Il Parlamento italiano ha chiuso il dossier sull’intelligenza artificiale: con 77 voti favorevoli, 55 contrari e 2 astenuti, il Senato ha approvato in via definitiva il ddl collegato alla manovra. L’Italia si ritrova così con la sua prima cornice normativa nazionale sull’Ai, un pacchetto che punta a regolamentare utilizzi, governance e abusi, allineandosi all’Ai Act europeo ma con alcune peculiarità, come il nuovo reato dedicato ai deepfake.
Per il governo è un traguardo che segna una svolta di sicurezza e trasparenza; per le opposizioni, un provvedimento già superato, privo di risorse e incapace di accompagnare concretamente cittadini e imprese in un passaggio che rischia di ridisegnare interi settori. Tra principi generali, nuove istituzioni di controllo, regole per ambiti chiave come lavoro, sanità e giustizia e sanzioni per gli abusi, il testo rappresenta un tentativo di mettere paletti a una tecnologia che corre più veloce delle istituzioni.
Cornice normativa e principi
Il ddl parte da un’impostazione antropocentrica: l’uomo deve restare al centro delle decisioni, l’Ai è ammessa come supporto ma non come sostituto. È previsto che il governo adotti una strategia nazionale, aggiornata ogni due anni dal Comitato interministeriale per la transizione digitale. La governance passa ad Agid e all’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale, che avrà funzioni di vigilanza, mentre il Parlamento riceverà relazioni annuali. Un assetto pensato per dialogare con l’Ai Act e il Gdpr, con l’obiettivo di armonizzare le regole italiane al quadro europeo.
Per l’esecutivo si tratta di un messaggio di affidabilità verso le imprese. “L’Italia è il primo Paese europeo con un quadro nazionale pienamente allineato all’Ai Act. Alle imprese diciamo con chiarezza: investite in Italia”, ha dichiarato il sottosegretario all’Innovazione Alessio Butti. Alberto Barachini, sottosegretario con delega all’informazione, ha parlato di “misure adeguate per proteggere i cittadini dai rischi connessi”.
Ma già dentro la maggioranza si affacciano i primi timori: troppo peso alla burocrazia, rischio di rallentare la competitività, mentre Paesi come il Giappone puntano sull’autoregolamentazione. Il cuore della questione sta qui: la legge è un argine necessario o un freno in più su un terreno in cui la velocità decide chi resta protagonista e chi si limita a inseguire?
Lavoro e professioni
Il fronte del lavoro è tra i più sensibili e il ddl cerca di blindarlo con nuove regole. Presso il Ministero nascerà un Osservatorio sull’uso dell’Ai, con il compito di monitorare applicazioni e prevenire discriminazioni. Le aziende che impiegano algoritmi per selezione o valutazione dei dipendenti dovranno informare i lavoratori e rendere tracciabili le fasi decisionali. Per le professioni intellettuali l’uso dell’Ai è ammesso solo con revisione umana: nessun contenuto può essere interamente affidato a una macchina senza che il destinatario ne sia a conoscenza.
Nelle intenzioni del governo, si tratta di garanzie per evitare abusi e rendere trasparente l’impatto dell’Ai sulla vita lavorativa. Ma le opposizioni contestano il vuoto di risorse. “Questa è una legge che nasce già vecchia e che non stanzia risorse: vengono solo introdotti nuovi reati invece di adottare incentivi per privati e pubblica amministrazione”, ha detto in Aula il senatore Pd Lorenzo Basso, ricordando come altri Paesi abbiano già messo sul piatto miliardi per formazione e riqualificazione. Anche il M5s denuncia l’assenza di misure contro i licenziamenti algoritmici e la mancanza di piani per accompagnare i lavoratori nella transizione. Così, mentre la legge introduce trasparenza e obblighi, resta scoperto il terreno più concreto: investimenti e strumenti di supporto.
Sanità, ricerca e giustizia
Il ddl disegna un perimetro stretto per sanità e giustizia. Nessun algoritmo potrà selezionare o ammettere cittadini alle cure: l’Ai potrà supportare diagnosi e prevenzione, ma le decisioni restano prerogativa esclusiva del personale medico. Anche la ricerca è incardinata in vincoli chiari: i dati personali potranno essere usati senza consenso solo per attività senza scopo di lucro, previa autorizzazione di un comitato etico notificato al Garante, con supervisione umana costante.
Nella giustizia, i divieti sono ancora più netti: vietato utilizzare l’Ai per scrivere sentenze, interpretare norme, valutare fatti processuali o determinare pene. Ammesso solo un uso limitato nei procedimenti amministrativi, con obbligo di responsabilità umana e di informazione alle parti coinvolte. Sono scelte che rispecchiano l’impostazione “umanocentrica” della legge e che puntano a blindare le garanzie in settori strategici. Ma resta un interrogativo: quanto potranno resistere paletti così rigidi davanti a un’evoluzione tecnologica che spinge ogni giorno più in là il confine tra supporto e sostituzione?
Deepfake e nuovi reati
La parte penale del ddl è quella più immediatamente visibile. Viene introdotto un nuovo reato dedicato ai deepfake, con pene da 1 a 5 anni per chi diffonde contenuti manipolati capaci di trarre in inganno. Obbligatoria anche l’etichettatura dei materiali generati artificialmente, mentre l’utilizzo dei dati personali dei minori è vietato senza il consenso dei genitori. “La straordinaria rivoluzione dell’intelligenza artificiale ha bisogno di argini per far correre il cambiamento in sicurezza”, ha detto il sottosegretario Barachini commentando l’approvazione.
Il governo rivendica il passo come misura necessaria di fronte agli scandali legati a immagini e video manipolati. Ma qui le critiche si fanno più forti: le opposizioni vedono un testo che punta tutto sulla criminalizzazione degli abusi senza aprire il capitolo degli incentivi, mentre organizzazioni della società civile denunciano l’assenza di difese dagli errori dei sistemi di Ai e il rischio di concentrare troppo potere nelle mani dell’esecutivo.
La domanda resta aperta: la nuova legge sarà in grado di proteggere davvero cittadini e imprese da manipolazioni e frodi digitali o resterà un’arma spuntata, mentre la tecnologia continuerà a correre senza aspettare i tempi della politica?