Era il 9 dicembre 1977 quando l’Italia compì un gesto che ancora oggi parla di futuro: il governo approvò la legge n. 903, la prima norma che sanciva la parità di trattamento tra uomini e donne nel lavoro. Non era solo una questione di stipendi: era un atto di giustizia, un riconoscimento del valore delle donne come protagoniste della vita economica e sociale del Paese.
Prima della legge: un’Italia divisa in due
Fino a quel momento, il mondo del lavoro era segnato da una frattura evidente. Le donne, pur lavorando nelle fabbriche, negli uffici e nei servizi, ricevevano stipendi più bassi rispetto ai colleghi uomini. Spesso erano escluse da carriere tecniche o manageriali, considerate non adatte a loro. La maternità era vista come un ostacolo, non come un diritto.
Era un’Italia che cresceva, ma non in modo equo. La sostenibilità sociale era ancora lontana: il progresso economico non si traduceva in progresso umano. Con la legge 903/1977, il Parlamento disse basta: a parità di mansioni, uomini e donne dovevano ricevere lo stesso salario; nessuna professione poteva più essere vietata alle donne; anche nell’ambito della formazione, la discriminazione di genere diventava illegale. Per la prima volta, la giustizia sociale entrava nei contratti di lavoro e nelle buste paga.
Il concetto di “parità di genere retributiva”
La legge 903 del 1977 ha avuto un impatto culturale oltre che giuridico. Ha reso evidente che la sostenibilità sociale non può esistere senza equità di genere. Ha spinto le aziende a rivedere pratiche discriminatorie e ha dato forza a nuove battaglie: dal congedo parentale alla rappresentanza femminile nei luoghi decisionali.
Oggi, a quasi cinquant’anni di distanza, il gender pay gap non è stato eliminato. Le donne continuano a guadagnare meno, soprattutto perché meno presenti nelle posizioni apicali o costrette a part time a causa di un carico di cura tendenzialmente a loro carico. Oggi questo gap resta un fenomeno strutturale del mercato del lavoro italiano: nel 2025 le donne percepiscono ancora in media una retribuzione inferiore di quasi il 20% rispetto agli uomini; una differenza può arrivare fino al 40% in alcuni settori come quello immobiliare e quello scientifico-tecnico.
Parlare di parità retributiva significa parlare di sostenibilità sociale: un modello di società che non lascia indietro nessuno, che misura il progresso non solo in Pil, ma in giustizia ed equità.