Naspi e dimissioni volontarie, dal 2025 arriva la stretta per i lavoratori

Un emendamento alla manovra contro i “furbetti della Naspi”
18 Dicembre 2024
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Impiegato edile_Canva

Dal 1° gennaio 2025 entrerà in vigore una nuova misura che modificherà le condizioni per l’accesso alla Naspi, l’indennità di disoccupazione destinata ai lavoratori subordinati che perdono involontariamente il lavoro. La modifica è stata introdotta attraverso un emendamento alla manovra approvato dai relatori e mira a contrastare il fenomeno dei cosiddetti “furbetti della Naspi”.

Disoccupazione, cosa cambia dal 2025

Secondo quanto stabilito, un lavoratore che abbia dato dimissioni volontarie da un impiego a tempo indeterminato nei 12 mesi precedenti potrà accedere alla Naspi in caso di licenziamento dal nuovo rapporto di lavoro solo se avrà maturato almeno 13 settimane di contribuzione presso quest’ultimo impiego.

La misura mira a combattere le dimissioni seguite da rioccupazioni brevi o intermittenti che si concludono con un licenziamento mirato per ottenere l’indennità di disoccupazione. A spiegare la ratio dell’emendamento è stata la ministra del Lavoro, Marina Calderone: “La norma ha una finalità antielusiva e riguarda quelle situazioni in cui c’è una interruzione del rapporto lavorativo volontaria e un altro rapporto brevissimo che termina con il licenziamento”.

L’obiettivo è anche ridurre gli abusi che permettono alle aziende di evitare di pagare il cosiddetto ticket di licenziamento, che costituisce un contributo obbligatorio per finanziare la Naspi in caso di fine del rapporto di lavoro involontario.

I requisiti attuali per accedere alla Naspi

Allo stato attuale, i lavoratori possono accedere alla Naspi soddisfacendo i seguenti criteri:

  • Stato di disoccupazione involontaria, ovvero licenziamento o cessazione del rapporto di lavoro non volontaria;
  • Almeno 13 settimane di contribuzione nei 4 anni precedenti l’inizio del periodo di disoccupazione.

L’indennità decorre dall’ottavo giorno successivo alla data di cessazione del rapporto lavorativo e viene erogata per un numero di settimane pari alla metà delle settimane contributive maturate nei 4 anni precedenti.
Per ottenere l’indennità, inoltre, il lavoratore deve dichiarare immediatamente la propria disponibilità al lavoro, compilando l’apposita dichiarazione sul sistema informativo unitario delle politiche del lavoro.

L’obiettivo dell’emendamento

La revisione normativa del 2025 vuole frenare comportamenti opportunistici legati alla percezione della Naspi. Negli ultimi anni si è registrato un aumento di lavoratori che, dopo aver dato dimissioni volontarie, si rioccupano per periodi brevi o frammentati con il solo obiettivo di essere licenziati e richiedere l’indennità.

In questo contesto, l’emendamento ha una duplice finalità:

  • Evitare abusi nel sistema degli ammortizzatori sociali;
  • Garantire sostenibilità finanziaria della Naspi, limitando erogazioni inappropriate.

La misura intende anche porre un freno al comportamento di alcune imprese che ricorrono a licenziamenti concordati o contratti di brevissima durata per evitare il pagamento del ticket di licenziamento, obbligatorio per le aziende in caso di cessazione involontaria.

Cosa cambia dal 2025?

Dal prossimo anno, chi si dimette volontariamente da un impiego a tempo indeterminato e successivamente perde il lavoro non avrà più accesso immediato alla Naspi. Per ricevere l’indennità, sarà obbligatorio aver accumulato almeno 13 settimane di contributi nel nuovo rapporto di lavoro.

Questo requisito serve per:

  • Dimostrare una genuina occupazione nel nuovo lavoro, scoraggiando rioccupazioni “fittizie”;
  • Garantire un utilizzo appropriato della Naspi, destinata esclusivamente a chi perde il lavoro in modo involontario.

L’importanza della Naspi nel contesto italiano

La Naspi rappresenta un importante strumento di protezione sociale, specialmente in un contesto lavorativo spesso caratterizzato da precarietà e contratti temporanei. Tuttavia, la sua sostenibilità richiede misure precise per evitare abusi e garantire che le risorse vengano erogate in modo equo. Secondo stime ufficiali, la riforma potrebbe permettere un risparmio significativo sui costi associati all’indennità, rafforzando la fiducia nel sistema di welfare e incentivando comportamenti lavorativi corretti.

Pur condividendo le finalità antielusive, alcuni osservatori suggeriscono che la nuova norma possa penalizzare lavoratori in buona fede che, a causa di contesti lavorativi incerti, si trovano costretti a cambiare impiego. Le associazioni sindacali, inoltre, hanno sottolineato l’importanza di accompagnare questa misura con politiche attive del lavoro efficaci, per facilitare il reinserimento dei disoccupati nel mercato del lavoro, dove il gap tra le competenze richieste e quelle offerte ostacola la crescita economica del Paese e degli individui.

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