Il lavoro da remoto ha allentato il vincolo dell’ufficio, ma ha lasciato quasi intatta l’organizzazione delle giornate. Cambia il luogo, non la struttura del tempo: stessi orari, stesse scansioni, stessi confini tra ciò che è produttivo e ciò che non lo è. La flessibilità promessa si ferma spesso alla superficie, mentre la distribuzione reale delle ore resta invariata.
Dentro questo scarto prende forma Smart Walking, un uso diverso dello spazio e del lavoro che non passa per la sospensione dell’attività professionale ma per il suo spostamento. Camminare non come pausa concessa al margine, né come esperienza separata, ma come parte integrante della giornata lavorativa. Il lavoro non viene messo tra parentesi, viene portato lungo il percorso: occupa il pomeriggio, convive con il movimento senza essere ridotto a eccezione.
Nel 2025 questa impostazione viene applicata in modo continuativo lungo l’intera parte italiana della Via Francigena. Non come gesto simbolico, ma come pratica ordinaria: lavorare ogni giorno da un luogo diverso, raggiunto a piedi. È nella ripetizione quotidiana, più che nell’impresa in sé, che questa modalità diventa osservabile e produce effetti misurabili sull’organizzazione del tempo e sui territori attraversati.
A sperimentarla è Davide Fiz, testimonial ufficiale dell’Associazione Europea delle Vie Francigene e ideatore del progetto, che ha raccontato a Prometeo l’attraversamento integrale della Francigena italiana senza separare il tempo del cammino da quello professionale. In questo quadro il cammino non è il tema, ma il campo di prova.
Smart Walking riorganizza il lavoro
Il progetto Smart Walking nasce da una frattura personale precisa. “A 45 anni mi sono ritrovato a partire praticamente da zero”, racconta Fiz a Prometeo, ripercorrendo la fine di una relazione, il ritorno a casa dopo anni vissuti altrove, il cambio di lavoro: un reset operativo che porta a rimettere in discussione l’organizzazione della propria vita.
Poi l’intuizione durante un cammino verso Santiago, in un contesto segnato dagli anni della pandemia. Fiz si domanda: “Ma perché devo sempre demandare alle ferie, alle vacanze, la possibilità di camminare e viaggiare a piedi?”. La risposta è pratica: “Ho la partita IVA, posso lavorare da ovunque”. Il lavoro non viene sospeso per camminare, viene portato con sé.
Il primo anno è sperimentale: venti cammini in venti regioni italiane, uno per regione. Serve a verificare se la sovrapposizione tra lavoro e movimento possa reggere senza trasformarsi in eccezione. Fin dall’inizio Fiz chiarisce un punto: “Non ho mai fatto il mio progetto pensando di essere un esempio replicabile da tutti”. Non c’è l’intenzione di proporre un modello universale, ma di verificare una possibilità in condizioni reali, senza idealizzazioni.
La giornata viene organizzata in due blocchi distinti. Cammino al mattino, lavoro nel pomeriggio. Sveglia presto, tappe di 15-20 chilometri, arrivo in un centro abitato nel primo pomeriggio. B&B, ostelli, talvolta ospitalità privata. Poi il computer, le call, la gestione commerciale per due aziende di videoproduzione.
“La connessione oggi si trova ovunque, anche nei paesi più remoti. Al limite lavoro in hotspot con il cellulare”. Il nodo non è tecnologico, è organizzativo. “Dal punto di vista lavorativo bisogna avere una forte mentalità e spirito di adattamento”.
La Francigena come infrastruttura
La Via Francigena collega Canterbury a Roma, proseguendo fino a Santa Maria di Leuca, antico punto d’imbarco verso la Terra Santa. Oltre tremila chilometri complessivi, cinque Paesi attraversati, sedici regioni italiane, più di seicento comuni coinvolti. Un tracciato che segue sentieri di montagna, strade bianche e viabilità minore, entrando nei centri abitati invece di aggirarli.
Nel 2025, anno del Giubileo, l’attenzione torna a concentrarsi sull’arrivo a Roma. L’impatto più rilevante, però, riguarda ciò che accade lungo il percorso. Il tratto italiano, circa duemila chilometri dal Passo del Gran San Bernardo alla Puglia meridionale, è progettato per essere accessibile. “Dal punto di vista della difficoltà fisica non è impegnativo”, osserva Fiz.
Questa accessibilità consente una percorrenza costante lungo l’intero tracciato. La verifica non riguarda la resistenza fisica, ma la continuità dei servizi: accoglienza, segnaletica, attraversamenti urbani, connessioni. Percorrerla lavorando significa occupare un posto letto ogni sera, chiedere reti stabili ogni pomeriggio, attraversare senza deviazioni periferie e soglie urbane.
L’attraversamento continuo restituisce un’immagine dell’Italia che sfugge alle rappresentazioni turistiche. Le periferie urbane diventano passaggi obbligati. “Quando un cammino ti fa entrare in una città attraverso le periferie, ti rendi conto di come qualcosa sia andato storto nell’evoluzione degli insediamenti”. Spazi progettati per l’automobile, non per il passaggio umano.
Nelle aree interne il quadro cambia. L’Appennino, in particolare il tratto tra Emilia-Romagna, Liguria e Toscana, restituisce una continuità territoriale che altrove si perde. Scendendo verso sud, oltre Roma, la Francigena diventa meno frequentata. “La Via Francigena del Sud è un percorso nuovo, ancora poco frequentato”. Campania e Puglia interna mostrano territori meno standardizzati, dove il passaggio a piedi apre relazioni dirette.
