“Il vero ostacolo al nucleare è sociale, non tecnologico”, parola dell’Avvocato dell’Atomo

Il fisico Luca Romano analizza la situazione energetica italiana e la necessità di un programma nucleare serio: "Abbiamo bisogno di decisioni concrete, non di rinvii".
22 Novembre 2024
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Luca Romano Avvocato dell'Atomo

Da anni il nucleare è stato un argomento tabù per il dibattito pubblico italiano, segnato dai due referendum del 1987 e del 2011, che hanno escluso questa fonte dal mix energetico nazionale. Tuttavia, il contesto odierno, dominato dalla crisi climatica e dall’instabilità geopolitica, ha rimesso in discussione molte certezze, compresa la rinuncia all’energia atomica. La crescente domanda di fonti energetiche stabili e prive di emissioni di CO₂ ha spinto il governo italiano ad aprire una nuova fase, puntando su tecnologie innovative come i reattori modulari di piccola taglia (SMR) e, in prospettiva, la fusione nucleare.

A fare eco a questo rinnovato interesse, l’opinione pubblica italiana sembra più aperta al confronto. La recente proposta di legge di iniziativa popolare, che punta a reintrodurre il nucleare come parte integrante della strategia energetica nazionale, ha raccolto oltre 65.000 firme, superando ampiamente il quorum necessario per un dibattito parlamentare. Ma cosa serve davvero per affrontare questa sfida con pragmatismo e visione? Luca Romano, una laurea magistrale in fisica teorica e noto come “l’Avvocato dell’Atomo”, protagonista di una delle campagne più incisive per promuovere la transizione nucleare, ci offre la sua prospettiva diretta e ironica su un tema tanto complesso quanto divisivo.

L’Italia e il nucleare: prospettive, sfide e opportunità secondo l’Avvocato dell’Atomo

Ostacoli tecnologici e sociali: il problema del “Nimby”

Secondo Romano, il principale freno al ritorno del nucleare in Italia non è di natura tecnologica, bensì sociale. “Il nucleare è una tecnologia già disponibile e utilizzata dalla maggior parte dei paesi europei,” sottolinea. Per il fisico, l’Italia soffre di un cronico problema di opposizione locale alle infrastrutture, noto come sindrome “Nimby” (Not In My Back Yard). Questo atteggiamento ostacola non solo grandi opere pubbliche, ma anche interventi di portata minore. “In Sardegna abbiamo visto opposizioni all’eolico, a Bari ci sono stati ricorsi al TAR per il rifacimento di uno snodo ferroviario. Il problema in Italia c’è un nimbysmo molto forte”, spiega. Per superare questa resistenza, Romano ritiene indispensabile una comunicazione più efficace e una pianificazione che coinvolga le comunità locali, evitando imposizioni dall’alto.

Comunicare il nucleare

Uno degli strumenti più potenti per affrontare la diffidenza degli italiani, secondo Romano, è una comunicazione trasparente, diretta e adattata ai diversi mezzi. “Uso uno stile ironico sui social perché è quello che funziona meglio su queste piattaforme, ma quando faccio video su YouTube adotto un tono più didascalico” racconta. Il problema principale, però, è rappresentato dai media tradizionali, che secondo Romano non svolgono un buon lavoro nel trattare il tema del nucleare. “Televisione e carta stampata forniscono spesso informazioni parziali, fuorvianti, o ignorano il tema del tutto”, aggiunge. Per ribaltare questa narrazione, serve un impegno collettivo per offrire un’informazione più equilibrata, basata su dati scientifici e capace di dissipare i timori irrazionali.

Nucleare e rinnovabili

L’integrazione del nucleare nel mix energetico nazionale rappresenta, secondo Romano, una soluzione imprescindibile per affrontare le sfide ambientali ed economiche. “Il nucleare è la fonte a minori emissioni di gas serra e ha il minore impatto ambientale, persino rispetto alle rinnovabili,” afferma. Il problema principale delle energie rinnovabili, infatti, è la loro intermittenza: per bilanciare la produzione e la domanda, si fa ancora ricorso a centrali a gas, spesso di tipo ciclo aperto, che sono altamente inquinanti. Questa instabilità influisce anche sul sistema dei prezzi energetici, con conseguenze dirette sulle bollette e sulla competitività industriale del paese. Romano sostiene che il nucleare potrebbe stabilizzare i prezzi e ridurre la dipendenza dai combustibili fossili, garantendo una transizione energetica più sostenibile e meno costosa.

Il nodo dei referendum

I referendum del 1987 e del 2011 sono stati spesso interpretati come una condanna definitiva del nucleare in Italia. Romano, però, invita a riconsiderare queste consultazioni nel loro contesto. “Il referendum del 1987 non riguardava un ‘sì’ o un ‘no’ al nucleare, ma questioni tecniche come gli incentivi ai Comuni o la gestione di centrali all’estero da parte di Enel” spiega. Nel 2011, il dibattito era, invece, fortemente influenzato dalla catastrofe di Fukushima e da un’illusione di autosufficienza basata esclusivamente sulle rinnovabili. Oggi, però, la situazione è cambiata. “Ci sono milioni di nuovi elettori, tra i 18 e i 34 anni, che secondo un recente sondaggio sono in maggioranza favorevoli al nucleare”. Questo, ha spiegato, incide profondamente sulle dinamiche sociali, insieme a una crescente consapevolezza della minaccia rappresentata dal riscaldamento globale. “Oggi ci rendiamo conto, con alluvioni, incendi e fenomeni estremi, di quanto la situazione sia drammatica, e ciò alimenta la paura e il bisogno di soluzioni concrete”.

