Corrente del Golfo in crisi: per l’Islanda è una minaccia alla sicurezza: “Cambierà il clima europeo”

Lo scioglimento artico rallenta l’Amoc, il sistema di correnti che rende più mite il clima nordeuropeo: rischiamo un'altra era glaciale, con ripercussioni su agricoltura, acqua disponibile e sicurezza alimentare
21 Novembre 2025
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Oceani, Aumenta La Desertificazione A Causa Del Cambiamento Climatico

Il potenziale collasso della corrente del Golfo, causato dal cambiamento climatico, rappresenta una minaccia per la sua sicurezza nazionale. L’Islanda lo ha stabilito il 12 novembre citando il possibile, drastico raffreddamento dell’isola come conseguenza dei cambiamenti dell’Amoc, l’Atlantic Meridional Overturning Circulation, un circuito di correnti che rende mite il clima nell’Europa del Nord.

“Si tratta di una minaccia diretta alla nostra resilienza e sicurezza nazionale. È la prima volta che uno specifico fenomeno legato al clima viene formalmente portato all’attenzione del Consiglio di Sicurezza Nazionale come potenziale minaccia esistenziale”, ha affermato Jóhann Páll Jóhannsson, ministro di Reykjavik per l’Ambiente, l’Energia e il Clima. A settembre il Consiglio di sicurezza nazionale ha inserito il potenziale collasso della Corrente del Golfo come tema di difesa interna, andando dunque a valutare un fenomeno ambientale come una questione molto più ampia.

Cosa sono l’Amoc e la Corrente del Golfo

Amoc è in sostanza una sorta di grande “nastro trasportatore” che porta l’acqua calda e salata dai tropici (Caraibi, ecc.) verso il Nord Atlantico (Europa, Groenlandia, Islanda). Qui l’acqua si raffredda, diventa più densa e sprofonda in profondità, da dove torna lentamente verso sud, chiudendo il giro e ridistribuendo calore su scala planetaria.

La Corrente del Golfo è la parte più famosa di questo sistema. Si tratta di una corrente superficiale calda che nasce nel Golfo del Messico e lungo la costa est degli Stati Uniti e che attraversa l’Atlantico verso il Vecchio Continente. È grazie a questo “motore” che l’Europa nordoccidentale gode di inverni relativamente miti, a parità di latitudine, rispetto a Canada o Siberia.

Cosa sta succedendo alla Corrente del Golfo

Questo circuito ben rodato non è però eterno, anzi sta cambiando profondamente e una velocità preoccupante. Tutto parte, anche in questo caso, dal riscaldamento climatico, che sta provocando temperature sempre più alte e un rapido scioglimento dei ghiacci artici. Il risultato è che enormi quantità di acqua dolce fredda si riversano nell’acqua dolce del Nord Atlantico. Questo afflusso anomalo altera la temperatura e la salinità dell’oceano: due elementi su cui poggia il funzionamento dell’Amoc, che di conseguenza sta rallentando e rischia di ‘spegnersi’.

La storia, ricostruita tramite lo studio di sedimenti oceanici, carote di ghiaccio e analisi degli isotopi, dimostra che ci sono stati casi precedenti in cui la corrente meridionale si è alterata: una volta circa 12.800 anni fa a causa di un improvviso rilascio di acqua dolce dal gigantesco lago glaciale Agassiz, e una seconda volta circa 8.200 anni fa, sempre per un crollo dei ghiacciai nelle acque del Nord Atlantico. In entrambe le situazioni, la conseguenza fu un repentino (poche decine d’anni) e consistente raffreddamento della Terra.

Uno studio pubblicato a settembre su Environmental Research Letters mostra che se le cose continuano come stanno andando ora, il punto di svolta che rende inevitabile la chiusura dell’Amoc verrà probabilmente superato entro pochi decenni, mentre il collasso vero e proprio potrebbe verificarsi tra almeno 50-100 anni.

Ecco perché per gli scienziati le sorti dell’Amoc vanno monitorate: rischiamo una nuova era glaciale, il che è anche paradossale visto che allo stesso tempo siamo nella fase dell'”ebollizione globale”, per usare le parole usate nel 2023 dal segretario generale dell’Onu Antonio Guterres. La ricetta è sempre la stessa: tagliare le emissioni velocemente.

Perché l’Islanda parla di rischio esistenziale

Come sta l’Amoc è considerato dagli scienziati uno dei ‘tipping points‘, punti di soglia critici oltre i quali il sistema cambia stato, e può essere difficile tornare indietro. “Siamo davanti a un cambiamento sistemico che supera la normale variabilità climatica”, ha chiarito il governo islandese, aggiungendo che “non è allarmismo: è prudenza”. Se l’Amoc rallenta o si ferma, infatti, salta tutto l’equilibrio termico del Nord Atlantico:

• l’Europa del Nord rischia un raffreddamento marcato;
• cambiano le traiettorie delle tempeste e del jet stream (un velocissimo “fiume d’aria” in quota attorno alla Terra, anch’esso regola il meteo e anch’esso sta rallentando per il riscaldamento globale);
• si modificano le piogge, i monsoni, i pattern di siccità e alluvioni a scala globale.

Il nodo della questione non è dunque solo se dovremo metterci un piumone più pesante o dire addio a magliette e pantaloncini: il punto è un’instabilità del clima su vasta scala. Per Paesi come l’Islanda, il Regno Unito, i Paesi nordici ma anche l’Ue nel complesso, cambiamenti nell’Amoc si ripercuoterebbero sulla pesca, sulle infrastrutture costiere (tempeste, livello del mare), sull’energia (bisogno di riscaldamento, reti elettriche), sui trasporti marittimi (difficoltosi o impossibili).

“Il ghiaccio marino potrebbe compromettere il trasporto marittimo; le condizioni meteorologiche estreme potrebbero compromettere gravemente la nostra capacità di mantenere l’agricoltura e la pesca, che sono fondamentali per la nostra economia e i nostri sistemi alimentari”, ha avvisato Páll Jóhannsson, aggiungendo che “il clima potrebbe cambiare così drasticamente da rendere impossibile qualsiasi forma di adattamento”.

Il collasso dell’Amoc riguarda tutti

L’Islanda è il primo Paese a definire come minaccia esistenziale e per la sicurezza il potenziale collasso dell’Amoc, così come era stato il primo a dichiarare un ghiacciaio “morto” a causa della crisi climatica (l’Okjökull nel 2014). Ma nel sistema Terra tutto è collegato, di conseguenza il collasso di Amoc (così come la perdita dei ghiacciai) si ripercuoterebbe sull’intero Pianeta, a partire dal Mediterraneo che è uno dei principali hot spot climatici (aree particolarmente vulnerabili al rialzo delle temperature).

Ecco perché Reykjavik ha annunciato la creazione di gruppi scientifici multidisciplinari e il coinvolgimento di Unione europea, Stati Uniti e centri di ricerca in tutto il mondo, per preparare strategie di adattamento e di mitigazione: per fronteggiare un rischio globale “serve un’azione internazionale”.

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