Promossa con riserva, o bocciata nonostante il record di occupazione. Se il giudizio sull’Italia può essere mutevole, i numeri del rapporto della Commissione europea sull’occupazione nei Paesi membri sono oggettivi.
Si parta dalla nota positiva: nel 2023 l’Italia ha registrato il tasso di occupazione più alto della sua storia, pari al 66,3% della popolazione in età lavorativa. Nell’allegato al pacchetto d’autunno del semestre europeo presentato il 18 dicembre dai vicepresidenti dell’esecutivo Ue, Stéphane Séjourné e Roxana Mînzatu, e dal commissario Valdis Dombrovskis, si evidenziano i progressi dell’Italia dove, tuttavia, l’occupazione resta ancora 9 punti percentuali sotto la media europea. Per Bruxelles, il tasso occupazionale italiano è “debole ma in miglioramento”.
Ma in cosa si concretizza questo tasso di occupazione?
Qui arrivano le note dolenti per il Belpaese, alle prese con problemi che rischiano di diventare strutturali: il gender gap occupazionale; la scarsa occupazione giovanile, la diminuzione del potere d’acquisto delle famiglie e la forbice sempre più ampia tra ricchi e poveri. Quest’ultima si rispecchia anche nel divario occupazionale Nord-Sud: dalla media nazionale del 66,3%, nel Mezzogiorno, il tasso di occupazione scende al 52,5% e nelle isole perde un ulteriore punto percentuale attestandosi al 51,5%.
La crisi demografica peggiora le conseguenze negative di questi indici, mentre la Commissione mette l’Italia, insieme a Cipro, Germania, Grecia, Ungheria, Paesi Bassi, Romania, Slovacchia e Svezia, sotto la lente d’ingrandimento della Commissione per eccessivi squilibri macroeconomici.
Gender gap occupazionale
Se il tasso di disoccupazione è sceso al 7,7% (4,2% di lungo periodo), la situazione resta “critica” rispetto agli altri Paesi europei e diventa ancora più negativa se si guarda alla condizione lavorativa delle donne.
Il rapporto di Bruxelles evidenzia che l’Italia non ha fatto “miglioramenti significativi nell’ultimo decennio” sotto il profilo del gender gap: in Italia il divario occupazionale di genere è di 19,5 punti percentuali, più del doppio della media Ue.
Nonostante il Belpaese registri “uno dei migliori risultati” per quanto riguarda l’occupazione delle persone disabili, per la Commissione “la bassa partecipazione al mercato del lavoro, in particolare delle donne e dei giovani, rimane una sfida alla luce della pressante sfida demografica”.
Poco lavoro per i giovani
Situazione analoga per quanto riguarda l’occupazione e la formazione dei giovani.
- Tasso di occupazione per i giovani in Italia (20-29 anni): 49,4%, molto lontano dalla media europea, che si attesta attorno al 60%;
- Neet (Not in education, employment, or training): nonostante un lieve miglioramento, l’Italia resta uno dei Paesi con il tasso più alto di giovani che non studiano né lavorano, pari al 16,1%, contro una media Ue dell’11,2%.
In questo contesto, si amplifica anche il divario di competenze dei giovani italiani rispetto ai coetanei europei. Come confermato dalla recente indagine Ocse, il Belpaese ha un problema sistemico nell’acquisizione delle competenze. Mentre in Europa, mediamente, i giovani continuano ad accrescere le proprie skill durante il lavoro, in Italia l’acquisizione delle competenze si ferma, al più tardi, all’Università. Bruxelles conferma che “le scarse competenze di base degli alunni restano una sfida” per l’Italia, che già adesso deve fare i conti con un’alta disoccupazione giovanile.
La percentuale di adulti italiani che partecipano a programmi di apprendimento e formazione è del 29 per cento, contro il 39,5 per cento della media europea. E nel 2023, solo il 45,8 per cento degli adulti italiani possedeva competenze digitali di base.
Inoltre, con sempre meno giovani all’orizzonte, il gap di competenze Stem e digitali può aggravarsi nei prossimi anni con inevitabili ricadute economiche su tutto il Paese. Non a caso Bruxelles invita l’Italia a non sottovalutare “le sfide per l’apprendimento degli adulti”, che sono la componente essenziale del nostro sistema occupazionale.
Più occupati, più poveri
Il rapporto presentato dalla Commissione europea getta ombre anche sul record occupazionale italiano. Se il lavoro serve per essere meno poveri, qualcosa non funziona in Italia che presenta una “situazione critica” per quanto riguarda il reddito lordo disponibile pro capite delle famiglie italiane. Bruxelles evidenzia che il potere d’acquisto degli italiani è “ulteriormente diminuito” raggiungendo il 94% rispetto al 2008 (anno della crisi finanziaria) contro una media Ue del 111,1%.
Insomma: ci sono più italiani che lavorano, ma i salari sono sempre più bassi rispetto al costo della vita, tanto che “la percentuale di persone colpite da gravi privazioni materiali e sociali è aumentata, in linea con l’elevata e stagnante quota di persone che vivono in povertà assoluta”, pari al 9,8% nel 2023. Lungo la penisola, il rischio di povertà o esclusione sociale rimane alto, con il 22,8% della popolazione generale e il 27,1% dei bambini a rischio. Sulla scorta di questi dati, la Commissione ha sottolineato che l’Italia è esposta a potenziali rischi per la convergenza sociale a causa delle fragilità economiche, come l’elevato debito pubblico e le differenze regionali nell’occupazione.
I dati del World Inequality Database, che misura la quantità di reddito che finisce nelle tasche del 10% più ricco, confermano quanto evidenziato da Bruxelles: l’Italia è il quarto Paese d’Europa (intesa come continente) per disuguaglianze reddituali, meglio solo di Bulgaria, Romania e Polonia. La percentuale registrata nel Belpaese è del 37,1% contro il 34,2% della Spagna, i 34,3% della Francia, il 36,2% della Gran Bretagna e il 37% della Germania, praticamente appaiata all’Italia in questa non invidiabile classifica. Allargando lo sguardo agli altri Paesi europei, Romania e Bulgaria occupano le peggiori posizioni: in questi Paesi il 10% più ricco della popolazione accumula oltre il 40% del reddito nazionale.
Mercoledì 18 dicembre, il commissario Ue per l’Economia Dombrovskis ha presentato anche il Rapporto sul Meccanismo di allerta, lo strumento di screening con cui Bruxelles identifica potenziali squilibri macroeconomici che potrebbero avere un impatto sull’economia europea. Tra i Paesi messi nel mirino c’è l’Italia, mentre Dombrovskis avvisa: “La selezione degli Stati membri per gli esami approfonditi è un primo passo. Presenteremo le nostre conclusioni la prossima primavera”.