Ogni anno, il Primo Maggio dovrebbe rappresentare una festa collettiva, un giorno in cui si celebra la dignità del lavoro, la conquista dei diritti, la partecipazione sociale. In Italia, però, questa ricorrenza assume da tempo i contorni di un’amara contraddizione: mentre si onora il lavoro, se ne piangono le vittime. Ogni giorno, almeno tre persone muoiono lavorando. E non si tratta di sfortuna, ma di un’emergenza strutturale.
Nel 2024 sono state 1.090 le vittime di incidenti sul lavoro, con un aumento del 4,7% rispetto all’anno precedente. Nei primi due mesi del 2025, secondo i dati provvisori dell’Inail, i decessi sono già 138, segnando un aumento del 16% rispetto allo stesso periodo del 2024. Un numero che conferma la dimensione sistemica del problema, nonostante il calo delle denunce complessive di infortunio (-3,4%). Ogni giorno si continua a morire lavorando, e sempre più spesso si muore anche andando o tornando dal lavoro: 37 i decessi in itinere tra gennaio e febbraio 2025, con un balzo del 33% rispetto all’anno precedente.
Italia oltre la media Ue per morti sul lavoro
Nel 2022, secondo Eurostat, l’Italia ha contato 601 morti sul lavoro, un numero che la colloca tristemente al secondo posto in Europa, subito dopo la Francia. L’incidenza, pari a 2,6 decessi ogni 100mila occupati, supera di gran lunga la media Ue di 1,66. A pagare il prezzo più alto sono stati soprattutto i lavoratori dell’agricoltura, dell’edilizia, dei trasporti e della manifattura. Le cause? Sempre le stesse, drammaticamente ricorrenti: cadute, incidenti con veicoli o macchinari, materiali che crollano. Un copione noto, che si ripete troppo spesso.
Non va molto meglio sul fronte degli infortuni non mortali, che hanno coinvolto 330mila persone nel 2022, con un’incidenza di 1.430 casi ogni 100.000 occupati. L’Italia è ancora una volta tra i primi Paesi europei, con una concentrazione di incidenti nei settori più popolosi e fisicamente impegnativi: manifattura, sanità, costruzioni e commercio. Fratture, distorsioni, ferite agli arti: non sono eventi letali, ma lasciano il segno. E spesso costano mesi di riabilitazione, perdita di reddito e una qualità della vita compromessa. Il tutto per un lavoro che dovrebbe garantire futuro, non generare traumi.
Eppure, a fronte di questi numeri, gli strumenti messi in campo restano largamente insufficienti. I Tecnici della prevenzione, cioè i funzionari deputati ai controlli nei luoghi di lavoro, sono appena 2.108 in tutto il Paese: uno ogni 28mila abitanti, o, peggio, uno ogni 11.800 lavoratori. Per coprire adeguatamente il fabbisogno ispettivo nazionale, ne servirebbero almeno 5.900 in più.
E intanto le denunce di malattie professionali aumentano: nel primo bimestre del 2025 sono già 14.917, il 5,8% in più rispetto allo stesso periodo del 2024. Si tratta di patologie spesso silenziose, ma gravi, legate ad ambienti insalubri, posture forzate, esposizione a sostanze tossiche o uso prolungato di attrezzature inadatte.
È in questo contesto che il messaggio del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, lanciato in occasione della Giornata mondiale per la salute e la sicurezza sul lavoro, suona come un richiamo severo: “Non sono tollerabili né indifferenza né rassegnazione”, ha affermato, sottolineando che “le morti sul lavoro sono una piaga che non accenna ad arrestarsi”. Il Capo dello Stato ha ricordato anche il quadro salariale stagnante e le crescenti disuguaglianze, ma ha chiarito con forza che la tutela della vita viene prima di ogni altra questione sociale. È un principio non negoziabile: un Paese che celebra il lavoro deve prima garantire che lavorare non significhi rischiare la vita.
Il referendum e la responsabilità solidale negli appalti
Uno dei temi centrali del referendum abrogativo dell’8 e 9 giugno 2025 riguarda proprio la sicurezza sul lavoro. Il quarto quesito propone l’abrogazione di una norma contenuta nell’articolo 26, comma 4, del Testo Unico sulla sicurezza nei luoghi di lavoro (D.lgs. 81/2008), che oggi esclude la responsabilità del committente per i danni subiti dai lavoratori in conseguenza di rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici. In parole semplici: se un’impresa affida un lavoro a un’altra azienda, e un lavoratore muore a causa di un rischio “tipico” di quella mansione, il committente può essere sollevato da qualsiasi responsabilità. Una clausola che molti definiscono come una “zona grigia” normativa, una sorta di scudo che consente al vertice della filiera produttiva di evitare conseguenze giuridiche anche in caso di incidenti gravi.
Il referendum punta a reintrodurre la responsabilità solidale tra committente, appaltatore e subappaltatore anche in questi casi, affermando un principio chiaro: la sicurezza dei lavoratori non è una voce delegabile né un costo trasferibile lungo la catena degli appalti. Se più soggetti traggono beneficio economico da un’opera, tutti devono essere responsabili della tutela di chi quella stessa opera la realizza. La logica è duplice: incentivare un controllo più stringente sull’affidamento dei lavori e spingere le imprese a selezionare partner non solo in base al prezzo, ma anche al rispetto delle norme sulla sicurezza.
L’eliminazione dell’esclusione oggi prevista per i rischi specifici avrebbe l’effetto concreto di responsabilizzare chi commissiona i lavori, rafforzando la prevenzione e la vigilanza. Allo stesso tempo, costituirebbe un deterrente contro l’uso disinvolto del subappalto, una pratica che ha spesso dimostrato di generare contesti lavorativi più fragili, meno controllabili e più pericolosi. Si tratta, dunque, di una riforma che mira a correggere uno squilibrio strutturale: il fatto che chi comanda e trae profitto possa disinteressarsi delle condizioni operative di chi esegue.
Non mancano le critiche. Alcune associazioni datoriali temono un irrigidimento eccessivo del sistema, che potrebbe scoraggiare l’uso degli appalti o aumentare il contenzioso, specie per le piccole e medie imprese. Ma la domanda di fondo rimane aperta e urgente: possiamo, in nome della flessibilità e della semplificazione, rinunciare alla piena tutela della vita nei luoghi di lavoro? In un Paese che continua a registrare oltre mille morti l’anno, ogni iniziativa volta a rafforzare la cultura della prevenzione merita attenzione. Soprattutto quando mette al centro un principio non negoziabile: la vita dei lavoratori non può essere un rischio da calcolare nei bilanci.