Da oggi in Italia chi maltratta un animale rischia davvero il carcere. Non è più solo una minaccia scritta in qualche comma poco applicato: la nuova legge, voluta e firmata da Michela Vittoria Brambilla, è entrata in vigore e cambia in profondità il sistema di tutela penale degli animali.
Dopo quattro legislature e una resistenza politica trasversale, il provvedimento ha finalmente trovato una maggioranza parlamentare pronta a riconoscere gli animali non come oggetti o proprietà, ma come esseri senzienti, soggetti giuridici tutelati direttamente dalla legge. Le sanzioni si fanno severe,le deroghe spariscono, e ogni cittadino può diventare parte attiva nel contrasto agli abusi.
Gli animali diventano soggetti giuridici
La legge introduce un ribaltamento giuridico e culturale senza precedenti. Il Codice penale cambia: gli animali non sono più considerati meri oggetti di proprietà da tutelare per “il sentimento dell’uomo”, ma diventano titolari di diritti riconosciuti e protetti direttamente dalla legge. Questo passaggio, definito dalla stessa Brambilla “una riforma storica che l’Italia attendeva da oltre vent’anni”, segna l’ingresso pieno del principio di animal sentience nel sistema normativo nazionale.
Tecnicamente, viene istituito un nuovo Titolo IX-bis del Codice penale, dedicato ai delitti contro gli animali. Ciò consente alla magistratura di agire d’ufficio in caso di reato, senza bisogno di una denuncia da parte del proprietario. Qualsiasi cittadino o associazione potrà segnalare un maltrattamento e le procure dovranno procedere. La novità è concreta: lo Stato assume la tutela diretta di ogni animale, sia esso domestico, selvatico, randagio o allevato.
È una svolta in linea con la modifica dell’articolo 9 della Costituzione, che nel 2022 ha introdotto il principio della tutela degli animali. Da oggi questa previsione è finalmente operativa. Non solo cani e gatti, ma tutti gli animali sono inclusi nella protezione penale. È una presa d’atto che ricalibra anche il lavoro di forze dell’ordine, Asl veterinarie, magistratura e mondo delle associazioni. Il generale Giorgio Maria Borrelli, comandante del Raggruppamento Cites dei Carabinieri Forestali, ha parlato di “una progressione giuridica di civiltà non indifferente”.
Pene più dure e aggravanti incisive
Il secondo pilastro della legge è l’inasprimento delle sanzioni penali, strutturato per scoraggiare qualsiasi forma di maltrattamento, uccisione o abuso. Da oggi, chi uccide un animale rischia fino a tre anni di reclusione, che diventano quattro se il delitto è compiuto con sevizie o crudeltà gratuite. È previsto anche il pagamento di una multa fino a 60mila euro, sempre abbinata alla reclusione: non è una sanzione alternativa, ma cumulativa. L’obiettivo è colpire duramente anche chi pensava di potersela cavare con il portafoglio.
Per il maltrattamento, la pena prevista è da sei mesi a due anni di carcere e fino a 30mila euro di multa, anche qui in forma obbligatoriamente abbinata. Viene meno la possibilità di chiudere i procedimenti con semplici ammende o sospensioni condizionali della pena: chi maltratta un animale oggi affronta un iter penale completo.
Sono previste inoltre aggravanti generiche che fanno salire la pena fino a un terzo. Scattano in presenza di minori, se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale, o se viene diffuso in rete. Questo ultimo elemento punta il dito contro la spettacolarizzazione della violenza, sempre più presente sui social network. Video di pestaggi o torture a scopo di “contenuto virale” non solo aggravano la pena, ma saranno elementi utilizzabili ai fini probatori, anche per individuare complici o istigatori.
Il meccanismo sanzionatorio è rafforzato anche da misure accessorie: il divieto di possedere animali, la confisca obbligatoria e il sequestro preventivo immediato in caso di rischio per l’incolumità degli animali. Le pene accessorie diventano automatiche in caso di recidiva o di reiterazione delle condotte.
Il cane alla catena diventa reato
Uno dei punti più simbolici della riforma è il divieto assoluto di tenere cani alla catena. Non si tratta più di una raccomandazione o di una disposizione regionale, ma di una norma penale con efficacia su tutto il territorio nazionale. La catena viene definita come “strumento incompatibile con la natura etologica dell’animale”, e quindi vietata in ogni sua forma. L’unica eccezione prevista riguarda situazioni temporanee di emergenza, che devono comunque essere certificate da un veterinario o da un’autorità sanitaria.
Chi tiene un cane alla catena rischia una multa fino a 5.000 euro, con possibilità di sequestro immediato dell’animale. La norma è pensata per colpire una pratica ancora diffusa soprattutto in contesti rurali, dove il cane viene spesso considerato come un semplice strumento di guardia o deterrente. Per Brambilla “è una barbarie medievale”.
La legge punta a eliminare le zone franche del maltrattamento: cortili, campagne, cantine e balconi non saranno più rifugi per l’abuso legalizzato. Ogni forma di detenzione deve rispettare il benessere animale: spazio, socialità, alimentazione e cure veterinarie diventano parametri controllabili e verificabili dalle forze dell’ordine o dai servizi veterinari delle AslL.
Sotto tiro anche i crimini organizzati
Oltre ai maltrattamenti “di prossimità”, la legge Brambilla colpisce in modo deciso anche i reati connessi alla criminalità organizzata. In particolare:
- I combattimenti clandestini tra animali sono ora puniti con la reclusione fino a 4 anni e multe fino a 160mila euro. L’organizzazione di combattimenti può comportare l’applicazione delle norme del Codice antimafia, incluse confische patrimoniali, intercettazioni e misure di prevenzione.
- Il traffico illegale di cuccioli è sanzionato con la reclusione fino a 3 anni. Viene colpita l’intera filiera, dagli allevatori senza licenza ai trasportatori, fino ai rivenditori online o agli ambulatori veterinari compiacenti.
- La diffusione sui social di contenuti violenti nei confronti degli animali costituisce aggravante autonoma e sarà oggetto di segnalazione obbligatoria da parte delle piattaforme.
La norma riconosce che il maltrattamento animale non è più solo devianza individuale, ma può essere parte di reti criminali organizzate, specialmente nel traffico illecito, nelle scommesse clandestine e nei contenuti a pagamento. In questo senso, l’Italia si allinea finalmente agli standard di paesi come Germania e Austria, dove i reati contro gli animali sono monitorati dalle procure antimafia e dai servizi di intelligence ambientale.
Anche il sistema sanzionatorio secondario è stato adeguato: chi è condannato per reati contro gli animali potrà essere interdetto a vita dal possesso di animali, soggetto a obbligo di dimora, o inserito nei registri dei soggetti pericolosi, con comunicazione obbligatoria ai servizi sanitari e ai Comuni.