Negli ultimi giorni è tornato alla ribalta uno studio svedese che indaga quale sia la distanza ideale tra casa e lavoro per evitare che il pendolarismo pesi eccessivamente sui lavoratori. In Italia, il quadro appare particolarmente critico.
Quanto tempo impieghiamo in Italia per andare al lavoro
Secondo uno studio pubblicato da PageGroup nel 2024, gli italiani impiegano mediamente 45 minuti per raggiungere il posto di lavoro, posizionandosi tra i Paesi europei con i tempi di spostamento più lunghi, superati solo dalla Turchia (48 minuti).
Questo tragitto quotidiano divora circa 30 ore mensili – circa quattro giorni di lavoro – un tempo sottratto alla vita personale che si trasforma in una fonte inesauribile di tensione.
Non sorprende che il 68% dei pendolari che utilizzano i mezzi pubblici riporti elevati livelli di stress, esacerbato da sovraffollamento, ritardi cronologici, disservizi e scioperi. Non sorprende neanche che Milano sia tra le dieci città più stressanti del mondo.
Non che andare in auto sia meglio, anzi: il 49% degli automobilisti si dichiara stressato, principalmente a causa dell’intasamento cronico delle arterie urbane.
Le conseguenze
Questa situazione logistica deteriorata ha conseguenze concrete: quasi la metà dei professionisti italiani (46%) cambierebbe impiego per ridurre la distanza casa-lavoro, che è un aspetto determinante per il work-life balance. L’equilibrio tra la vita privata e quella professionale, inoltre, è sempre più centrale soprattutto per i giovani lavoratori.
I lunghi spostamenti quotidiani non rubano solo tempo, ma prosciugano energie mentali preziose, amplificando il malessere psicologico e quella sensazione di non riuscire mai a “staccare” veramente dal lavoro. “Gli studi precedenti si sono concentrati principalmente sull’ambiente residenziale, ignorando che gran parte della nostra giornata si svolge altrove”, spiega uno dei ricercatori coinvolti nel progetto svedese. “La distanza casa-lavoro non è un semplice dato numerico, ma un fattore che influenza profondamente i nostri comportamenti legati alla salute.”
La distanza ideale
Il progetto svedese ipotizza l’esistenza di una distanza “ideale” tra casa e lavoro. Troppo vicini, e si perde l’opportunità di attività fisica moderata; troppo lontani, e lo stress diventa insostenibile, compromettendo scelte alimentari, sonno e attività fisica.
Questa distanza ottimale potrebbe variare significativamente in base al contesto urbano, alle infrastrutture disponibili e alle caratteristiche individuali. In aree ben servite da piste ciclabili e percorsi pedonali sicuri, un tragitto di 3-5 chilometri potrebbe rappresentare l’opportunità per integrare naturalmente l’attività fisica nella routine quotidiana, senza generare lo stress dei lunghi spostamenti. Bisogna sottolineare che lo studio è stato condotto in Svezia, un Paese che dove i mezzi di trasporto e le piste ciclabili funzionano molto meglio rispetto al nostro, che (ancora una volta non a caso) è il Paese europeo con più auto per abitanti.
Secondo la ‘Survey on the quality of life in European cities 2023’ della Commissione europea riporta come tra le dieci città meno soddisfatte della qualità del trasporto pubblico, ci sono le italiane Palermo, Roma e Napoli. Il sondaggio ha indagato quattro parametri del chiave: prezzi, sicurezza, frequenza (i mezzi arrivano spesso) e affidabilità (arrivano come previsto). In tutti questi aspetti, Roma ottiene punteggi bassi: ad esempio, solo il 45% della popolazione considera sicuri i trasporti pubblici.
Le città più soddisfatte dei propri mezzi pubblici hanno tutte un punteggio superiore all’87%: Zurigo (95%), Vienna (91%), Rotterdam ed Helsinki (89%), Oslo (88%). Copenaghen poco fuori la top ten con l’81% di soddisfazione.
Per approfondire: Gli italiani bocciano il trasporto pubblico: Roma e Palermo ultime in Europa per soddisfazione
Un divario che amplifica le disuguaglianze
Il progetto assume particolare rilevanza considerando la crescente segregazione geografica nelle città europee. La recente lista delle “aree vulnerabili” stilata dalla polizia svedese evidenzia zone caratterizzate principalmente da basso status socioeconomico, dove i fattori ambientali, inclusa la distanza dai centri lavorativi, potrebbero esacerbare le disuguaglianze sanitarie esistenti.
“La segregazione non è solo una questione sociale, ma anche sanitaria”, sottolinea il team di ricerca. “Gli ambienti in cui viviamo e lavoriamo possono amplificare o mitigare le disparità esistenti.”
Soluzioni flessibili: ripensare il rapporto con la distanza
Se il pendolarismo rappresenta un problema strutturale, le soluzioni devono essere altrettanto articolate. Lo smart working, pur non essendo una panacea universale né applicabile a tutti i settori, offre un’alternativa promettente quando implementato con adeguato supporto organizzativo e psicologico. Alcune aziende italiane hanno iniziato ad adottare modelli di lavoro agile o settimane lavorative compresse per mitigare l’impatto degli spostamenti, ma queste soluzioni restano ancora minoritarie nel panorama nazionale.
“L’obiettivo finale è progettare città che promuovano la salute in tutti gli spazi in cui le persone trascorrono il loro tempo”, conclude il ricercatore svedese. “Non possiamo più permetterci di considerare l’ambiente residenziale come l’unico determinante ambientale della salute.”
Ripensare le città intorno alle persone
Il progetto svedese, con il suo approccio multidisciplinare che abbraccia scienze ambientali, sociali e sanitarie, potrebbe fornire indicazioni preziose per ripensare lo sviluppo urbano in chiave più salutare.
La sfida non è solo ridurre le distanze fisiche, ma creare spazi urbani che favoriscano il pendolarismo attivo, dove la distanza casa-lavoro, anziché essere una fonte di stress, diventi un’opportunità per migliorare la salute fisica e mentale.
Mentre i ricercatori raccolgono e analizzano i dati, emerge con chiarezza che il luogo in cui viviamo, quello in cui lavoriamo e il tragitto che li collega formano un triangolo inscindibile che può determinare, nel bene e nel male, la qualità della nostra vita.