Vino, sulle etichette arriva il “nuoce gravemente alla salute” come per le sigarette? 

Bruxelles insiste sui rischi dell’alcol, ma l’Italia non ci sta
17 Febbraio 2025
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Vino Bottiglia Bicchiere Canva

Le parole sono strumenti potenti. Possono informare, persuadere, confondere, mobilitare o dissuadere. Non sorprende, quindi, che siano al centro della polemica sulle cosiddette “etichette shock” che la Commissione Europea vorrebbe introdurre per segnalare i rischi legati al consumo di alcol, vino incluso. Il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, ha definito questa proposta “una follia” e “un tentativo di criminalizzazione del vino”, usando un linguaggio che richiama precedenti battaglie su altri temi alimentari. Il dibattito, tuttavia, non si esaurisce nella retorica politica. La scienza ha stabilito con chiarezza che non esiste una soglia sicura per il consumo di alcol.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ogni anno in Europa 800 mila persone muoiono per cause legate all’alcol. Eppure, solo una piccola percentuale di cittadini europei è consapevole dei rischi specifici. Una ricerca dell’Oms ha rivelato che appena il 14% degli intervistati sa che l’alcol può causare il cancro al seno, mentre solo il 39% è a conoscenza della correlazione tra alcol e tumori al colon. Numeri che spiegano perché le istituzioni sanitarie stiano premendo per l’adozione di etichette simili a quelle già presenti sui pacchetti di sigarette. La resistenza, però, è forte e arriva soprattutto dai grandi paesi produttori di vino come Francia, Spagna e Italia, per i quali il settore non è solo un’industria, ma un elemento identitario e culturale.

L’industria del vino tra tradizione e nuove sfide

Il vino è molto più di una semplice bevanda. Rappresenta un’eccellenza produttiva, una risorsa economica cruciale e un simbolo del “buon vivere” europeo. Con oltre 160 milioni di ettolitri prodotti annualmente, l’Unione Europea è il leader mondiale del settore, detenendo il 63% della produzione globale e quasi la metà della superficie viticola mondiale. L’Italia, con 49,7 milioni di ettolitri nel 2024, si conferma primo produttore ed esportatore di vino al mondo. La competitività del comparto si gioca non solo sulla qualità, ma anche sulle dinamiche del mercato globale, che negli ultimi anni ha dovuto affrontare ostacoli crescenti: dalle tensioni commerciali con gli Stati Uniti all’ipotesi di nuove tassazioni, passando per le incertezze legate ai cambiamenti climatici.

In questo scenario già complesso, l’introduzione di etichette sanitarie obbligatorie è vista da molti come una minaccia. Non tanto perché si neghino i rischi dell’alcol, ma perché si teme che un messaggio troppo allarmante possa disincentivare il consumo e danneggiare un settore che dà lavoro a milioni di persone. Le associazioni di categoria, da Coldiretti all’Unione Italiana Vini, insistono sulla necessità di un approccio equilibrato, che riconosca i danni dell’abuso senza demonizzare il prodotto in sé. Anche il governo italiano si è schierato con forza, come dimostrato dagli Stati Generali del Vino, convocati oggi, 17 febbraio, a Roma per discutere strategie di tutela del comparto.

Perché l’etichettatura è un nodo cruciale

Se il vino è cultura, è anche vero che la cultura evolve. E la conoscenza scientifica impone oggi una riflessione sui rischi legati all’alcol. I dati dimostrano che la percezione del pericolo è ancora bassa e che le etichette possono giocare un ruolo chiave nell’aumentare la consapevolezza. L’Irlanda ha già deciso di adottarle e gli Stati Uniti stanno valutando una mossa simile. In Italia, invece, la resistenza è forte e spesso viene accompagnata da una narrazione che presenta le misure sanitarie come un attacco ai prodotti tradizionali.

Il caso della carne coltivata è emblematico: il termine “sintetica”, ripetuto ossessivamente dal ministro Lollobrigida, ha contribuito a creare un’aura di diffidenza intorno a una tecnologia che potrebbe avere impatti significativi sulla sostenibilità. La stessa dinamica si ripropone ora con il vino.

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