Lavoro, uno su cinque soffre quotidianamente per il suo impiego 

Il triste primato dell’Italia nell’infelicità professionale
20 Marzo 2025
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Lavoratrice Triste Canva

L’Italia si scopre campionessa di un primato di cui avrebbe fatto volentieri a meno: la tristezza lavorativa. Secondo il recente ‘State of the Global Workplace Report 2024’ di Gallup, il nostro Paese brilla nel ranking globale dell’infelicità sul lavoro. Solo quattro lavoratori su cento si dichiarano felici e coinvolti, mentre il 25% degli italiani ha ammesso di aver provato tristezza il giorno precedente.

Non siamo soli in questa crisi esistenziale da ufficio: a livello globale, il 60% dei lavoratori si sente emotivamente distaccato e il 19% soffre quotidianamente. Insomma, quasi otto persone su dieci vivono il proprio impiego come un peso insopportabile. Ma cos’è che non funziona in Italia? La risposta non è semplice e chiama in causa un mix esplosivo di fattori: cultura del lavoro basata sulla produttività ad ogni costo, mancanza di opportunità di crescita, orari rigidi, salari stagnanti e un generale senso di precarietà che non lascia spazio alla progettualità personale e professionale.

La corsa senza fine della produttività

Non è un caso che sempre più lavoratori si sentano schiacciati da una routine alienante. L’Italia ha costruito un modello lavorativo che premia la presenza più della produttività reale, che esalta l’iperconnessione come simbolo di dedizione e che, paradossalmente, penalizza proprio coloro che cercano di lavorare meglio, anziché di più.

Negli atenei americani si inizia a parlare di ‘slow productivity’, un paradigma che valorizza la qualità piuttosto che la quantità, in aperto contrasto con la mentalità dell”always on’. L’idea è semplice quanto rivoluzionaria: produrre meno, ma meglio. Un concetto che in Italia stenta ancora a decollare, soffocato da una cultura che celebra il sacrificio come valore in sé. La perenne corsa alla performance, alimentata da un mercato che impone ritmi sempre più serrati, ha portato a una progressiva disumanizzazione del lavoro. Invece di incentivare la creatività e l’innovazione, il sistema premia la resistenza allo stress, il multitasking estremo e la capacità di sopportare turni interminabili. E il risultato è sotto gli occhi di tutti: burnout diffuso, malattie psicosomatiche in aumento e un livello di insoddisfazione mai visto prima.

Se la produttività esasperata ci ha portato fin qui, c’è una strada alternativa? L’associazione Sloworking ci prova da dieci anni, cercando di riportare l’idea di lentezza all’interno del mondo del lavoro. Nata in Lombardia, terra storicamente votata alla produttività senza compromessi, Sloworking ha aperto un dibattito fondamentale sul valore del tempo e della qualità della vita. “Quando Sloworking è nata, dieci anni fa, l’idea di portare il concetto di lentezza nel discorso sul lavoro pareva folle”, racconta Vanessa Trapani, presidente dell’associazione. “Mettere in discussione un’idea di lavoro che non lasciava spazio alla vita era un’eresia. Eppure, oggi il tema si è fatto strada, sebbene spesso in forme annacquate e ridotte a slogan di benessere aziendale”. E nella Giornata mondiale della Felicità sorge una domanda spontanea: è possibile immaginare un futuro in cui il lavoro sia non solo dignitoso, ma anche felice?

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