“Danni debilitanti ai nervi dei genitali” per un caffè bollente: Starbucks dovrà risarcire il rider con 50 milioni di dollari

Lo ha stabilito una giuria della California accogliendo le richieste dell’accusa, che considera l’azienda responsabile per non aver chiuso bene la bevanda
19 Marzo 2025
3 minuti di lettura
Rider Ustionato Starbucks Video Screenshot
Uno screenshot del video che riporta l'incidente

Starbucks dovrà risarcire con 50 milioni di dollari un rider rimasto gravemente ustionato da un caffè del colosso americano. Lo ha stabilito una giuria della California accogliendo le richieste dell’accusa, che considera l’azienda responsabile per non aver chiuso bene la bevanda prima di consegnarla al fattorino. In attesa dell’appello (già annunciato da Starbucks), la sentenza potrebbe rappresentare un precedente importante nell’ambito della sicurezza sul lavoro soprattutto nell’ambito della gig economy (che si basa su rapporti di lavoro a chiamata, occasionali e temporanei).

L’incidente subito dal rider

L’incidente risale al 2020 quando Michael Garcia, fattorino in servizio a Los Angeles, ha ricevuto un vassoio con tre caffè americani bollenti mentre attendeva al drive-through. Pochi secondi dopo, la bevanda si è riversata sul suo corpo, provocando ustioni gravissime alle gambe e ai genitali.

La vicenda, documentata da un video divenuto virale nelle ultime ore, mostra la sequenza tragica e fulminea: la consegna del vassoio, il tentativo di presa da parte di Garcia e poi il liquido rovente che si riversa su di lui. Un attimo che ha cambiato irrimediabilmente la vita dell’uomo.

A distanza di cinque anni dalla causa intentata presso la Corte Superiore della California, la decisione di un risarcimento economico mastodontico che, comunque, non potrà restituire al rider le precedenti condizioni di salute. La sentenza parla di “gravi ustioni, deturpazioni e danni debilitanti ai nervi dei genitali”.

Le responsabilità di Starbucks

La Corte non ha avuto dubbi nell’attribuire la responsabilità al colosso americano del caffè. Secondo la giuria, l’azienda ha violato il proprio dovere di diligenza non verificando la corretta chiusura del coperchio. Durante il processo, l’avvocato difensore della vittima, Michael Parker, ha sottolineato i danni permanenti subiti dal suo assistito tra cui “dolore fisico, angoscia mentale, perdita della gioia di vivere, umiliazione, disagio, dolore, deturpazione, menomazione fisica, ansia e disagio emotivo”.

Il caso solleva interrogativi cruciali sul tema della sicurezza dei lavoratori della gig economy, quella galassia di rider e fattorini che costituiscono l’ultimo miglio di molti servizi di consegna. Questi lavoratori, spesso considerati autonomi e privi delle tutele tipiche dei dipendenti, si trovano esposti a rischi quotidiani che raramente vengono adeguatamente considerati.

I dati parlano chiaro: secondo un recente studio dell’International Labour Organization, gli infortuni tra i lavoratori delle piattaforme di delivery sono aumentati del 37% negli ultimi tre anni. Non solo, i rider, e più in generale chi lavora per le piattaforme digitali, non hanno diritto alle ferie, alla malattia, alla maternità e non sono tutelati in caso di licenziamento ingiusto.

Il precedente di Liebeck v. McDonald’s

Il caso non è isolato nella storia a stelle e strisce. Impossibile non ricordare il celebre e analogo caso Liebeck v. McDonald’s del 1994, quando una donna di nome Stella Liebeck ottenne un risarcimento milionario per ustioni causate da un caffè troppo caldo. Nel 1992, la cliente della più nota catena di fast food, allora 79enne, aveva chiesto a McDonald’sun risarcimento di 3 milioni di dollari. Anche lei, come Michael Garcia si era ustionata col caffè bollente che le era caduto addosso, provocandole ustioni di terzo grado a gambe, inguine e natiche. Due anni dopo, il tribunale di Albuquerque (New Mexico) avrebbe condannato la catena a risarcire la donna per 2,86 milioni di dollari.

La donna vinse la causa perché nessun dipendente di McDonalds l’aveva informata che il caffè scottava. Una vicenda che ha fatto storia negli Usa: da allora, negli States, molte aziende hanno aggiunto la scritta “Hot, handle with care” (“caldo, maneggiare con cura”) o frasi simili sulle tazzine del caffè.

Le norme Ue a tutela di rider e affini

Sulla tutela dei rider e affini è intervenuto il Consiglio Ue Ambiente che, cinque mesi fa, ha confermato l’accordo raggiunto con gli Stati membri l’11 marzo 2024.

La direttiva punta a migliorare le condizioni di lavoro per gli oltre 28 milioni di persone che lavorano nelle piattaforme di lavoro digitali in tutta Europa. Il Consiglio scrive che la direttiva sul lavoro tramite piattaforma renderà “più trasparente l’uso di algoritmi nella gestione delle risorse umane”, garantendo che i sistemi automatizzati siano monitorati da personale qualificato e che i lavoratori abbiano il diritto di contestare le decisioni automatizzate.

La più grande novità consiste nel fatto che nessun lavoratore potrà essere licenziato da un sistema automatico perché le decisioni più importanti elaborate da queste piattaforme dovranno essere controllate da un essere umano. Gli Stati membri devono stabilire una presunzione legale di occupazione nei loro sistemi giuridici che verrà attivata quando verranno riscontrati determinati fatti che indicano controllo e direzione. In pratica, in caso di controversia, sarà la società titolare della piattaforma a dover provare l’inesistenza del rapporto di subordinazione.

Il nodo sicurezza e il ricorso di Starbucks

La vicenda di Michael Garcia risolleva la questione della sicurezza sul lavoro nell’ambito della gig economy. Se è possibile intervenire con precisione sui contratti di lavoro, la tutela fisica dei lavoratori è più aleatoria e va analizzata caso per caso.

La reazione di Starbucks non si è fatta attendere. “Siamo solidali con il signor Garcia, ma non siamo d’accordo con la decisione della giuria e riteniamo che il risarcimento richiesto sia eccessivo”, ha dichiarato un portavoce dell’azienda. La multinazionale ha già annunciato l’intenzione di presentare ricorso, sostenendo di aver sempre rispettato “i più elevati standard di sicurezza nei nostri locali, inclusa la gestione delle bevande calde”.

Persone | Altri articoli