Se il suolo delle nostre città potesse parlare, cosa direbbe oggi? L’impatto delle attività umane sul suolo urbano è sotto gli occhi di tutti, ma a volte è difficile comprendere fino in fondo quanto queste azioni possano compromettere l’equilibrio naturale. Il prossimo 5 dicembre ricorrerà la Giornata Mondiale del Suolo con il tema “Caring for Soils: Measure, Monitor, Manage“. L’invito è chiaro: dobbiamo imparare a misurare, monitorare e gestire il suolo in modo responsabile. Ma quante città italiane stanno davvero prendendo sul serio questo messaggio?
Ogni anno, in Italia, il suolo continua a essere consumato senza un freno adeguato, a causa dell’espansione urbana, della scarsa attenzione alla biodiversità e della continua impermeabilizzazione. Dati dell’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) indicano che nel 2022, ben 77 km² di suolo sono stati coperti da asfalto e cemento. A ciò si aggiunge l’aggravante che il cambiamento climatico, con le sue piogge intense e i periodi di siccità, sta mettendo ulteriormente a dura prova il nostro territorio. Nonostante ciò, molte città italiane sembrano aver preso poca consapevolezza delle criticità legate alla gestione del suolo.
Per comprendere meglio la situazione in Italia, la naturetech company 3Bee ha condotto un’analisi approfondita su 14 città con più di 200mila abitanti, utilizzando Element-E, una piattaforma avanzata per mappare e monitorare il suolo. L’obiettivo di questo studio non è solo tracciare una ‘fotografia’ del suolo nelle città italiane, ma anche fornire strumenti concreti per una gestione più responsabile e sostenibile. “Il suolo sta subendo degli impatti importanti dati dalle nostre attività umane che siano legati all’organizzazione o alle attività agricole; questo pone un focus particolare, soprattutto a quella che è una caratteristica del suolo, ossia la permeabilità idrica”, ha spiegato Silvia Moser, tecnico faunistico di 3Bee. “Proprio per questo abbiamo deciso di analizzare come il suolo delle città italiane stia evolvendo”.
Un’analisi a più livelli
L’analisi di 3Bee si è concentrata su quattro indicatori chiave per valutare la qualità del suolo urbano: la superficie artificiale, la superficie naturale, la superficie agricola e il rischio idrogeologico. Questi fattori, se presi singolarmente, raccontano storie diverse, ma se letti insieme, offrono un quadro chiaro di come le città stiano affrontando – o ignorando – il cambiamento.
Il suolo urbano si sta trasformando rapidamente, e i dati di 3Bee non lasciano dubbi: le superfici artificiali stanno prendendo il sopravvento. Strade, marciapiedi, edifici, industrie, insomma, le infrastrutture stanno occupando sempre più spazio a discapito delle aree verdi. Un problema che non riguarda solo l’estetica: “La superficie artificiale rende del tutto impermeabile rendendo difficile l’assorbimento dell’acqua, aumentando il rischio di alluvioni”, ha affermato la Moser. E il cambiamento climatico non fa che aggravare la situazione, con piogge torrenziali che riversano acqua su suoli incapaci di assorbirla.
Ma l’analisi di 3Bee non si ferma alla superficie. La piattaforma Element-E ha permesso di mappare anche la qualità del suolo in relazione alla sua capacità di assorbire l’acqua. La Moser ha spiegato che la piattaforma è in grado di fornire indicazioni oggettive grazie ai KPI (indicatori chiave di prestazione) derivanti da metodologie scientifiche. Questo permette a municipalità, imprese e parchi naturali di pianificare interventi mirati e di monitorarne l’efficacia nel tempo.
Le ‘pagelle’ delle città italiane
E se dovessimo assegnare una ‘pagella’ alla gestione del suolo nelle città italiane? Genova emerge come una delle città più virtuose in termini di superficie naturale. “Genova mantiene più del 70% del suo territorio come superficie naturale, grazie alla sua conformazione geografica”, ha osservato Moser. Questo la pone al top della classifica, seguita a ruota da Venezia, che grazie alla sua peculiarità geografica, con una morfologia lagunare che limita l’espansione edilizia, si presenta come una città con una bassa percentuale di superficie artificiale, pari al 16,7%.
