Paura del licenziamento? In inglese si dice “Fear of Getting Laid Off”, cioè il timore di essere “sbattuti fuori” dal luogo di lavora. Il termine si è diffuso negli ultimi anni nei paesi anglosassoni e americani, ma coinvolge i lavoratori di tutto il mondo.
L’incertezza economica, politica e ambientale nella quale vivono la maggior parte dei Paesi pone nuove sfide ai dipendenti e ai professionisti: resistere, risparmiare, rallentare, evitare il burnout e raggiungere i propri traguardi, facendo scelte consapevoli e morigerate. Ecco cos’è la Foglo e quali conseguenze ha sui lavoratori.
Cos’è la FOGLO
Un sondaggio della Federal Reserve di New York, cioè la Banca centrale degli Stati Uniti, ha acceso i riflettori su una condizione che affligge i lavoratori statunitensi. I dipendenti sono più preoccupati di perdere il lavoro nei prossimi quattro mesi di quanto non lo siano stati in qualsiasi momento negli ultimi 10 anni. Complice, un aumento dell’incertezza politica, dei mercati finanziari e delle opportunità di promozione e soddisfazione retributiva.
Come riporta il Financial Times, la Federal Reserve di New York ha rilevato che la percentuale di lavoratori che hanno cercato un lavoro nell’ultimo mese ha raggiunto il picco del 28,4%. Ma con tassi di assunzione in calo, salari in diminuzione e probabilmente meno promozioni, i dipendenti sono persino disposti ad accettare uno stipendio iniziale inferiore per un nuovo lavoro rispetto a quattro mesi fa, secondo il sondaggio.
A questi dati, si aggiunge un sondaggio della società di recruiting BambooHR, secondo il quale anche la felicità dei lavoratori si sta muovendo in una direzione “preoccupante”. I punteggi di felicità rilevati da 57.000 dipendenti sono diminuiti dall’inizio della pandemia, con i lavoratori del settore tecnologico in particolare che hanno raggiunto il livello più basso degli ultimi quattro anni.
Quali conseguenze?
Le conseguenze psicologiche della condizione lavorativa inficiata dalla paura del licenziamento o dall’eccessivo lavoro possono essere diverse.
La prima è quella relativa al burnout. Secondo un recente sondaggio del McKinsey Health Institute condotto su 30.000 dipendenti in 30 Paesi, soffrono di burnout circa due lavoratori su dieci a livello globale. I tassi più alti si evidenziano in India (59%). I più bassi in Camerun (9%). L’Italia si colloca nella parte bassa della classifica, riportando solo il 16% dei sintomi di burnout, nonostante la percentuale di esaurimento delle forze e conseguente stanchezza fisica e mentale sia alta (43%).
Una seconda conseguenza riguarda la volontà di boicottare il proprio lavoro. La società di ricerca Gallup ha pubblicato il suo rapporto annuale dal titolo “State of the Global Workplace” (Stato dei luoghi di lavoro a livello globale), dal quale è emerso che l’Italia presenta il tasso più elevato di lavoratori attivamente disimpegnati d’Europa. Si tratta di quei lavoratori che si oppongono attivamente agli obiettivi del proprio datore di lavoro, rappresentano il 15% della forza lavoro globale e il 25% dei dipendenti in Italia, il livello più alto registrato nel nostro Paese dal 2018.
Una terza è l’ergofobia: l’ansia generalizzata sul luogo di lavoro. Secondo Michael Linden, direttore della clinica psichiatrica della Freie Universitat di Berlino, l’ergofobia è classificata come un disturbo d’ansia che può riguardare anche persone che non ne soffrono generalmente.
In particolare, i lavoratori che si assentano frequentemente per malattia o si lamentano per l’emicrania provocata dal carico di lavoro possono essere ergofobici. Spesso, ancora secondo Linden, questi disturbi sfociano nell’assenteismo o nel pensionamento anticipato, ma possono portare anche alla paura paranoica di essere sottoposti a mobbing.
Fra i sintomi della malattia si segnalano le crisi di panico, l’ipocondria, le paure o le ansie sociali connesse al lavoro e lo stress post-traumatico.
“Senso di colpa del sopravvissuto”
Altri esperti, come Aaron Nurick, professore di management e psicologia alla Bentley University, hanno sottolineato, riporta la BBC, che i licenziamenti possono avere ripercussioni anche su coloro che non perdono il lavoro. Il professore descrive questa sensazione come “senso di colpa del sopravvissuto” che si trasforma nel “potrei essere il prossimo”.
Anthony Klotz, professore associato alla School of Management dell’University College di Londra, ha aggiunto che, almeno temporaneamente, “i licenziamenti rendono l’esperienza lavorativa meno piacevole per chi resta, e non è difficile immaginare che questi effetti negativi siano duraturi in molti casi”.