Il confronto con altri grandi cammini europei è inevitabile. Fiz ne ha percorsi diversi verso Santiago de Compostela. Per lui: “La Via Francigena in Italia è molto più bella di Santiago, ma ci hanno creduto di più”. La differenza non è nella varietà dei paesaggi, ma nella costruzione del sistema.
Il lavoro visto dai territori
La quotidianità lungo il percorso rende visibili dinamiche che restano nascoste nel turismo stagionale. Attraversando aree interne e piccoli comuni, l’esperienza mette alla prova un luogo comune diffuso: che fuori dalle grandi città manchino le condizioni minime per lavorare. “Non ho trovato problematiche infrastrutturali, nemmeno sulla connessione”, racconta Fiz.
Ciò che cambia è il contesto umano. Nei centri minori il tempo ha un’altra densità, le relazioni non sono filtrate dalla fretta. “Quando tu arrivi in un luogo con un mezzo meccanico, le persone mettono sempre uno spazio di difesa. Se arrivi a piedi, sei accolto in maniera diversa”. L’arrivo lento modifica l’accoglienza, riduce la distanza, produce scambi che non passano da intermediazioni formali.
Questo non rende il metodo estendibile a chiunque. Non tutti i lavori sono remotizzabili, non tutte le fasi della vita consentono una mobilità prolungata. Proprio per questo l’esperienza diventa indicativa: mostra dove il lavoro può innestarsi senza concentrazione urbana e dove invece incontra limiti legati all’organizzazione dei servizi e dello spazio pubblico.
Vivere senza indirizzo
Vivere per anni senza un indirizzo fisso modifica il rapporto con l’identità. “Sono diventato apolide. Vivo nel mondo”, dice Fiz. Nato a Genova, cresciuto a Livorno, vissuto a Palermo e alle Canarie, oggi si muove tra territori diversi senza una base stabile. Ogni giorno dorme in un luogo diverso. “Per una giornata sono abitante temporaneo di un luogo”.
Lo zaino diventa l’unità minima di stabilità. Due cambi di vestiti, il computer, pochi oggetti. “Con otto chili di zaino ho vissuto gli anni più belli della mia vita”. Ridurre il necessario non è una scelta simbolica, ma una condizione funzionale a una vita in movimento. Tornare in una casa piena di oggetti rende evidente lo scarto. “Quando torno a casa e vedo cinquanta maglioni e dieci paia di scarpe, mi spavento”.
Questa sottrazione materiale incide anche sul modo di stare nei luoghi. Lungo la Via Francigena, l’assenza di un’appartenenza stabile sposta l’attenzione sulle relazioni immediate. Ogni arrivo è temporaneo, ogni permanenza limitata, e proprio per questo più diretta. Camminatori, abitanti dei borghi, artigiani, ospitanti occasionali diventano i riferimenti quotidiani. “Camminando da solo ti conosci tanto”, osserva Fiz. Ma è nel rapporto non mediato con le persone incontrate lungo il percorso che il passaggio continuo smette di essere solo spostamento e produce effetti concreti.
L’esperienza di Fiz non viene presentata come alternativa generalizzabile, ma come verifica sul campo di una possibilità concreta: lavorare fuori da un luogo fisso senza ridurre il lavoro a parentesi. In questo senso Smart Walking intercetta una trasformazione già in atto, che riguarda una parte specifica del lavoro autonomo e professionale, reso mobile dalla diffusione del remoto ma ancora ancorato a una struttura temporale rigida.
Attraversare territori lavorando ogni giorno rende visibile un aspetto spesso trascurato: la differenza tra accesso occasionale e presenza continuativa. Non si tratta di turismo, né di residenza. È una condizione intermedia che mette sotto pressione servizi, accoglienza e organizzazione locale senza la protezione dell’evento o della stagionalità. La Francigena, in questo senso, funziona come un asse di lettura: non per ciò che rappresenta, ma per ciò che deve sostenere.
Il dato che emerge non riguarda solo il cammino. Riguarda il rapporto tra lavoro, tempo e territorio in una fase in cui la mobilità non coincide più con l’eccezione. Smart Walking non propone soluzioni, ma rende osservabili vincoli che restano invisibili finché il lavoro resta concentrato nello stesso luogo, anche quando viene definito “flessibile”.
Dai percorsi attraversati a quelli progettati
Terminato l’attraversamento della Francigena, Fiz è rientrato in Liguria, dove vive oggi in un piccolo centro dell’Appennino, e sta lavorando alla definizione del Cammino degli Amaretti, un anello di circa cento chilometri che collega il mare all’entroterra.
Il progetto è costruito a partire da un criterio operativo: tappe brevi, attraversamento di piccoli comuni, possibilità di fermarsi a lavorare senza concentrare tutto lo spostamento nelle prime ore della giornata. Non è pensato per grandi flussi né per un utilizzo occasionale, ma per una percorrenza compatibile con una routine quotidiana. In parallelo Fiz sta lavorando a un secondo itinerario in Campania, in provincia di Caserta, il Cammino dei Nomadi Digitali, anch’esso strutturato come anello e rivolto a chi lavora da remoto.
In entrambi i casi l’attenzione è rivolta meno al tracciato in sé che alle condizioni di utilizzo: dove si dorme, quanto si cammina, quando si lavora, quali servizi devono essere disponibili ogni giorno. La progettazione parte dall’organizzazione del tempo prima ancora che dalla geografia.
Accanto a questi percorsi, Fiz ha avviato collaborazioni con iniziative educative itineranti come Strade Maestre, che sperimentano forme di apprendimento in movimento. Esperienze diverse, ma accomunate da una stessa impostazione: verificare cosa accade quando lavoro, studio e spostamento non vengono separati in compartimenti stagni.









