“L’Italia genera abbondante risparmio, che costituisce uno dei nostri principali punti di forza. Bisogna quindi creare le condizioni affinché il nostro risparmio non fluisca fuori dai confini nazionali ed europei e verso strumenti a basso rischio e rendimento”.
Le parole del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, alla 101ª Giornata del Risparmio dell’Acri, riassumono in poche righe un problema strutturale: l’Italia accumula ricchezza, ma fatica a usarla per sostenere la propria crescita.
La questione non è nuova, ma oggi assume un peso particolare. In un’economia segnata da incertezza e da rendimenti altalenanti, la propensione al risparmio resta alta, ma gran parte del capitale si rifugia in conti correnti o in fondi esteri. Il risultato è un Paese finanziariamente solido e, al tempo stesso, incapace di trasformare quella solidità in investimento produttivo.
Giorgetti ha scelto di non parlare di fuga dei capitali, ma di “creare condizioni” perché restino: trattenere la ricchezza non per decreto, ma rendendo conveniente investirla qui. È il senso profondo di un piano che, nelle intenzioni del ministro, unisce mercato dei capitali, previdenza complementare e sistema bancario in una strategia comune.
La sfida è fare in modo che il risparmio domestico torni a sostenere l’economia reale, evitando che resti immobilizzato in strumenti a rendimento minimo o che alimenti economie più dinamiche all’estero.
Il mercato dei capitali e la ricerca di un equilibrio
“Lo sviluppo del mercato dei capitali – ha ricordato Giorgetti – è una delle priorità del Governo, perseguita attraverso iniziative in sintonia con la strategia europea per una “Unione dei Risparmi e degli Investimenti””.
Il riferimento è alla Legge Capitali, il provvedimento con cui l’esecutivo prova a rimuovere ostacoli normativi e a rendere più facile l’accesso delle imprese al mercato.
Il primo decreto attuativo, approvato l’8 ottobre, riguarda il risparmio gestito, i mercati e gli emittenti; un secondo, in arrivo, interverrà sul sistema sanzionatorio. L’obiettivo è aumentare la profondità del mercato finanziario italiano, storicamente limitato rispetto ai partner europei.
Oggi la capitalizzazione di Piazza Affari si ferma intorno al 73% del PIL (dati World Federation of Exchanges), contro oltre il 170% della Francia. È un divario che non dipende solo dalle dimensioni delle imprese, ma da un’abitudine culturale: le aziende italiane preferiscono il credito bancario al mercato, e i risparmiatori faticano a investire in strumenti azionari.
In questo quadro, la Legge Capitali punta a rafforzare la capacità del sistema di attrarre risorse interne e di ridurre la dipendenza dai capitali esteri. L’idea è creare un circuito virtuoso in cui famiglie, fondi e imprese partecipino a un mercato più trasparente e orientato al medio-lungo periodo.
Un passaggio che, se ben gestito, può anche favorire una migliore canalizzazione dei capitali verso progetti sostenibili e infrastrutturali, in linea con le priorità europee, senza che questo diventi un vincolo imposto.
Il potenziale del “capitale paziente”
“Per sviluppare un mercato finanziario ben funzionante – ha detto Giorgetti – non basta lavorare sull’efficienza delle regole, occorre anche favorire l’afflusso dei capitali. A tal fine, un ruolo fondamentale può essere svolto dai comparti assicurativo e previdenziale, i cui quadri legislativi scontano ancora notevoli rigidità”.
Il ministro ha collegato la questione del risparmio alla previdenza complementare, vista non solo come strumento individuale ma come motore collettivo. “Lo sviluppo della previdenza complementare – ha spiegato – risponde all’interesse dei singoli, attraverso una riduzione del pension gap, ma va anche a beneficio della collettività e del sistema Paese, con l’afflusso di “capitale paziente” alle imprese e all’economia reale”.
Il patrimonio della previdenza complementare italiana si aggira intorno ai 221 miliardi di euro, poco più del 11% del PIL (dati COVIP 2024). Nei Paesi del Nord Europa supera il 200%. Il confronto mostra il margine di crescita.
Giorgetti ha parlato di “ampi margini di miglioramento” e ha annunciato iniziative di governo per stimolare il comparto. Non ha dettagliato le misure, ma il riferimento è a un possibile allentamento delle regole d’investimento e a incentivi fiscali per favorire l’adesione ai fondi pensione.
Nel contesto europeo, i fondi previdenziali e le assicurazioni sono considerati i principali canali per finanziare la transizione verso un’economia più sostenibile. L’Italia si muove più lentamente, ma la direzione è la stessa: usare capitali stabili, gestiti in modo prudente, per sostenere imprese e infrastrutture con orizzonte di lungo periodo.
Il ruolo delle banche e il nodo del credito
Sul fronte bancario, Giorgetti ha scelto toni diretti: “Si fatica a comprendere come l’andamento del credito rimanga debole, soprattutto nella componente a lungo termine – che dovrebbe sostenere l’attività di investimento – e sia ancora in diminuzione verso le imprese più piccole”.
Il ministro ha ricordato che il sistema bancario italiano oggi gode di una posizione di solidità, ma non sta usando appieno le proprie possibilità. “Le banche devono tornare a dedicare il massimo delle loro energie alla tradizionale attività di raccolta del risparmio ed erogazione del credito”.
Ha indicato anche tre priorità operative: il margine di interesse come misura della gestione caratteristica, la costruzione di rapporti duraturi con la clientela e la valutazione del merito creditizio attraverso una conoscenza diretta delle imprese, favorita dalla presenza fisica sul territorio.
È un richiamo che riporta al centro il legame tra risparmio e impresa. Il denaro raccolto deve tornare a circolare, soprattutto verso le aziende minori che costituiscono la base del sistema produttivo.
Nel quadro europeo, un credito più dinamico è considerato anche una condizione per sviluppare investimenti sostenibili: progetti energetici, infrastrutture locali, innovazione tecnologica. Senza un flusso stabile di finanziamenti, la trasformazione economica rimane teorica.
Giorgetti ha insistito su un concetto semplice ma cruciale: “Nel nostro Paese larga parte del risparmio è nel sistema bancario, che oggi è nelle condizioni migliori per sostenere l’economia”. Il messaggio è insieme fiducia e ammonimento.
Dietro il discorso del ministro si intravede una strategia che va oltre la contingenza: costruire un sistema capace di trattenere la ricchezza e usarla per rafforzare l’autonomia economica del Paese.
La “tutela del risparmio”, principio costituzionale più volte richiamato da Giorgetti, diventa una politica industriale a tutti gli effetti.
In questa prospettiva, il risparmio non è solo una riserva di sicurezza individuale, ma una risorsa collettiva. Per valorizzarla servono strumenti normativi più flessibili, mercati trasparenti e intermediari disposti a sostenere il rischio produttivo.