Romano ha inoltre ricordato come, nel 2011, ci fosse una maggiore speranza riposta nelle energie rinnovabili. “Si era investito tantissimo, basti pensare ai Conti Energia del 2008-2010, e si credeva che il problema potesse essere risolto solo con quelle”. Tuttavia, ha aggiunto, a oltre un decennio di distanza, è evidente che tali investimenti non sono stati sufficienti. “Le rinnovabili hanno ridotto un po’ le emissioni, ma non le hanno azzerate, come invece è riuscito a fare il nucleare in Paesi come Francia e Svezia”.

Nuove tecnologie, vecchie paure

Quando si parla di nucleare, molte persone provano timore, ma è proprio questo il punto: perché non dovremmo averne paura? Secondo Luca Romano, la risposta è semplice: “Già con le tecnologie degli anni ’80, i rischi erano praticamente nulli. “L’incidente di Chernobyl è avvenuto con una tecnologia che non è mai esistita in Europa o in Occidente, perché è una tecnologia esclusivamente Sovietica proprio perché già all’epoca noi sapevamo che non era sicuro”. E se pensiamo a Fukushima, ci ricorda che “è stato il contesto di un terremoto devastante a scatenare il disastro, eppure le radiazioni non hanno causato vittime, né a breve né a lungo termine”.

Con le nuove tecnologie, la situazione è ancora più rassicurante. “Con la terza generazione di reattori nucleari, i tassi di sicurezza sono i più alti in assoluto tra tutte le tecnologie energetiche. Non c’è proprio motivo di avere paura,” sottolinea. E se temiamo i rifiuti radioattivi, Romano risponde con tranquillità: “Si tratta di quantità davvero minime. Con i reattori di quarta generazione, sarà possibile riciclare almeno una parte dei rifiuti, ma anche quelli di terza generazione sono quantità irrisorie e gestite in maniera esemplare in tutto il mondo”. Anzi, continua, “se avessimo la stessa attenzione e cura per i rifiuti nucleari che abbiamo per i rifiuti tossici prodotti da altre industrie, l’Italia sarebbe un modello di sicurezza”. Per lui, il nucleare può essere una scuola di “cultura della sicurezza” che, purtroppo, manca in altri settori, e questo, in fondo, dovrebbe rassicurare gli italiani.

Le prospettive per l’Italia

Luca Romano ha le idee chiare sul futuro del nucleare in Italia e non nasconde le sue preoccupazioni. Guardando al breve, medio e lungo termine, spera che il governo, questo o quello successivo, finalmente comprenda la necessità di una svolta nucleare. Secondo lui, il nucleare non è una questione di piccoli reattori da sperimentare in un paese come l’Italia. “I reattori di piccola taglia non sono pensati per realtà come la nostra“, sottolinea. La vera sfida, aggiunge, è quella di avviare un programma nucleare serio, basato sulle tecnologie già disponibili sul mercato, selezionando i siti, informando la popolazione e creando una normativa per la costruzione e l’operatività degli impianti. Ma, purtroppo, le sue previsioni non sono altrettanto ottimistiche. “Temo che il governo finirà per ‘calciare la palla in avanti’, creando tavoli di lavoro, forse costruendo qualche SMR con la collaborazione di grandi aziende come Ansaldo ed Edison, ma questi impianti copriranno meno del 10% del fabbisogno italiano”, afferma. La dipendenza dal gas, quindi, non diminuirebbe, continuando a gravare sull’economia nazionale.

A supporto di questa visione, Romano non ha dubbi: il nucleare, con i reattori di terza generazione avanzata, è la tecnologia più sicura e pulita attualmente disponibile. “Continuare a rimandare sperando che arrivi qualcosa di meglio non fa altro che tenerci prigionieri del gas, con tutte le sue implicazioni negative, dalle emissioni al peggioramento dell’inquinamento”, denuncia. Eppure, il governo sembra non voler fare un passo deciso in questa direzione, alimentando una sensazione di stallo che potrebbe costare caro.

Con la sua raccolta firme, promossa insieme ad Azione e a numerosi scienziati e associazioni, Luca Romano ha messo sul tavolo una proposta di legge che punta a dare una spinta concreta al dibattito parlamentare. “La proposta del governo è insufficiente, e la Meloni che parla di fusione nucleare, una tecnologia che non sarà disponibile per decenni, non aiuta”, afferma con fermezza. Inoltre, “il ministro mescola reattori di quarta generazione con impianti di piccola taglia, due questioni che sono completamente diverse tra loro”. Romano, quindi, ha deciso di prendere in mano la situazione, con l’obiettivo di “vedere il bluff” del governo: “Abbiamo presentato una proposta di legge perché quello che è stato fatto finora è fumoso e privo di concretezza. Il rinvio della decisione sul deposito nazionale al 2029 è un indice, secondo me, del fatto che il governo vuole guadagnarsi il supporto dei favorevoli al nucleare ma senza prendersi troppe responsabilità in merito”.

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