Il datore di lavoro non può geolocalizzare i dipendenti in smart working. Ad affermarlo è il Garante per la protezione dei dati personali. La decisione è arrivata in seguito a un’indagine su un’azienda che monitorava la posizione di circa cento lavoratori, senza una base giuridica adeguata e con procedure invasive.
Nel mondo del lavoro moderno, infatti, lo smart working è diventato una prassi sempre più diffusa, offrendo ai dipendenti maggiore flessibilità e alle aziende nuove opportunità di gestione. Dopo la pandemia da Covid-19, la maggior parte delle aziende italiane non ha ancora invertito del tutto la rotta con un ritorno obbligatorio alla modalità totalmente in presenza. Tuttavia, questa trasformazione digitale porta con sé anche nuove sfide, soprattutto in tema di privacy e controllo dei lavoratori.
Il caso dell’azienda sanzionata
Il provvedimento del Garante per la Privacy prende spunto da un reclamo di una dipendente e da una segnalazione dell’Ispettorato della Funzione Pubblica. L’azienda in questione monitorava i lavoratori attraverso strumenti tecnologici, chiedendo loro di attivare la geolocalizzazione dei dispositivi e di confermare la propria posizione con app e via e-mail.
“Numerose le violazioni riscontrate dal Garante – si legge in una nota -, intervenuto a seguito di un reclamo di una dipendente e di una specifica segnalazione da parte dell’Ispettorato della Funzione Pubblica”. E aggiunge: “Dall’istruttoria è infatti emerso che l’Azienda effettuava un monitoraggio dei propri dipendenti per verificare l’esatta corrispondenza tra la posizione geografica in cui si trovavano e l’indirizzo dichiarato nell’accordo individuale di smart working, anche in base a specifiche procedure di controllo mirato. In particolare – ha spiegato il Garante -, in base a tali procedure, il personale, scelto a campione, veniva contattato telefonicamente dall’Ufficio controlli con la richiesta di attivare la geolocalizzazione del pc o dello smartphone, effettuando una timbratura con un’apposita applicazione, e di dichiarare subito dopo, tramite un’e-mail, il luogo in cui in quel preciso momento si trovava fisicamente”.
“A tale richiesta – continua la nota -, seguivano poi le verifiche e gli eventuali procedimenti disciplinari dell’Azienda. Il tutto in assenza di un’idonea base giuridica e di un’adeguata informativa, oltre alle conseguenti interferenze nella vita privata dei dipendenti e a numerose altre violazioni del Regolamento europeo e del Codice”.
Controllo o sorveglianza? Un confine sottile
Il tema del monitoraggio a distanza solleva interrogativi complessi. Se da un lato le aziende hanno il diritto di garantire che il lavoro venga svolto correttamente, dall’altro è fondamentale bilanciare il controllo con il rispetto della dignità e della libertà individuale.
Secondo il Garante, l’uso di strumenti tecnologici per tracciare la posizione dei dipendenti è eccessivo e non conforme alla normativa vigente, in particolare allo Statuto dei lavoratori e al quadro costituzionale italiano.
Il lavoro agile nel futuro
Questa multa rappresenta un punto di svolta nella gestione del lavoro agile e nella protezione della privacy. In un’epoca in cui il lavoro da remoto sta ridefinendo le dinamiche professionali, sarà cruciale trovare nuove forme di controllo non invasive, basate su obiettivi di risultato piuttosto che su metodi di sorveglianza diretta.
“Le diverse esigenze di controllo dell’osservanza dei doveri di diligenza del lavoratore in smart working – ha ricordato il Garante – non possono infatti essere perseguite, a distanza, con strumenti tecnologici che, riducendo lo spazio di libertà e dignità della persona in modo meccanico e anelastico, comportano un monitoraggio diretto dell’attività del dipendente non consentito dallo Statuto dei lavoratori e dal quadro costituzionale”.
Attualmente, in Italia ci sono circa 3,55 milioni di lavoratori che operano in smart working. Questo numero, rilevato dall’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, è rimasto sostanzialmente stabile rispetto al 2023, quando erano 3,58 milioni.
Per il 2025, si prevede una crescita del 5%, che potrebbe portare il numero totale di smart worker a 3,75 milioni. Interessante notare che il 73% dei lavoratori in smart working si opporrebbe a un ritorno obbligatorio in ufficio, con molti che chiederebbero maggiore flessibilità oraria o un aumento di stipendio del 20% per compensare la perdita di questa modalità di lavoro.
La decisione del Garante, quindi, è un importante monito per tutte le imprese che adottano lavoro agile. La tutela della privacy non deve essere vista come un ostacolo, ma come un valore fondamentale che rafforza il rapporto di fiducia tra datore di lavoro e dipendente.
L’equilibrio tra controllo aziendale e diritti del lavoratore sarà una delle sfide più grandi del futuro del lavoro. Il rispetto della normativa, accompagnato da un approccio etico alla gestione del personale, sarà essenziale per garantire un ambiente lavorativo sostenibile e rispettoso.