La Germania aumenta il salario minimo: 14,60 euro all’ora dal 2027

Busta paga più ricca già dall’anno prossimo, quando la retribuzione oraria salirà a 13,90 euro. Ancora un aumento nel 2027
1 Luglio 2025
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Lavoratore
Impiegato edile_Canva

La Germania aumenterà il salario minimo dagli attuali 12,82 euro a 13,90 euro nel 2026 e fino a 14,60 euro nel 2027. La decisione è stata presa all’unanimità dalla commissione che riunisce sindacati e datori di lavoro ed entrerà in vigore dal primo gennaio 2026. Le somme concordate sono il frutto di un compromesso rispetto alle ambizioni iniziali della Spd, che puntava a raggiungere i 15 euro già nel 2026.

Con questo incremento, tra due anni un lavoratore tedesco a tempo pieno non potrà guadagnare meno di 2.500 euro lordi al mese (circa), una cifra che colloca la Germania al secondo posto in Ue per importo del salario minimo, subito dopo il Lussemburgo che mantiene il primato con 2.638 euro mensili. La ministra del Lavoro Baerbel Bas ha definito l’accordo “una testimonianza della positiva collaborazione tra le parti sociali”, ma quali sono le ricadute sotto il profilo dell’equità sociale?

Salario minimo, effetti microeconomici sulle imprese

L’aumento del salario minimo genera effetti differenziati a livello aziendale. Le imprese con bassi salari e bassa produttività potrebbero reagire riducendo la domanda di lavoro o, nei casi estremi, abbandonando il mercato. Al contrario, le aziende con bassi salari ma alta produttività potrebbero beneficiare della riduzione delle imperfezioni di mercato (il salario non riflette il vero valore creato dal lavoratore), con effetti positivi sui lavoratori e sull’economia complessiva.

Il Dmb, che rappresenta le Pmi tedesche, teme che le nuove soglie di salario minimo pattuite possano essere insostenibili per molte aziende, mentre l’Istituto Ifo avverte che, nonostante un miglioramento del clima economico, le imprese restano prudenti sul fronte occupazionale.

Gli impatti macroeconomici

Sul piano macroeconomico, il salario minimo può generare effetti di diverso tipo. Da un lato, contribuisce alla riduzione delle disuguaglianze di reddito e al contrasto della povertà, stimolando la domanda interna attraverso l’aumento del potere d’acquisto dei lavoratori meno abbienti. Dall’altro, comporta un aumento dei costi per le imprese, influenzando negativamente l’occupazione e la competitività. L’ago della bilancia è rappresentato dalla produttività. Non a caso in Italia, dove non esiste il salario minimo, questa rappresenta un grave deficit rispetto alla media europea.

La teoria economica moderna ha superato lo scetticismo iniziale sui salari minimi. Quando i datori di lavoro possiedono potere di monopsonio – pagando salari inferiori al valore prodotto dai lavoratori – un salario minimo può ripristinare il livello di compensazione che si osserverebbe in un mercato competitivo, senza causare necessariamente maggiore disoccupazione e migliorando sicuramente la vivacità del mercato interno. Chiedere a Pechino, che non riesce ad aumentare la domanda interna di prodotti e riversa la sua overproduzione nei mercati occidentali creando tensioni commerciali con gli Usa e l’Ue.

Salario minimo in Germania, quali lezioni apprendere?

L’aumento del salario minimo tedesco arriva in un momento particolarmente delicato. Dopo due anni di recessione, dovuto principalmente alla crisi dell’automotive, la disoccupazione è in crescita e potrebbe superare i 3 milioni di persone. Dal 2022, il numero di disoccupati è aumentato del 30%, colpendo principalmente i lavoratori con competenze basse.

La decisione unanime della commissione paritetica rappresenta un esempio di come, nonostante la complicata congiuntura economica, sindacati e datori di lavoro possano trovare compromessi efficaci, anche se non sempre in linea con le ambizioni iniziali delle parti.

Mentre la Germania consolida la propria posizione tra i Paesi europei con il salario minimo più elevato, l’Italia rimane tra i cinque Paesi Ue che non hanno adottato questa misura (insieme a Danimarca, Austria, Finlandia e Svezia).

Nel Belpaese, il dibattito sul salario minimo continua a dividere profondamente il panorama politico e sindacale. Le forze di sinistra e il Movimento 5 Stelle sostengono l’introduzione di un salario minimo fissato a 9 euro lordi l’ora, mentre il governo e le forze di maggioranza preferiscono puntare sulla contrattazione collettiva. Nel mondo sindacale, Cgil e Uil si schierano a favore, mentre la Cisl mantiene una posizione contraria ritenendo che la contrattazione debba essere più importante di una cifra prevista ex lege.

Il lavoro povero in Italia e l’esempio della Puglia

Non bisogna guardare necessariamente fuori per prendere spunti sul salario minimo: la Regione Puglia ha già fatto da apripista approvando all’unanimità una proposta di legge che fissa il salario minimo a 9 euro l’ora per i dipendenti pubblici regionali. Il provvedimento, che si applica agli appalti pubblici e alle concessioni, potrebbe fungere da modello per altre regioni italiane e spingere verso una legislazione nazionale. Prima della sua elezioni, la neo sindaca di Genova Silvia Salis ha promesso di introdurre una misura analoga a quella pugliese “per i lavoratori coinvolti negli appalti comunali” del capoluogo ligure.

“In Italia 5,7 milioni di lavoratori dipendenti percepiscono meno di 850 euro netti al mese, cifra che sale a 7,7 milioni se si considera la soglia dei 1.200 euro”, evidenzia Pasquale Tridico, capodelegazione del Movimento al Parlamento europeo. Numeri che evidenziano il “lavoro povero” e il basso livello delle retribuzioni nel nostro Paese, dove i salari reali sono più bassi del periodo pre-Covid.

L’esempio tedesco dimostra che il salario minimo non deve necessariamente sostituire la contrattazione collettiva, ma può integrarla per garantire una rete di protezione ai lavoratori più vulnerabili. La sperimentazione pugliese potrebbe rappresentare il primo passo verso una soluzione italiana che tenga conto delle specificità del nostro sistema di relazioni industriali, aprendo la strada a un intervento legislativo che, in attuazione dell’articolo 36 della Costituzione, preveda retribuzioni minime corrispondenti a quelle dei contratti collettivi più rappresentativi.

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