiagge.

Un’Europa balneabile (quasi) ovunque, ma a più velocità

L’Agenzia europea dell’ambiente ha analizzato 22.127 siti di balneazione tra coste, fiumi e laghi. In media, l’85% delle acque europee è stato classificato “eccellente, mentre il 96% ha raggiunto almeno la qualità minima richiesta dalla direttiva europea del 2006. La percentuale di acque classificate “scarse” si attesta all’1,5%: una quota bassa, ma che equivale a 332 siti con problemi strutturali o gestionali non risolti.

Cipro guida la classifica con il 99,2% di acque eccellenti, seguita da Bulgaria (97,9%), Grecia (97,0%), Austria (95,8%) e Croazia (95,2%). Tutti sopra la soglia del 95%, dimostrano che livelli di eccellenza diffusa sono raggiungibili anche in contesti turistici ad alta pressione. A seguire, Danimarca (92,9%), Malta (92,0%), Germania (90,5%), Italia (90,3%) e Spagna (87,6%) completano la top ten.

L’Italia si posiziona dunque bene, ma perde terreno rispetto ai migliori. E resta dietro paesi con pressioni ambientali paragonabili, come Croazia e Grecia. Inoltre, il dato nazionale nasconde squilibri evidenti: le aree costiere performano meglio, mentre le acque interne — fiumi e laghi — presentano valori inferiori alla media.

Sul versante opposto, Polonia (58,1%), Estonia (61,5%), Ungheria (67,0%) e Belgio (69,2%) occupano gli ultimi posti per percentuale di acque eccellenti. Il caso più critico è quello dell’Albania, con solo il 16% dei siti balneabili classificati al massimo livello e oltre il 20% indicati come “scarsi”. Il paese sta investendo per recuperare, ma i ritardi infrastrutturali sono ancora significativi.

Acque costiere più pulite, fiumi e laghi sotto pressione

A incidere sulla qualità dell’acqua è anche il tipo di bacino. Le acque costiere registrano prestazioni migliori: nell’Ue, l’89% dei siti marini ha ricevuto la classificazione di eccellenza, mentre tra fiumi e laghi la quota scende al 78%. Le acque interne sono più vulnerabili a scarichi urbani, deflussi agricoli e variazioni meteorologiche, in particolare siccità e piogge improvvise.

Questa tendenza si riflette anche in Italia. I tratti costieri raggiungono standard elevati grazie al ricambio idrico, alla diluizione naturale e, in alcuni casi, a sistemi di depurazione ben dimensionati. Le acque dolci, invece, soprattutto in bacini piccoli e poco dinamici, restano più esposte a contaminazioni da scarichi e malfunzionamenti temporanei.

Il fenomeno del cosiddetto “inquinamento di breve durata” è uno dei principali fattori di degrado temporaneo. In caso di piogge intense, molti impianti fognari non riescono a trattenere tutto il carico e rilasciano liquami direttamente nei corpi idrici. In estate, quando la portata è bassa, l’effetto è immediato: proliferazione batterica e abbassamento della qualità.

Nel 2024, l’1,5% delle acque europee è risultato di qualità scarsa. In base alla normativa, questi siti devono essere chiusi per l’intera stagione successiva e le autorità devono identificare con precisione le fonti di inquinamento. Se la classificazione resta “scarsa” per cinque anni consecutivi, il sito deve essere interdetto definitivamente o soggetto a un avviso permanente contro la balneazione.

L’Italia ha il maggior numero di siti “scarsi” cronici

Dei 58 siti europei classificati come “scarsi” per cinque anni consecutivi (dal 2019 al 2023), 30 si trovano in Italia. Nessun altro paese registra numeri simili. Seguono la Francia con 20 siti, e a grande distanza Danimarca, Paesi Bassi, Svezia, Estonia e Spagna, con uno o due casi ciascuno. In totale, quasi il 52% dei siti più problematici dell’UE è localizzato sul territorio italiano.

Nel 2024, solo cinque di questi 58 siti europei hanno migliorato la propria classificazione almeno a “sufficiente”. I restanti 53 restano fuori norma: 36 sono stati di nuovo classificati come “scarsi”, 13 non hanno potuto essere valutati per assenza di campioni adeguati, e 4 sono stati esclusi dal monitoraggio ufficiale. In due terzi dei casi, è stato confermato un divieto permanente o un avviso consultivo contro la balneazione.

Le sostanze chimiche restano fuori dal radar del monitoraggio balneare

Anche dove l’acqua è “eccellente”, il pericolo può restare invisibile. Il monitoraggio europeo si concentra sui parametri batteriologici — E. coli e enterococchi — ma ignora le sostanze chimiche pericolose. Questi contaminanti, regolati dalla Direttiva Quadro sulle Acque, comprendono metalli pesanti, pesticidi, microplastiche, Pfas e sostanze industriali, spesso persistenti e bioaccumulabili.

Secondo l’Agenzia europea dell’ambiente, in alcune aree del Mar Mediterraneo, del Mar Baltico e del Mar Nero, la concentrazione di inquinanti chimici supera i limiti legali. Tuttavia, questi non rientrano nei controlli previsti dalla Direttiva Balneazione. Il risultato è un paradosso normativo: acque classificate come sicure per il bagno possono contenere sostanze potenzialmente nocive per la salute e l’ambiente.

Un altro rischio crescente è rappresentato dalle fioriture di cianobatteri (note come “alghe blu-verdi”), proliferazioni tossiche alimentate da nutrienti in eccesso (come nitrati e fosfati) derivanti da agricoltura intensiva o scarichi mal gestiti. Sebbene non obbligatoriamente monitorati, questi fenomeni sono tra i principali motivi di interdizione temporanea alla balneazione.

Per rendere davvero sicure le acque, serve una gestione integrata che tenga conto di inquinanti chimici, qualità ecologica e rischi climatici. In questo senso, la nuova Strategia per la resilienza idrica dell’Ue, adottata nel giugno 2025, punta a “riparare il ciclo dell’acqua” e promuovere una “economia idrica intelligente”, con investimenti in tecnologie digitali, infrastrutture verdi e gestione sostenibile dei bacini idrografici.

Copenaghen come modello

Tra i casi di successo europei, spicca Copenaghen. La capitale danese ha trasformato uno dei suoi limiti storici — il porto industriale — in un punto di riferimento per la balneazione urbana. Dopo decenni di investimenti, il porto oggi ospita aree balneabili sicure e monitorate, frutto di un mix di infrastrutture moderne, tecnologie digitali e politiche lungimiranti.

Nel 2002 è stato inaugurato il primo porto-balneabile. Dieci anni dopo, è arrivato il Cloudburst Management Plan, un piano ventennale che prevede tunnel multifunzionali, strade drenanti, parchi allagabili e laghetti urbani pensati per assorbire le piogge torrenziali. Tutto questo ha ridotto al minimo gli sversamenti fognari in mare, proteggendo la qualità dell’acqua.

In parallelo, il Comune ha implementato un sistema di previsione della qualità delle acque basato su modelli matematici che elaborano dati meteorologici, flussi idrici e livelli di batteri. Le previsioni, aggiornate più volte al giorno, vengono diffuse su siti pubblici, sms e app, avvisando tempestivamente i cittadini in caso di rischio.

Questo modello, replicabile in altri contesti urbani, dimostra che la qualità delle acque non è solo una questione ambientale, ma anche un investimento in salute pubblica, turismo e vivibilità urbana.

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