Indonesia, una nuova capitale ‘green’ che distrugge la foresta: l’ironia del progresso

Nelle intenzioni del governo, Nusantara, inaugurata ad agosto, vuole essere una città tecnologica, intelligente ed ecologica, ma intanto per costruirla occorre distruggere la foresta tropicale
11 Settembre 2024
4 minuti di lettura
Giacarta Indonesia Canva
Giacarta

Si chiama Nusantara ed è stata inaugurata il 17 agosto, ma è ancora da costruire. La nuova capitale dell’Indonesia, che sta sorgendo nella parte orientale del Kalimantan sull’isola del Borneo, continua a rinfocolare polemiche. Perché il progetto rischia di trasformarsi in un enorme flop, e lasciare in eredità una cattedrale nel deserto, o per meglio dire nella giungla. Oltre a creare diversi problemi ambientali.

Nusantara, che in lingua giavanese significa ‘arcipelago’, nome scelto proprio per rappresentare le 17mila isole che compongono l’Indonesia, è stata voluta dal presidente uscente Joko Widodo, che ad ottobre dovrà passare il testimone al presidente eletto Prabowo Subianto, ex generale del dittatore Suharto e accusato in passato di crimini contro l’umanità, che ha vinto le elezioni della scorsa primavera (alle quali Widodo per legge non poteva ripresentarsi).

Il progetto della nuova capitale è dunque un po’ il segno che il presidente uscente vuole lasciare, e con questo spirito Widodo ha proceduto al taglio del nastro lo scorso 17 agosto, anniversario dell’indipendenza indonesiana. Ma la città è appena agli inizi: sarà pronta, se tutto va bene, nel 2045, nel centesimo anniversario dell’indipendenza della nazione dai Paesi Bassi.

Se ne cominciò a parlare nel 2019, con l’idea di spostare la capitale Giacarta fuori dall’isola di Giava, la più importante dell’arcipelago. Dopo uno stop dovuto tra le altre cose alla pandemia, a gennaio 2022 il parlamento ha approvato la relativa legge, e lo scorso luglio sono cominciati i lavori. Costo stimato del progetto, articolato in cinque fasi: oltre 30 miliardi di euro, miliardo più miliardo meno.

Perché l’Indonesia vuole spostare la capitale

Ma innanzitutto, perché l’Indonesia ha deciso di costruire dal niente un’intera città in mezzo alla giungla, oltretutto da adibire a nuova capitale? I motivi sono diversi, a partire da quello ambientale.

L’attuale capitale Giacarta sta infatti letteralmente sprofondando, in alcune zone anche di 15-20 cm in un anno, ed è soggetta a frequenti alluvioni. Queste ultime più che una minaccia sono una certezza, dato che capitano almeno una volta l’anno.

Una situazione critica dovuta alla posizione in cui sorge Giacarta – un delta dove il terreno non è molto stabile – ma aggravata dalla sovra-urbanizzazione della città, densamente popolata – 11 milioni, in aumento – e caratterizzata da numerose torri che gravano sul terreno con tutto il loro peso. Ciliegina sulla torta, non tutti i quartieri sono dotati di acqua corrente, quindi famiglie e imprese reperiscono l’acqua dalla falda freatica, il che contribuisce allo sprofondamento.

Giacarta è anche una città intasata dal traffico, fortemente inquinata, priva di parchi giochi o spazi culturali. Insomma, un quadro desolante. Fatto sta che evidentemente si è pensato che ricominciare da capo fosse più semplice che intervenire su una situazione già compromessa, anche se sicuramente decongestionare l’area sarebbe già un buon inizio per migliorare le condizioni dell’attuale capitale.

Ma ci sono anche altri motivi per cui l’Indonesia si è imbarcata in un progetto tanto megalomane e forse folle: lo spostamento punta a riequilibrare il potere tra le isole più grandi dell’arcipelago, togliendo quello che di fatto è un monopolio a Giava. Quest’ultima rappresenta il 7% del territorio del Paese ma raccoglie il 56% della popolazione, inoltre produce il 57% del Pil nazionale e ospita 7 delle 10 città più popolose della nazione. Lo spostamento potrebbe consentire di bilanciare il peso dell’’Indonesia occidentale e di quella orientale, che per ragioni storiche e geografiche è finita ai margini economici e decisionali.

L’isola dove stanno costruendo Nusantara, cioè il Borneo, è infatti meno soggetta ai disastri naturali, è al centro geografico del Paese e ha una rete di infrastrutture. Si tratta inoltre di una regione ricca di risorse naturali come petrolio, carbone, minerali, ed è scarsamente popolata, con solo 3,7 milioni di abitanti.

Ambientalisti sul piede di guerra

Sembrerebbe quindi una buona soluzione, ma gli ambientalisti sono sul piede di guerra: il Borneo infatti ospita una delle foreste pluviali più antiche del mondo, già sottoposta a deforestazione per creare piantagioni per l’olio di palma. I 56mila ettari previsti per la nuova città non possono che aggravare il problema e distruggere la giungla, oltre a devastare la biodiversità e a causare inondazioni conseguenti al taglio di alberi e piante e mangrovie. C’è poi una questione legata alla proprietà delle terre: le popolazioni indigene locali, circa 20 mila persone, difficilmente dispongono di certificati legali e quindi i loro diritti rischiano di non essere tutelati, e nemmeno ascoltati.

Una situazione ironica e paradossale, dato che nelle intenzioni del governo, Nusantara sarà ecologica e intelligente: una città della giungla tropicale, tecnologica, digitale e sicura. Ogni isolato, secondo il piano, sarà circondato da una foresta, sia quella già esistente sia una foresta che sarà ripiantata con specie locali, anche endemiche.

La nuova città perciò incarna una triplice ambizione: economica, tecnologica ed ecologica, ma almeno per quanto riguarda l’ambiente l’obiettivo rischia di non essere centrato. Non solo: ci sono altre ragioni per cui il piano potrebbe trasformarsi in un grosso fallimento. Intanto Nusantara ospiterà solo due degli undici milioni di abitanti di Giacarta: verrebbe da dire ‘Tanto rumore per nulla’.

Il progetto non convince gli investitori, e nemmeno gli indonesiani

Inoltre la parte attualmente in costruzione corrisponde a 9 chilometri quadrati, che coprono solamente il palazzo presidenziale, ministeri e torri destinati ad alti funzionari pubblici, case per i ministri. I ritardi nei lavori iniziati appena a luglio sono già evidenti: la maggior parte degli edifici è incompiuta, e il piano di trasferimento di 12 mila dipendenti pubblici è già stato rimodulato. Ci vorranno decenni prima che la nuova capitali diventi viva e funzionante: pochi indonesiani hanno mostrato interesse a trasferirsi, visto che al momento della città c’è ben poco, e vista la mancanza di opportunità di lavoro.

E c’è un ultimo aspetto che rischia di dare il colpo di grazia al progetto: la difficoltà nel trovare investitori. Il governo indonesiano non ha la capacità finanziaria per sostenerlo, infatti prevede di coprire solo il 20% dei costi. Il suo obiettivo, dunque, era ed è portare dentro capitali da investitori internazionali, ma questi non sembrano essere particolarmente entusiasti dell’idea, e di fatto scarseggiano.

E senza soldi, il futuro della nuova capitale rimane molto incerto.

Smart Cities | Altri articoli