D’altro canto, Milano, con oltre il 63% del suo territorio occupato da superfici artificiali, sta pagando il prezzo dell’urbanizzazione selvaggia. Meno del 20% delle sue aree sono naturali, un dato che, secondo Moser, “aumenta significativamente il rischio idrogeologico”, un problema condiviso da tutte e tre le città, sebbene con differenze nella gravità. Venezia, Genova e Milano si collocano tutte al livello 4 di una scala di 5, che indica un rischio elevato e significativo. Milano e Venezia sono vulnerabili principalmente a causa della mancanza di superfici permeabili, che riducono la capacità di drenaggio naturale del territorio, mentre Genova, pur beneficiando di una percentuale più alta di superficie naturale, è soggetta a rischi legati alla canalizzazione dei torrenti e all’urbanizzazione delle piane alluvionali.
Rischio idrogeologico e agricoltura
Il rischio idrogeologico è una delle sfide più grandi per molte città italiane. Moser avverte che “questo aspetto viene spesso sottovalutato, sia dai cittadini che dalle amministrazioni locali”. La trasformazione dei corsi d’acqua in canali cementati, ad esempio, riduce la capacità del suolo di trattenere l’acqua piovana. Questo è particolarmente evidente in città come Catania, dove l’agricoltura ha preso piede su gran parte del territorio. “Nonostante l’agricoltura possa offrire potenzialità positive, come le aree semipermeabili, il fenomeno della siccità sta creando gravi danni, facendo sì che il suolo diventi compattato e incapace di assorbire l’acqua”, spiega.
Anche se le superfici agricole hanno il vantaggio di essere semi-permeabili, la loro capacità di assorbire l’acqua è messa a dura prova quando le condizioni climatiche sono estreme. “In Sicilia, come in altre regioni del sud, la siccità sta peggiorando, mettendo in discussione la gestione del suolo agricolo”, osserva Moser. L’erosione e la compattazione del terreno sono fenomeni che non solo riducono la capacità agricola, ma aumentano anche il rischio di alluvioni.
La strada da percorrere
Ma cosa possono fare i cittadini? Moser è chiara: “Il cambiamento deve partire dalle amministrazioni. Tuttavia, i cittadini possono fare pressione sui governi locali per adottare politiche più sostenibili”. Anche piccoli gesti, come sensibilizzare la comunità o partecipare a iniziative di riforestazione urbana, possono avere un impatto.
Non tutto è perduto quindi. Moser crede fermamente nel potere delle tecnologie e delle strategie integrate per risolvere la crisi del suolo. “Le valutazioni di impatto ambientale devono includere più parametri, dal rischio idrogeologico alla biodiversità, fino ai benefici per le comunità”. Una piattaforma come Element-E può fornire un linguaggio comune tra enti pubblici e privati, favorendo un approccio omogeneo alla gestione del suolo.
Le soluzioni non si limitano agli strumenti tecnologici. Moser insiste sull’importanza di restituire naturalità ai corsi d’acqua e ridurre le superfici artificiali. “Basta pensare ai parchi urbani: aumentare il verde nelle città non solo migliora la qualità della vita, ma riduce il rischio di fenomeni estremi come alluvioni e isole di calore”.
La città ideale del futuro
La tecnologia, come abbiamo visto, gioca un ruolo centrale nella gestione del suolo. 3Bee, con la sua piattaforma Element-E, è solo uno degli esempi di come l’innovazione possa contribuire alla gestione del rischio idrogeologico. “Un’analisi dettagliata e basata su dati oggettivi permette di capire meglio dove intervenire e in che modo”, afferma Moser. Ma l’innovazione non si limita alla tecnologia. Anche a livello di politiche urbanistiche, è possibile migliorare la situazione.
La strada verso un futuro più sostenibile e resiliente non è priva di ostacoli, ma le soluzioni esistono. Moser immagina città più verdi, con parchi, giardini e aree permeabili che possano assorbire l’acqua piovana e contribuire alla lotta contro le isole di calore. “Immagino città con case distanziate le une dalle altre, con una piccola fascia verde, un’area di suolo permeabile che possa assorbire l’acqua piovana”, dice Moser.
La città ideale del futuro, insomma, è quella che riesce a trovare un equilibrio tra urbanizzazione e natura, dove il suolo non è un bene da sfruttare, ma un patrimonio da proteggere. “Non è un sogno irrealizzabile”, conclude Silvia Moser, “l’Italia è un Paese ricco di biodiversità e disponiamo di tutti gli strumenti necessari. L’importante è restituire alla natura ciò che abbiamo sottratto in eccesso, trovando un punto di incontro. Naturalmente, non si tratta di eliminare tutti gli edifici o distruggere le città, ma di preservare una maggiore naturalità, ad esempio aumentando la superficie dei parchi. Dobbiamo evitare di creare agglomerati urbani che generano effetti collaterali, come le isole di calore”.