TikTok ha annunciato il licenziamento di oltre 700 lavoratori in Malesia, per lo più impiegati nel controllo e nella moderazione dei contenuti sulla piattaforma.
Secondo quanto riportato da Reuters, ByteDance, la società madre di TikTok, ha deciso di automatizzare gran parte delle attività di moderazione grazie ai progressi nei sistemi di intelligenza artificiale. Circa l’80% dei contenuti che violano le linee guida della piattaforma viene ora rilevato in maniera automatica, eliminando la necessità di un monitoraggio umano diretto per gran parte dei casi.
L’Ai può moderare le chat?
La decisione di automatizzare il processo di moderazione arriva in un momento in cui le piattaforme social sono sotto pressione da parte dei governi di tutto il mondo per migliorare la sicurezza online, specialmente per i giovani utenti. Secondo la società, la scelta di affidarsi all’Ai consentirà di rendere il processo più rapido ed efficace, permettendo di individuare e rimuovere contenuti inappropriati in modo più tempestivo.
Ma il fatto che questo si traduca in dei licenziamenti non fa dormire sonno tranquilli. E non solo in Malesia. Inoltre, sebbene l’Ai possa rilevare gran parte dei contenuti o commenti problematici, ci dubbi sulla capacità delle tecnologie automatizzate di comprendere le sfumature culturali, i contesti sociali e i dettagli complessi che spesso richiedono un giudizio umano. TikTok ha dichiarato che investirà 2 miliardi di dollari per migliorare la sicurezza della piattaforma a livello globale, ma ci sono dei limiti tecnologici che non possono essere superati, neanche a suon di miliardi.
La moderazione automatica rischia infatti di non essere sufficientemente precisa in casi che necessitano di una comprensione più profonda delle norme culturali e del contesto. Un esempio che si ripete spesso è l’utilizzo della parola ‘Vesuvio’ seguita dalla implorazione di fare qualcosa di distruttivo, che non viene compresa dalla Ai.
Automazione nei social, il caso Meta
L’uso dell’intelligenza artificiale per la moderazione dei contenuti non è una novità nel settore delle piattaforme social. Anche altre società, come Facebook (Meta), hanno introdotto soluzioni simili per gestire la mole crescente di contenuti generati dagli utenti. Anche in questo caso, l’Ai si è dimostrata inefficace. Instagram è finita nel polverone per la rimozione automatica di contenuti che non violavano le linee guida della piattaforma, dimostrando come l’Ai possa avere difficoltà a interpretare il contesto in modo adeguato. Molto dibattuto anche il tema del nudo artistico, spesso bannato dalla piattaforma pur non essendo volgare, né un nudo integrale.
L’Ai sostituirà l’essere umano?
Accanto alla preoccupazione di affidare la moderazione a strumenti di intelligenza artificiale c’è quella ancora maggiore sui lavoratori. Che fine faranno? Saremo tutti sostituiti dall’Ai?
Tra catastrofisti e super entusiasti, forse la risposta è nel mezzo. L’Intelligenza artificiale sostituirà (e sta già sostituendo) l’essere umano nelle attività ripetitive o con un livello di output richiesto medio-basso. Mentre questi strumenti si diffondo sempre di più, si consolida l’idea che non saranno travolti dalla rivoluzione solo le persone estremamente skillate che sono capaci di:
- Supervisionare il lavoro fatto dagli strumenti di Ai, per correggerlo o assumersi la responsabilità del contenuto;
- Ottimizzare l’output generato da questi strumenti per portarlo da un livello medio-basso a un livello eccellente.
Insomma, la sensazione è che l’essere umano avrà sempre meno spazio nel lavoro ordinario, “di massa”. Quest’ultima definizione identifica bene la portata di questa rivoluzione tecnologica: la maggior parte dei lavoratori potrà essere sostituita dall’Ai. Una strada per evitare questo scenario è studiare l’intelligenza artificiale e imparare ad usarla per migliorarne l’output.
Il ruolo della formazione
Non a caso, annunciando un maxi investimento da 4,3 miliardi in Italia, Microsoft ha messo al centro la formazione degli italiani su questa tecnologia.
Mentre le tecnologie possono automatizzare molte attività e incrementare la produttività, il vero vantaggio competitivo risiederà nella capacità dei lavoratori di utilizzare queste tecnologie in modo creativo e strategico. La formazione, quindi, non riguarda solo l’apprendimento tecnico, ma anche lo sviluppo di competenze trasversali come il problem-solving, la gestione dei dati e la capacità di lavorare con algoritmi avanzati.
Un rapporto di TEHA Group e Microsoft Italia evidenzia come il 63% degli imprenditori riconosca una mancanza di competenze legate all’Ia generativa. Nonostante ciò, il potenziale economico di un’adozione diffusa dell’Ia è enorme: secondo le stime, il Pil dell’Italia potrebbe aumentare di 312 miliardi di euro (annui) nei prossimi 15 anni, con un impatto significativo soprattutto sulle piccole e medie imprese e sul settore del Made in Italy.
Con la diffusione di una tecnologia così rivoluzionaria, la sfida è colmare il divario di competenze per evitare che molti restino indietro. Non si tratta solo di dare sostegno (si veda l’idea di istituire un reddito universale di 1.000 dollari al mese per tutti). Escludere, direttamente o indirettamente, qualcuno dalla conoscenza dell’Ai, potrebbe significare escluderlo dai processi decisionali e da quasi tutte le dinamiche produttive e sociali.
L’Ai e il futuro del lavoro
Di sicuro, il lancio di ChatGPT da parte di Open Ai è stato un momento spartiacque. Non ci sarà spazio per le mezze misure: la condizione degli esseri umani o peggiorerà o migliorerà esponenzialmente.
La prospettiva negativa è sotto gli occhi di tutti e riguarda il rischio di perdere il lavoro come avverrà a circa 700 dipendenti di TikTok. Se utilizzata in modo etico, però, l’Ai potrebbe aiutare l’essere umano nella gestione di crisi epocali come quella ambientale e quella demografica.
Secondo le previsioni, entro il 2040 il Paese perderà circa 3,7 milioni di lavoratori a causa dell’invecchiamento della popolazione, con un impatto stimato sul Pil di 267,8 miliardi di euro.
In questo contesto, l’Ai può diventare uno strumento chiave per mantenere elevati livelli di produttività, nonostante la riduzione della forza lavoro.
Pwc stima che l’intelligenza artificiale generativa possa far aumentare il Pil mondiale del 26% entro il 2030. Una stima sull’Italia arriva da Accenture, secondo cui la maggiore diffusione dell’Ai potrebbe generare un aumento del Pil di circa il 2,9% entro il 2035 solo per il Belpaese. Bisogna tuttavia riconoscere che, al momento, è difficile fare delle stime precise sull’impatto che questa tecnologia potrà avere in futuro.
Di certo, come dimostra il maxi licenziamento da parte di TikTok, non si può restare inermi di fronte a questa rivoluzione.