Il titolo di studio influenza l’occupazione? E se si tratta di una donna, magari laureata e con una qualifica in materie Stem, cosa cambia? A fotografare la situazione dello scorso anno è l’ultimo report Istat “Livelli di Istruzione e Ritorni occupazionali” che evidenzia quanto siano correlate la formazione dei genitori con quella dei giovani figli e come, all’aumentare del titolo di studio aumenta la possibilità di trovare lavoro, fatta eccezione per il genere femminile che ha un’occupazione inferiore a quella maschile: il 59% contro il 79,3%. Ecco la differenza di genere occupazionale del nostro Paese.
Donne più istruite e meno occupate
Il divario di genere tra titoli di studio e occupazione è ancora evidente. Le donne in Italia sono più istruite degli uomini. Nel report Istat si legge, infatti, che il 68% delle donne in età compresa tra i 25 e i 64 anni ha almeno un diploma o una qualifica. Negli uomini la percentuale è ferma al 62,9%. E coloro che posseggono un titolo terziario raggiungono il 24,9% contro il 18,3% degli uomini.
“Le differenze di genere risultano più marcate di quelle osservate nella media Ue – si legge nel rapporto -. Il vantaggio femminile nell’istruzione non si traduce in un vantaggio lavorativo: il tasso di occupazione femminile è molto più basso di quello maschile (59% contro 79,3%). Al crescere del titolo di studio, il gap occupazionale di genere si riduce: 32,3 punti percentuali per i titoli bassi (36,8% e 69,1% i tassi di occupazione femminili e maschili), 21,6 punti percentuali per i medi (62,4% e 84,0% i rispettivi tassi) e 6,9 punti percentuali per gli alti (81,4% e 88,3% i tassi di occupazione)”.
Il divario di genere, in altre parole, si riduce per effetto dell’aumento dei tassi di occupazione femminili più marcato di quello maschili, all’aumentare del livello di istruzione raggiunto. Questo vuol dire che il tasso di occupazione tra le laureate è di 19 punti percentuali superiore a quello delle diplomate (soli 4,3 punti percentuali tra gli uomini) e tra le diplomate è di 25,6 punti percentuali più elevato di quello tra le donne con al massimo la licenza media inferiore (14,9 punti percentuali tra gli uomini).
E se si paragonano i dati italiani con la media europea si riducono significativamente le differenze all’aumentare del livello di istruzione: tra le donne con basso titolo di studio il tasso di occupazione è inferiore di 10,2 punti percentuali a quello medio Ue (36,8% contro 47%), differenza che scende a 9,2 punti per i titoli di studio medi (62,4% contro 71,6%) e a 3,8 punti tra coloro che hanno un titolo di studio terziario (81,4% verso 85,2%).
Part time involontario
Scendendo nel dettaglio della tipologia contrattualistica e delle modalità lavorative, ben il 17% degli occupati tra i 25 ed i 64 anni lavora part-time; la quota si ferma al 6,6% tra gli uomini e sale al 30,7% tra le donne.
“Pur potendo rappresentare un utile strumento di flessibilità e conciliazione tra lavoro e famiglia – spiega l’Istituto -, per quasi la metà delle occupate a orario ridotto (49,1%) si tratta di part-time involontario. Tra gli uomini in part-time, la quota di part-time involontario interessa il 70,5%. Se la diffusione del part-time è piuttosto simile nelle aree geografiche del Paese, quello involontario rappresenta invece il 41,6% del part-time complessivo nel Nord e raggiunge il 73,4% nel Mezzogiorno (l’85,0% tra gli uomini e il 67,6% tra le donne)”.
La quota di part-time involontario diminuisce all’aumentare del titolo di studio, ma non per le donne. Tra le occupate part time, il 59,3% possiede un basso titolo di studio; tra le laureate scende – pur restando decisamente elevata – al 42,6% (negli uomini si attesta rispettivamente al 77,0% e al 55,8%). La quota di tempo parziale con carattere di involontarietà raggiunge valori più elevati tra i giovani di 25-34 anni, siano essi uomini (76,4%) o donne (58,6%).
“A differenza di quanto osservato tra i giovani uomini, tra le giovani donne, il possesso della laurea rispetto al diploma non riduce sensibilmente la quota di part-time involontario”, sottolinea l’Istat.
Laureate Stem
Nel 2023, il 25% dei giovani (25-34enni) con un titolo terziario ha una laurea nelle aree disciplinari scientifiche e tecnologiche, le cosiddette lauree Stem. La quota sale al 37,0% tra gli uomini e scende al 16,8% tra le donne, evidenziando, ancora una volta, un marcato divario di genere.
L’indirizzo di studio universitario determina importanti differenze nei tassi di occupazione dei laureati. Nel 2023, il tasso di occupazione tra i 25-64enni laureati nell’area Umanistica e dei servizi è pari al 79,5%, sale all’84,2% per i laureati nell’area Socioeconomica e giuridica, si attesta all’86,6% per le Stem e raggiunge il massimo valore (88,6%) tra i laureati nell’area Medico-sanitaria e farmaceutica.
“Lo svantaggio delle donne rispetto agli uomini nei ritorni occupazionali è decisamente ampio tra i laureati in discipline socioeconomiche e giuridiche e raggiunge il massimo per le lauree Stem – ha spiegato l’Istat -. Il tasso di occupazione femminile per l’area “scienze e matematica” è inferiore a quello maschile di 6,3 punti percentuali (80,1% e 86,4% rispettivamente) e per l’area “informatica, ingegneria e architettura” la differenza nei tassi di occupazione raggiunge i 9,3 punti percentuali (81,8% contro 91,1%)”.