Italiani e disabilità: l’inclusione è ancora un miraggio ma è anche un obiettivo comune, cresce infatti la sensibilità sul tema. Lo rivela la ricerca ‘Opinioni e percezioni sul tema della disabilità’ realizzata dall’Osservatorio D grazie alla collaborazione tra Valore D e SWG per capire l’approccio culturale e sociale degli italiani e le sfide legate all’inclusione, in occasione del 3 dicembre, giornata internazionale dei diritti delle persone con disabilità.
“Il cambiamento nella percezione e sulla gestione della disabilità richiede tempo e la collaborazione di tutti gli attori coinvolti. Il sondaggio dell’Osservatorio D evidenzia una crescente sensibilità, soprattutto tra i giovani e le imprese, che adottano politiche oltre gli obblighi di legge. Questo percorso inizia con una rappresentazione autentica e condivisa della disabilità, superando narrazioni stereotipate che rafforzano la marginalizzazione. Riconoscere e rappresentare con autenticità le identità delle persone con disabilità significa considerarle individui completi, con diritti, sogni e potenzialità, contribuendo a combattere pregiudizi e discriminazioni”, commenta Barbara Falcomer, Direttrice Generale di Valore D, associazione di imprese pioniera fin dal 2009 sui temi dell’equilibrio di genere e della diffusione di una cultura dell’inclusione a supporto dell’innovazione e della crescita del Paese.
Gli italiani come percepiscono la disabilità?
Scendendo nel dettaglio, dal sondaggio emerge che circa 1 su 2 dei rispondenti ha un’idea di accudimento e protezione nei confronti della persona con disabilità. Per il 61% “una persona con disabilità è una persona fragile e problematica, da proteggere e aiutare o da gestire”, mentre per il 24% è “speciale”, una “fonte di ispirazione”.
Allo stesso tempo la ricerca sottolinea una difficoltà comune nel riconoscere le disabilità invisibili. Mentre il 76% degli intervistati identifica come disabilità la condizione di chi è in sedia a rotelle, solo il 22% riconosce come disabilità condizioni quali l’ansia generalizzata o la sindrome da stanchezza cronica. Il dato sale nei ceti più fragili, che mostrano una maggiore sensibilità verso queste forme meno evidenti di disabilità, con percentuali che arrivano al 31% per il riconoscimento della sordità parziale e al 36% per il diabete di tipo 1.
Altro dato importante, più di 7 intervistati su 10 pensano che anche i media non rappresentino adeguatamente le persone con disabilità; il 27% anzi crede che queste vengano quasi del tutto ignorate. In sostanza, la maggioranza degli italiani ritiene che nei media la disabilità sia raccontata poco e attraverso narrazioni stereotipate, eroiche o pietistiche, assolutamente poco naturali. La ricerca evidenzia anche un gap generazionale su questo tema: l’80% dei giovani crede che la rappresentazione da parte dei media sia scarsa, mentre il 27% degli over 55 è adeguata.
Cominciare dai luoghi più respingenti: strade ma anche uffici
Insomma, la piena inclusione sembra ancora un’utopia, ma allo stesso tempo viene vista come un obiettivo comune. Da raggiungere partendo dai luoghi considerati più respingenti: per primi strade, marciapiedi e mezzi pubblici, ma anche uffici e posti di lavoro, considerati non inclusivi da oltre il 50% del campione.
Ma chi dovrebbe occuparsi di gestire e assicurare l’inclusione delle persone con disabilità? Al primo posto, per il 71% degli intervistati, tocca allo Stato e alle istituzioni pubbliche, seguiti dalle aziende e dal mondo del lavoro (62% delle risposte). Solo un terzo del campione crede che le aziende siano già sufficientemente impegnate.
Significativo anche il ruolo attribuito alla comunità: il 42% dei rispondenti ritiene che i vicini di casa e le comunità debbano fare la loro parte, con una sensibilità particolare tra le donne, che raggiungono il 47%.
Il ruolo dei caregiver
Infine, rimane aperta la questione sul ruolo dei caregiver: per il 49% degli intervistati “le persone con disabilità dovrebbero essere supportate dallo Stato/sanità pubblica, senza ricadere su figure terze” – percentuale che arriva al 55% tra i ceti fragili -, mentre il 41% è in disaccordo con questa affermazione.
Ricordiamo che in Italia, secondo i dati del rapporto “Il valore sociale del caregiver”, realizzato dal Cnel in collaborazione con il Censis per la Regione Lazio, sono oltre 7 milioni le persone, per la maggior parte donne, che si prendono cura di familiari non autosufficienti, e più di un terzo di loro (il 38%) lo fa senza alcun supporto esterno.
E le spese non sono solo monetarie. Il tempo dedicato alla cura è considerevole, un impegno che ha un forte impatto sul benessere psicologico e fisico dei caregiver come anche sulla loro attività lavorativa. Essere caregiver in Italia dunque significa spesso affrontare non solo un importante impegno fisico ed emotivo, ma anche il rischio di impoverimento economico. E gli italiani lo hanno capito, come riflette la ricerca dell’Osservatorio D: 8 intervistati su 10 infatti pensano che i caregiver dovrebbero ricevere maggior supporto e riconoscimento economico, psicologico e sociale, dimostrando di avere ben presente la dimensione a 360 gradi dell’impegno di cura.