Che lo smart working fosse un alleato dei lavoratori è cosa nota. Chiedere, soprattutto ma non solo, ai neogenitori per conferma. Che sia un alleato per l’ambiente è intuibile, dal momento che chi lavora da casa non deve raggiungere l’ufficio. Che il risparmio per l’ambiente fosse quello emerso in questi giorni, invece, è una bella notizia per milioni di italiani.
Il rapporto sulla gestione e sostenibilità realizzato da Banca d’Italia ha quantificato con precisione l’impatto positivo dello smart working sulle emissioni di gas serra. I detrattori dello smart working sostengono che chi lavora da casa compensa le emissioni perché consuma energia (soprattutto per radiatori, climatizzatori e luce) solo per sé stesso, ma i numeri smentiscono questa ricostruzione.
Dal rapporto emerge una doppia sostenibilità – ambientale e sociale – che prova a farsi spazio nel mercato del lavoro italiano, ancora poco recettivo.
Come lo smart working riduce le emissioni
La misurazione condotta da Bankitalia offre un quadro dettagliato dei benefici ambientali del lavoro da remoto:
- Spostamenti casa-lavoro: ogni dipendente produce 4,1 chilogrammi di anidride carbonica equivalente al giorno per raggiungere la sede di lavoro. Anche nella città italiana più servita dai mezzi, ovvero Milano, solo il 15% dei lavoratori utilizza esclusivamente il trasporto pubblico per raggiungere la sede;
- Consumi domestici aggiuntivi: l’energia elettrica e termica extra utilizzata a casa ammonta a soli 1,1 chilogrammi di CO2 equivalente;
- Bilancio netto positivo: il risparmio complessivo per ogni giornata di smart working è di 3 chilogrammi di CO2 per dipendente.
Non si tratta di una misurazione isolata. La ricerca Enea su Roma, Torino, Bologna e Trento nel quadriennio 2015-2018 aveva già evidenziato numeri ancora più significativi su scala annuale:
- 600 chilogrammi di CO2 evitati per lavoratore all’anno (-40% delle emissioni);
- 150 ore di tempo risparmiate in spostamenti;
- 3.500 chilometri in meno percorsi individualmente;
- 260 litri di benzina o 237 litri di gasolio non consumati;
- Riduzione di altri inquinanti: lo smart working comporta anche il taglio di ossidi di azoto (da 14,8 grammi a Trento a 7,9 grammi a Torino per persona al giorno), monossido di carbonio (da 38,9 grammi a Roma a 18,7 grammi a Trento) e polveri sottili Pm10 (da 1,6 grammi a Roma a 0,9 grammi a Torino).
La diffusione dello smart working in Italia
Secondo i più recenti rapporti dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, nel 2024 hanno lavorato da remoto 3,55 milioni di lavoratori, con una lieve flessione rispetto ai 3,58 milioni del 2023 (-0,8%). Come la maggior parte delle misure di welfare aziendale, anche il lavoro agile è concentrato nelle grandi realtà:
- Grandi imprese: 1,91 milioni di smart worker (+1,6% sul 2023), pari al 96% delle grandi organizzazioni che hanno consolidato iniziative di lavoro agile. I dipendenti possono lavorare da remoto in media 9 giorni al mese;
- Piccole e medie imprese: il trend è in calo, con 520mila lavoratori coinvolti rispetto ai 570mila del 2023. La media di smart working mensile si attesta a 6,6 giorni. Solo l’8% delle Pmi prevedeva un aumento per il 2025;
- Microimprese: sostanzialmente stabili, con 625mila lavoratori nel 2024 contro i 620mila del 2023;
- Pubblica amministrazione: 500mila dipendenti in smart working nel 2024 (515mila nel 2023), con una media di 7 giorni di lavoro da remoto al mese. In fase di ricerca, il 43% delle Pa aveva previsto un incremento nel 2025. Il nuovo contratto pubblico ha effettivamente rafforzato questo pilastro.
Smart working indispensabile per i dipendenti?
Dall’indagine è emerso che il 73% degli smart worker si opporrebbe se la propria azienda eliminasse questa forma di flessibilità. Nel dettaglio, il 27% penserebbe seriamente di cambiare lavoro, mentre il 46% si impegnerebbe per far cambiare idea al datore di lavoro. Per compensare l’eventuale eliminazione dello smart working, i lavoratori chiederebbero maggiore flessibilità oraria o un aumento di stipendio del 20%.
Nonostante la crescita interna, l’Italia rimane indietro rispetto alla media europea. Secondo Eurostat, nel 2022 solo il 12,2% degli occupati tra i 15 e i 64 anni svolgeva il proprio lavoro occasionalmente o abitualmente da casa, corrispondente a 2,734 milioni di lavoratori. Un dato che posiziona il Paese agli ultimi posti tra i 27 Stati Ue, ben al di sotto della media europea del 22,4%. Inoltre, un’analisi Eurostat riferita al 2023 mostra che solo il 4,4% dei lavoratori italiani ha beneficiato dello smart working per almeno metà del monte ore settimanale, contro una media Ue del 9%.
Da un punto di vista demografico, lo smart working rappresenta lo strumento più prezioso di conciliazione vita privata-lavoro, uno dei pochi in grado di sostenere concretamente il percorso dei neogenitori.
Il mito della produttività che cala
Alcuni esempi virtuosi smentiscono il tabù del calo di produttività correlato al lavoro da casa. Anzi, gli esperimenti dicono che un datore di lavoro più flessibile fa felice il lavoratore e che un lavoratore felice rende di più. Una soluzione win-win che sembra pura utopia e invece è realizzabile, come dimostra l’esperienza di Sace. Il gruppo assicurativo-finanziario italiano partecipato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze ha sperimentato con successo un nuovo modello chiamato Flex4Future che, tra le varie misure, prevede anche la settimana corta e lo smart working. Come spiega la compagnia sul proprio sito, “i pilastri del modello, sviluppato con l’accordo delle organizzazioni sindacali, sono l’eliminazione dei controlli sulle timbrature e smart working activity-based (ovvero quando la presenza fisica non è indispensabile per l’espletamento delle attività, ndr.), a cui si aggiunge la sperimentazione su base volontaria della settimana di 4 giorni”.
I risultati, raccolti lungo un intero anno, sono eloquenti: il 65% dei dipendenti ha riportato un migliore work-life balance, il 58% si è sentito più responsabile e più capace di gestire obiettivi e attività, il 47% ha riferito un calo dello stress lavorativo. E la produttività è aumentata del 26%.
Per approfondire: Settimana corta, smart-working e addio badge: così Sace ha aumentato il benessere dei lavoratori e la produttività
Anche Bankitalia rappresenta un caso virtuoso: il 38% delle giornate lavorative viene svolto da remoto, con punte del 42% nell’amministrazione centrale e del 28% in quelle periferiche, secondo quanto riportato nei documenti ufficiali dell’istituto. Un modello che dimostra come sostenibilità ambientale, organizzazione del lavoro e interessi aziendali possano trovare un equilibrio vincente, riducendo l’impronta carbonica senza compromettere l’efficienza operativa.