Chi inquina può essere processato: Cassazione e Corte Onu aprono alla giustizia climatica

Aziende e Stati sono tenuti a rispettare i limiti internazionali per non essere sanzionati
24 Luglio 2025
3 minuti di lettura
Inquinamento Petrolio

Nel giro di pochi giorni sono state emanate due provvedimenti che potrebbero cambiare radicalmente il panorama della giustizia climatica globale. La Corte di Cassazione italiana e la Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite hanno stabilito, con principi convergenti, che chi inquina può essere chiamato a rispondere legalmente delle proprie azioni.

La sentenza della Cassazione sulla responsabilità di enti e aziende

Il 21 luglio 2025, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno emesso una sentenza che segna una svolta nella giustizia climatica italiana. La decisione nasce dalla causa civile “La Giusta Causa”, intentata nel maggio 2023 da Greenpeace Italia, ReCommon e dodici cittadini italiani contro Eni, Cassa Depositi e Prestiti (Cdp) e il Ministero dell’Economia e delle Finanze.

L’azione legale mira a ottenere il riconoscimento della responsabilità di questi soggetti per i danni derivanti dai cambiamenti climatici, chiedendo specificamente l’accertamento dell’inottemperanza agli obiettivi climatici internazionalie la condanna di Eni a limitare le emissioni annue aggregate.

Eni e gli altri soggetti convenuti avevano sollevato un’eccezione preliminare, sostenendo il “difetto assoluto di giurisdizione del giudice ordinario”, ritenendo che una causa climatica non fosse procedibile in Italia. Il Tribunale di Roma, il 17 luglio 2024, aveva quindi deciso di sospendere il procedimento e rimettere la questione alle Sezioni Unite della Cassazione.

Le cause climatiche sono ammissibili

La Cassazione ha stabilito che “la giurisdizione spetta all’Autorità giudiziaria italiana” e che il giudizio “dovrà proseguire” davanti al Tribunale di Roma. La Corte ha chiarito diversi principi fondamentali:

  • Le cause climatiche sono lecite e ammissibili nel sistema giuridico italiano, anche per quanto riguarda la condanna delle aziende fossili a limitare le emissioni;
  • Un contenzioso climatico non costituisce un’invasione nelle competenze politiche del legislatore o delle aziende;
  • I giudici italiani sono competenti anche per le emissioni prodotte dalle società Eni presenti all’estero, sia perché i danni vengono provocati in Italia, sia perché le decisioni strategiche sono assunte dalla società capogruppo italiana.

Nel provvedimento la Cassazione ha evidenziato che “non si riscontrano precedenti nella giurisprudenza di legittimità” sull’oggetto della domanda proposta.

La sentenza della Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite

Due giorni dopo, il 23 luglio 2025, la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia ha emesso un parere consultivo storico sui cambiamenti climatici. Il pronunciamento è arrivato al termine di un percorso avviato nel 2019 dal movimento studentesco “Pacific Islands Students Fighting Climate Change”, che ha mobilitato oltre 1.500 organizzazioni e nel 2023 ha ottenuto l’adozione della richiesta di parere consultivo da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

Conseguenze per gli Stati e obbligo di risarcimento

I giudici dell’Aia sono stati chiamati a rispondere a due quesiti fondamentali:

  • quali sono gli obblighi degli Stati per affrontare il cambiamento climatico per le generazioni presenti e future secondo il diritto internazionale;
  • quali sono le conseguenze giuridiche per gli Stati che non rispettano tali obblighi.

La Corte ha stabilito all’unanimità che i cambiamenti climatici rappresentano “una minaccia esistenziale” e che gli Stati hanno l’obbligo di ridurre il proprio impatto sul clima. Il tribunale ha chiarito che:

  • Gli Stati sono obbligati a rispettare gli impegni per proteggere il clima e l’ambiente dalle emissioni di gas serra causate dall’uomo;
  • Violare questi obblighi costituisce un illecito internazionale, di cui lo Stato deve assumere le responsabilità e porre rimedio ai danni causati;
  • Qualora gli Stati non riescano a ridurre il proprio impatto climatico, “hanno l’obbligo di risarcire”.

I parametri di riferimento giuridico

Il giudice Yūji Iwasawa, durante la lettura del parere, ha specificato che “le emissioni di gas serra sono inequivocabilmente causate dalle attività umane, che non sono limitate territorialmente”, nonostante il frequente rilancio di teorie negazioniste. Il punto di riferimento per determinare un’ambizione sufficiente è il limite di temperatura di 1,5°C previsto dagli Accordi di Parigi del 2015.

Il provvedimento ribadisce che il diritto a un ambiente pulito, sano e sostenibile costituisce una condizione preliminare e indispensabile per rispettare tutti gli altri diritti umani. L’obbligo si applica specificamente al consumo e all’estrazione di combustibili fossili e alla mancanza di una regolamentazione adeguata per favorire la transizione verso un’economia a zero emissioni. Un monito indiretto agli Usa di Donald Trump, che ha ritirato gli States dagli Accordi di Parigi, e tutti gli altri Paesi e istituzioni che vogliono fare marcia indietro sulle politiche verdi, tra cui Francia e Germania che hanno chiesto a Bruxelles di abbandonare il Green Deal.

Scenari | Altri articoli