Stoccolma rilancia la sfida climatica urbana con un piano al 2030

Dalla mobilità sostenibile al consumo responsabile, il piano della capitale svedese è un caso studio per l’Europa. Le città italiane sono sulla stessa strada?
22 Maggio 2025
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Stoccolma

Con due documenti strategici adottati a pochi mesi di distanza, Stoccolma si candida a rimanere uno dei riferimenti principali in Europa per la pianificazione climatica urbana. Il Programma Ambientale 2030 e il Climate Action Plan 2030 – approvati rispettivamente a settembre e dicembre 2024 – delineano una traiettoria chiara: ridurre in modo strutturale le emissioni, rafforzare la resilienza urbana e costruire una città climaticamente neutrale entro il 2040.

Il piano climatico prevede 150 misure operative, articolate in cinque aree di intervento, e introduce una carbon budget che limita le emissioni a 9 milioni di tonnellate di Co₂ nei prossimi 16 anni. È un approccio integrato, concreto e verificabile, che punta su trasporti sostenibili, energia rinnovabile, consumo circolare e inclusione sociale. Un modello che molte città europee (tra cui l’Italia) guardano con interesse – e che rappresenta uno specchio utile per valutare progressi, lacune e opportunità.

Come funziona il modello svedese

Il primo pilastro del percorso di Stoccolma è l’Environment Programme 2030, un documento programmatico che stabilisce sei obiettivi ambientali centrali: migliorare la qualità dell’aria, rafforzare la biodiversità, estendere le aree verdi, ridurre i consumi, mitigare il cambiamento climatico e promuovere uno sviluppo urbano più sano. A questo si affianca il Climate Action Plan 2030, più tecnico e orientato all’attuazione, che traduce la visione strategica in misure concrete.

La forza di questo modello sta nella coerenza tra visione e strumenti. I due documenti non operano su binari paralleli, ma si integrano: il primo definisce la cornice ambientale generale, il secondo delinea il come, con obiettivi misurabili e tempistiche definite. Le politiche energetiche, i trasporti, l’edilizia pubblica e la gestione del territorio sono tutte legate da un filo conduttore: la transizione climatica come trasformazione sistemica, non come somma di interventi settoriali.

La governance di questo processo è basata sulla collaborazione tra istituzioni pubbliche, imprese locali, università e cittadini. Un modello orizzontale che consente maggiore stabilità nelle scelte e una più ampia legittimazione sociale delle misure.

Le cinque transizioni della capitale svedese

Il cuore del piano climatico di Stoccolma si articola in cinque aree di transizione, ciascuna delle quali affronta un aspetto strutturale della sostenibilità urbana. L’idea è quella di superare l’approccio settoriale e costruire una città che funzioni secondo logiche compatibili con la neutralità climatica e la resilienza.

  1. Una transizione giusta e inclusiva, che punta a garantire equità d’accesso ai benefici ambientali (come trasporti sostenibili e servizi energetici) per tutti i cittadini, con attenzione alle fasce più vulnerabili.
  2. Energia fossile-free e climate-positive, attraverso la riduzione drastica dell’uso di combustibili fossili, l’espansione delle rinnovabili locali e l’introduzione di tecnologie per la cattura del carbonio.
  3. Mobilità sostenibile, con l’obiettivo di ridurre dell’80% le emissioni da trasporto entro il 2030. Questo include il potenziamento della rete pubblica elettrica, lo sviluppo di piste ciclabili e la disincentivazione dell’uso dell’auto privata.
  4. Sviluppo urbano circolare, che prevede la riduzione degli sprechi, l’utilizzo di materiali riciclati in edilizia e la valorizzazione delle aree verdi come infrastrutture ecologiche.
  5. Consumo responsabile, con un focus sulle emissioni indirette legate alla produzione e al trasporto dei beni consumati in città. Il Comune si impegna a ridurre l’impatto ambientale dei propri appalti e a promuovere comportamenti più sostenibili tra cittadini e imprese.

