Mentre ci si chiede se l’intelligenza artificiale abbia davvero la coscienza, se ci ruberà il lavoro, e se saremo minacciati dalle sue scelte, la rivoluzione della robotica è iniziata.
Già ora, in alcune fabbriche cinesi ci sono dei robot umanoidi che spostano cassette sui nastri trasportatori e fanno altre attività manuali, sostituendo intere squadre di operai. Non è un esperimento isolato, ma l’anticamera di cosa accadrà nei prossimi cinque anni.
Ecco cosa succede in una fabbrica di Shenzen:
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L’accelerazione cinese verso il dominio robotico
Come riporta la Federazione internazionale di robotica, la Cina ha superato ogni altro Paese nella densità robotica industriale, con più robot per 10.000 lavoratori manifatturieri rispetto a qualsiasi altro Stato, eccetto le vicine Corea del Sud e Singapore. Nelle fabbriche più moderne, come quella di Zeekr a Ningbo, centinaia di bracci robotizzati saldano carrozzerie in quelle che vengono chiamate “fabbriche oscure”, poiché funzionano senza intervento umano né illuminazione.
Pechino ha trasformato la robotica in una priorità strategica nazionale: Xi Jinping vuole vincere a tutti i costi la gara tecnologica con gli Stati Uniti d’America, esacerbata dalle tensioni commerciali con l’amministrazione Trump. Negli scorsi giorni è arrivata una tregua, ma il percorso è segnato.
La gara con gli Usa
Il premier Li Qiang ha annunciato che lo sviluppo di robot intelligenti sarà “vigorosamente sostenuto” dallo Stato, con un fondo nazionale pari a 137 miliardi di dollari per finanziare la robotica avanzata. A questo si aggiungono prestiti di 1.900 miliardi di dollari delle banche statali all’industria negli ultimi quattro anni.
Il confronto tra le due superpotenze si gioca su due fronti: quello dell’Ai ‘non fisica’ (tra gli altri, ChatGPT e Claude, DeepSeek e ManusAi) e quello della robotica. Se sul primo fronte domina l’America, sul secondo il Dragone fa la voce grossa. La Cina si appresta a conquistare oltre il 50% della produzione mondiale di robot umanoidi nel 2024, con più di 10.000 unità prodotte e un fatturato di 8,24 miliardi di yuan (circa 1,14 miliardi di dollari). Il mercato dell’intelligenza incarnata – robot che combinano Ai avanzata con capacità fisiche simili a quelle umane – potrebbe raggiungere il valore di 103,8 miliardi di yuan entro il 2030, ovvero 13,49 miliardi di euro.
Gli States sono indietro nella quantità di robot, ma raggiungono elevati standard qualitativi. Basta vedere come si muove (e danza) il nuovo robot di Tesla per capire che l’esito di questo confronto commerciale è ancora da scrivere.
E forse sarebbe meglio non scriverlo. Se Cina e Stati Uniti decidessero di continuare la gara dell’Ai senza porsi dei limiti, subentrerebbero dei rischi concreti per tutta l’umanità. Lo spiega approfonditamente lo studio “Ai 2027”, mentre i risultati shock dei testi fatti su Claude Opus 4 mostrano che questa tecnologia può minacciare l’umanità nei prossimi anni, non tra decenni o secoli.
Quali lavori spariranno per primi?
Contrariamente alle aspettative, la rivoluzione dell’intelligenza artificiale non colpirà solo i lavori manuali, anzi. Secondo uno studio Focus Censis Cooperative, nei prossimi dieci anni, in Italia, saranno soprattutto i lavoratori più qualificati a subire l’Ai, mentre altri dovranno imparare ad integrarla nel proprio lavoro. L’identikit del lavoratore più esposto all’intelligenza artificiale è una donna laureata del Nord e Centro Italia, che lavora come analista dei dati o specialista nella finanza.
Se passiamo alla robotica, invece, l’identikit del lavoratore più esposto all’automazione è un giovane impiegato maschio, tra i 15 e i 24 anni, con basso titolo di studio, che opera in settori ad alta manualità come costruzioni, turismo e logistica.
Secondo McKinsey & Company, i settori più vulnerabili entro il 2030 sono:
- manifatturiero (60%);
- trasporti e logistica (55%);
- servizi amministrativi (47%);
- finanza e assicurazioni (43%).
Nuovi posti di lavoro con l’Ai?
Il World Economic Forum offre uno scenario ambivalente nel suo Future of Jobs Report 2025: entro il 2030, 92 milioni di posti di lavoro spariranno, ma ne nasceranno 170 milioni di nuovi. Il saldo positivo di 78 milioni di posizioni nasconde però una verità scomoda: non saranno gli stessi lavoratori di prima a beneficiarne. La transizione richiederà competenze radicalmente diverse, emergeranno ruoli come specialisti Ai, data analyst, esperti di cybersecurity, ingegneri dell’automazione e professionisti della sostenibilità. Il 63% delle aziende identifica il divario di competenze come ostacolo critico al cambiamento.
Robot umanoidi, dalla fabbrica alla realtà quotidiana
La robotica si fa sempre più spazio tra Oriente e Occidente. La statunitense Boston Dynamics ha annunciato che il suo robot Atlas, completamente elettrico, sarà utilizzato in una fabbrica Hyundai entro la fine dell’anno. È la prima volta che l’azienda impiega un robot umanoide in un contesto commerciale reale.
Foxconn, il gigante taiwanese che assembla gli iPhone, sta già integrando i robot umanoidi della cinese Ubtech nelle linee di produzione: il Walker S1, capace di trasportare carichi fino a 16,3 kg, può gestire compiti complessi dopo un’intensa formazione di due mesi.
L’impatto demografico: salvezza o condanna?
In Italia, e negli altri Paesi in crisi demografica, l’intelligenza artificiale potrebbe essere un’ancora di salvezza per l’industria. Tra culle vuote e fuga dei cervelli, si stima che il Belpaese perderà 1,7 milioni di lavoratori entro i prossimi cinque anni. Nel frattempo, aumenta il peso delle pensioni perché l’aspettativa di vita continua a crescere (+5 mesi solo nel 2024).
È indubbio che la digitalizzazione potrebbe aiutare a bilanciare il mismatch tra domanda e offerta, ma questa transizione non sarà indolore. Le economie avanzate vedranno il 60% dei posti di lavoro influenzati dall’intelligenza artificiale, con metà che potrebbero beneficiare in termini di produttività e l’altra metà a rischio di diminuzione della domanda di manodopera.
La strategia cinese: collaborazione, non sostituzione
Pechino, che da settembre insegnerà l’Intelligenza artificiale a scuola a partire dai bambini di sei anni, offre una narrativa diversa. Liang Liang, vicedirettore della Beijing Economic-Technological Development Area, sostiene che l’obiettivo è “aumentare l’efficienza e ampliare l’operatività delle imprese”, non generare disoccupazione. I robot umanoidi saranno destinati a contesti ad alta pericolosità o scenari estremi, lasciando spazio all’uomo per compiti di creatività e supervisione.
La promessa non è quella di rimpiazzare l’essere umano, ma di affiancarlo. In molte fabbriche del futuro, robot e lavoratori umani potrebbero operare fianco a fianco, ciascuno con compiti complementari, affidando agli umanoidi le attività più ripetitive, pesanti e pericolose.
Il rischio è che questa transizione venga mal gestita, con gravi ricadute occupazionali e sociali. La tecnologia è pronta. Ora tocca a noi decidere come e con quali regole accoglierla. Perché se lasciata al solo mercato, rischia di accentuare le disuguaglianze e la precarietà invece di creare valore condiviso.