L’Italia è il quarto Paese europeo per disuguaglianze reddituali, meglio solo di Bulgaria, Romania e Polonia. A dirlo sono i dati pubblicati dal World Inequality Database che misura la quantità di reddito che finisce nelle tasche del 10% più ricco. La percentuale registrata nel Belpaese è del 37,1% contro il 34,2% della Spagna, i 34,3% della Francia, il 36,2% della Gran Bretagna e il 37% della Germania, praticamente appaiata all’Italia in questa non invidiabile classifica. Allargando lo sguardo agli altri Paesi europei, Romania e Bulgaria occupano le peggiori posizioni: in questi Paesi il 10% più ricco della popolazione accumula oltre il 40% del reddito nazionale.
Sul fronte opposto, Islanda, Repubblica Ceca e Slovacchia si distinguono come modelli di equità distributiva. La Repubblica Ceca e la Slovacchia, in particolare, hanno trasformato la crisi finanziaria del 2008 in un’opportunità di riequilibrio sociale. Il 10% più ricco di questi Paesi guadagna meno del 30% del reddito nazionale, un risultato che li colloca ai vertici europei in termini di coesione economica.
Le elaborazioni del World inequality database sono indicatori concreti delle strategie economiche e sociali adottate dai diversi Paesi europei dopo lo spartiacque della crisi finanziaria del 2008. Alcuni Stati hanno utilizzato quella fase come occasione di ripensamento dei modelli di sviluppo, altri hanno mantenuto strutture economiche più rigide e gerarchiche aumentando la forbice sociale.
Da sottolineare la situazione della Francia, che, nonostante un leggero miglioramento, presenta ancora il più alto livello di disuguaglianze dalla Seconda guerra mondiale, comunque più basso di quello italiano dove il 50% più povero ha il 16,6% del reddito complessivo.
Stati Uniti area con più disuguaglianze
Il database di questa raccolta è gestito dal Global Inequality Lab che ha dedicato fa un approfondimento a sei regioni del mondo: Europa; Asia Orientale; Sud-Est Asiatico; Nord America e Oceania; Medio Oriente e Nord Africa; America Latina. Ne è emerso che l’Europa è ancora l’area in cui vige una maggiore equità, mentre gli Usa registrano la forbice maggiore. Prima della tasse, in Europa è finito nelle tasche del 10% più ricco il 36% della ricchezza totale contro il 47% degli Stati Uniti d’America.
La situazione negli altri continenti
Guardando agli altri continenti, al top per disuguaglianza legata agli esiti del mercato, cioè quella rilevata prima di tasse e trasferimenti, ci sono diversi Stati del Sud America come Colombia, Messico, Brasile, Perù e Cile, rispettivamente con il 60,9%, 59,6%, 59,2%, 58% e 57,8% di reddito nelle tasche del 10% più ricco.
Fa ancora peggio l’Africa subsahariana, dove la popolazione deve già fronteggiare alti livelli di povertà. La situazione peggiore si registra in Sud Africa, Botswana e Namibia, mentre Guinea, Mauritania, Guinea-Bissau, Nigeria, Liberia, Gabon, Benin e Costa d’Avorio sono vicini ai livelli dei Paesi europei più diseguali (Bulgaria, Romania e Polonia), dove il 10% più ricco detiene circa il 40% della ricchezza complessiva.
L’Africa subsahariana è spesso descritta come una delle regioni più povere del mondo, ma meno spesso come una delle più diseguali. Tuttavia, con il 10% più ricco che cattura il 55% del reddito nazionale e l’1% più ricco che guadagna il 20%, si classifica tra le regioni più diseguali del mondo.
Il Medio Oriente si conferma una delle regioni più diseguali. Qui, nel 2023, l’1% più ricco ha guadagnato il 23,7% del reddito totale, il 10% ha guadagnato il 56,8%, il 40% “mediamente ricco” ha accumulato il 32,4% della ricchezza totale, mentre il 50% più povero ha guadagnato appena il 10,7% del totale.
Rispetto alla media mondiale, l’Est Asiatico presenta una migliore distribuzione della ricchezza. Spicca il Giappone che, rispetto a Cina, Taiwan e Corea del Sud, ha una delle più basse disuguaglianze di reddito tra i Paesi dell’area. Qui, il 10% più ricco detiene “solo” il 26% della ricchezza totale.
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Gli effetti delle sanzioni sulle disuguaglianze
Dai dati relativi a Iran e Iraq si ricava un dato interessante: le sanzioni che prendono di mira esclusivamente il settore finanziario colpiscono principalmente i più ricchi. Infatti, dopo le sanzioni finanziarie imposte dalla comunità internazionale all’Iran nel 2007, sia l’1% che il 10% dei più ricchi hanno perso 3 punti percentuali della loro quota di reddito nel 2008 con un effetto che è durato per diversi anni. Le sanzioni finanziarie del 2013 hanno avuto un effetto simile ma meno forte.
Al contrario, le sanzioni che prendono di mira l’economia nel suo complesso colpiscono principalmente la parte più povera della popolazione. Infatti, dopo le sanzioni del 1995 all’Iran è diminuita la percentuale di reddito detenuta dalla fasce più povere. Il calo è diminuito nel 2000, quando alcune di queste sanzioni sono state allentate.
Un altro dato interessante, seppur atteso, è che la disuguaglianza diminuisce dopo la tassazione. Questa dinamica sembra scontata in sistemi come il nostro, improntati alla progressività dell’imposta, ma non è così in tutto il mondo. I numeri post-tassazione rivelano livelli di concentrazione del reddito inferiori rispetto ai dati pre-tassazione, principalmente a causa dell’aumento della spesa pubblica soprattutto per i trasferimenti della spesa pubblica in sanità e istruzione. Questa riduzione sottolinea il ruolo cruciale delle politiche sociali nel diminuire le disparità di reddito. In questo senso, va la tassa sui super-ricchi proposta al G20 e strettamente legata al World Inequality Database.
La tassa sui super-ricchi al G20
Durante il G20 di Rio de Janeiro, il Brasile di Lula ha proposto la tassa per i super-ricchi, trovando il parere favorevole di alcuni (Spagna su tutti) e negativo di altri (Argentina su tutti). L’idea si basa su una proposta dell’economista francese Gabriel Zucman che insieme ai colleghi Facundo Alvaredo, Anthony Atkinson, Thomas Piketty, Emmanuel Saez ha contribuito proprio alla nascita del World Inequality Database.
Il piano punta a raccogliere fino a 250 miliardi di dollari all’anno attraverso un prelievo del 2% sulla ricchezza dei 3.300 individui più ricchi al mondo. I dati del Wid dimostrano l’urgenza di intervenire in tal senso.