Ognuna di queste aree è accompagnata da indicatori e strumenti di monitoraggio. L’approccio è operativo, non simbolico: il piano è concepito come uno strumento di gestione urbana, più che come una dichiarazione d’intenti.

Il confronto con l’Italia

Il modello di Stoccolma offre un riferimento utile per valutare la situazione italiana, in particolare nelle città che stanno cercando di sviluppare una propria strategia climatica. Oggi otto città italiane – Milano, Torino, Bologna, Firenze, Bergamo, Padova, Parma e Prato – partecipano alla Missione europea per le 100 città climaticamente neutrali entro il 2030. Tutte sono impegnate nella costruzione dei propri Climate City Contracts, strumenti multidisciplinari che ricalcano in parte l’approccio svedese.

Tuttavia, a differenza della capitale svedese, queste città operano in un contesto istituzionale meno strutturato. In Svezia, le politiche climatiche urbane si inseriscono in una cornice normativa nazionale solida, che assegna poteri chiari ai comuni e garantisce continuità amministrativa. In Italia, invece, le competenze sul clima sono distribuite su più livelli – statale, regionale, comunale – e manca una strategia nazionale urbana sul clima.

Un’altra differenza sostanziale riguarda gli strumenti di monitoraggio. Stoccolma ha introdotto una carbon budget vincolante che stabilisce un tetto alle emissioni complessive fino al 2040. In Italia, non esiste nulla di simile su scala urbana. Le misure previste nei piani locali (come i PAESC – Piano d’azione per l’energia sostenibile e il clima) raramente includono indicatori annuali verificabili o meccanismi automatici di correzione degli scostamenti.

Ci sono comunque esperienze interessanti. Milano ha sviluppato un Piano Aria e Clima che integra mobilità, energia e resilienza. Bologna lavora su riforestazione urbana e trasporti elettrici. Parma e Prato puntano sull’economia circolare e sulla rigenerazione urbana a basso impatto. Ma sono casi isolati, spesso legati a progetti europei o a leadership locali illuminate, piuttosto che a un quadro nazionale coerente.

Infine, il coinvolgimento della cittadinanza – uno degli aspetti più curati a Stoccolma – resta in Italia ancora marginale. Nella capitale svedese, la partecipazione è strutturale, con tavoli permanenti, campagne informative e co-progettazione. In Italia, invece, è spesso relegata a fasi preliminari e consultazioni non vincolanti.

Il confronto, quindi, non è una questione di risorse, ma di architettura istituzionale e qualità della pianificazione. E se l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2030 è comune, i mezzi per raggiungerlo restano profondamente diversi.

Il ruolo delle città nella strategia climatica dell’Ue

Il piano di Stoccolma si inserisce pienamente nella strategia dell’Unione Europea per il clima. La città ha ottenuto l’EU Mission Label, un riconoscimento che certifica la solidità del suo Climate City Contract e le apre l’accesso a fondi dedicati, supporto tecnico e canali privilegiati con investitori pubblici e privati. Questo strumento, oggi riconosciuto a 92 città europee, rappresenta una garanzia di qualità e serietà progettuale.

Grazie a questo status, Stoccolma può accedere al Climate City Capital Hub, il nuovo centro europeo per il finanziamento della transizione urbana, istituito nel 2024. Qui le città ricevono assistenza per strutturare piani finanziari, coordinarsi con la Banca Europea per gli Investimenti e attrarre capitali pubblici e privati.

In questo contesto, le città diventano veri e propri laboratori del Green Deal europeo. Con il 75% della popolazione dell’Ue residente in ambito urbano e oltre il 70% delle emissioni generate nei centri abitati, è ormai evidente che la transizione climatica si gioca nelle città. Il caso di Stoccolma dimostra che strumenti ben progettati, supportati da governance stabile e dati verificabili, possono produrre risultati concreti in tempi brevi.

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