In Italia il lavoro non soddisfa. Secondo l’ultima indagine Eurobarometro solo il 16% degli occupati si dichiara molto soddisfatto del proprio impiego, a fronte di una media Ue del 28%. La maggioranza, il 67%, si colloca sulla posizione intermedia del “abbastanza soddisfatto”, mentre il 17% esprime un giudizio negativo. Il confronto con l’Europa evidenzia un divario netto non tanto nei livelli estremi, quanto nella polarizzazione generale delle risposte.
Anche le prospettive economiche contribuiscono a un clima di incertezza. Il 59% degli italiani si dice molto preoccupato per l’aumento del costo della vita – voce che comprende spese per alimentazione, energia, trasporti e beni essenziali – e un ulteriore 36% è abbastanza preoccupato. Soltanto una minoranza, il 5%, dichiara di non considerare rilevante questo problema.
Le stesse tendenze si osservano per la qualità del lavoro e la stabilità occupazionale. L’83% delle persone interpellate si dichiara preoccupato per la mancanza di opportunità lavorative, l’84% per la possibilità di ricevere una retribuzione non proporzionata alle proprie competenze, e il 77% teme che le proprie capacità diventino rapidamente obsolete a causa del cambiamento digitale. Anche la sostenibilità dell’alloggio è un punto critico: il 67% è preoccupato per il rischio di non riuscire a pagare affitto o mutuo.
Infine, la fiducia nell’accesso ai servizi essenziali da parte dei gruppi svantaggiati resta bassa. Solo il 16% degli italiani è pienamente convinto che nel Paese ci sia sufficiente accesso alla sanità, il 15% ai servizi sociali, il 16% all’istruzione e alla formazione, e appena il 13% all’alloggio. Le percentuali di chi esprime un accordo parziale sono più alte, ma il dato netto è che pochissimi ritengono il sistema equo in modo pieno.
Formazione e competenze: alta consapevolezza, utilizzo parziale
La grande maggioranza dei lavoratori italiani riconosce l’importanza della formazione. Il 91% considera utile aggiornare le competenze digitali per affrontare il proprio lavoro quotidiano, e l’87% valuta importante formarsi in aree legate alla transizione verde. In entrambi i casi, la quota di chi si dice pienamente d’accordo supera il 40%, mentre meno del 10% si dichiara in disaccordo.
Anche la disponibilità personale a partecipare è ampia. Il 40% degli intervistati si dichiara molto disposto a frequentare corsi per migliorare le proprie competenze digitali, e un ulteriore 49% è abbastanza favorevole. Ma quando l’attenzione si sposta su strumenti concreti, come un budget personale per la formazione, il quadro cambia. Solo il 24% degli italiani lo userebbe molto probabilmente, e il 42% risponde “abbastanza probabilmente”. Il resto si divide tra chi è incerto e chi ritiene di non poterne beneficiare.
I motivi dichiarati per non utilizzare un budget formativo riguardano in primo luogo la mancanza di tempo (14%) e la convinzione che la formazione non sia utile (14%). Altrettanto rilevante è il dato di chi afferma di non sapere dove o come ottenere informazioni su corsi e modalità d’uso: il 15%. Queste tre voci rappresentano una quota significativa delle barriere all’accesso.
Quando viene chiesto per quali ambiti si vorrebbe usare un eventuale budget, la risposta più frequente riguarda aree dove si intravedono opportunità lavorative (30%), seguite da competenze digitali (20%) e da quelle legate alla transizione verde (11%). Le altre opzioni – come formazione imprenditoriale, finanziaria o legata a interessi personali – ricevono meno indicazioni.
Il risultato è un’evidente discrepanza tra la consapevolezza del bisogno formativo e la capacità del sistema di trasformare questa consapevolezza in partecipazione effettiva.
Politiche pubbliche: cosa funziona, secondo chi deve usarlo
Quando si chiede agli italiani quali programmi pubblici potrebbero davvero fare la differenza, la risposta è chiara: quelli che combinano formazione, orientamento e accesso concreto al lavoro. Nessuna misura risolve tutto, ma alcune sono giudicate più utili di altre.
Il budget personale per la formazione, ad esempio, è visto positivamente dal 40% degli italiani (“molto vantaggioso”) e da un altro 48% (“abbastanza vantaggioso”). Solo il 12% lo considera poco o per nulla utile. Anche il supporto al reinserimento lavorativo – formazione, orientamento o counseling per chi ha perso l’impiego – raccoglie valutazioni simili: 41% “molto vantaggioso”, 47% “abbastanza”.
Buona ricezione anche per i programmi orientati alla transizione verde. L’idea di formare lavoratori in settori come rinnovabili, idrogeno o gestione sostenibile delle risorse è considerata utile dal 39% (“molto vantaggioso”) e dal 48% (“abbastanza vantaggioso”). Anche qui, chi non ne vede l’utilità resta una minoranza.
Sul fronte giovani, tre misure raccolgono un consenso simile:
- un programma per garantire entro quattro mesi un impiego, formazione o tirocinio ai giovani fino a 30 anni riceve il consenso del 41% (molto utile) e del 46% (abbastanza utile);
- un intervento per offrire alloggi dignitosi e accessibili ai giovani vulnerabili: 37% molto utile, 45% abbastanza;
- un pacchetto integrato per bambini a rischio povertà (cura, scuola, salute, alimentazione, casa): 45% molto utile, 42% abbastanza.
Tutte le misure proposte raccolgono valutazioni positive nella larga maggioranza dei casi. I giudizi negativi restano contenuti sotto il 5%, a conferma di un orientamento favorevole verso programmi che rispondono a bisogni concreti: formazione accessibile, alloggi sostenibili, accompagnamento nelle fasi critiche della vita lavorativa.
L’indagine non misura però quante persone abbiano effettivamente usufruito di questi strumenti. Il dato raccolto riguarda la percezione del potenziale beneficio, non l’esperienza diretta. La differenza tra ciò che le politiche promettono e ciò che effettivamente erogano non è rilevata dal sondaggio.