Tra i tanti ostacoli alla parità di genere, ce ne è uno che non si vede ma si sente e che si annida nei meccanismi mentali più profondi: quelli inconsci. Se ne è occupato l’Osservatorio Gender Gap ideato da B-Side, laboratorio di Neuromarketing di Bologna, con un obiettivo preciso: misurare il pregiudizio dove solitamente non viene cercato. Per farlo, l’Osservatorio ha usato uno strumento scientificamente validato, il test IAT (Implicit Association Test), su un panel 100 di lavoratori e 100 lavoratrici dell’Emilia-Romagna. I risultati sono chiari: parole come ‘ambizione’, ‘determinazione’ e ‘carriera’ sono associate all’uomo, mentre ‘cura’, ‘empatia’ e ‘pazienza’ alle donne.
Una storia nota, dunque dov’è la novità? La differenza sta proprio nel metodo usato dall’Osservatorio B-Side, ovvero lo IAT, ampiamente usato in ambito neuromarketing per valutare l’associazione di un brand a determinati valori. In questo studio è stato impiegato per indagare il legame tra genere e tratti professionali.
Cosa sono le associazioni implicite
“Le associazioni implicite sono tutte quelle credenze, motivazioni, aspettative personali, cioè tutto quello che sta ad un livello non consapevole e di conseguenza non controllabile”, spiega a Demografica Adnkronos Elena Sabattini, founder di B-Side.
A differenza dei sondaggi tradizionali, lo IAT non si basa sulle risposte razionali, ma sulle reazioni automatiche. Questo permette di rilevare pregiudizi anche in persone che, consciamente, si dichiarano inclusive e aperte. Chiarisce Sabattini: “Si fanno tante survey che però vanno sempre ad indagare la parte esplicita, quindi una risposta razionale, ma se avessimo fatto lo stesso test in Emilia Romagna, una regione che ha un buon livello socio culturale, sicuramente il risultato sarebbe stato diverso, cioè sarebbe emerso che in realtà le persone non sentono di avere forte questa associazione”. Perciò, “la cosa interessante è che questo tipo di test neuroscientifico ci dice cosa succede sotto il livello della coscienza”.
Anche le donne hanno interiorizzato gli stereotipi
I risultati del test rivelano anche un altro dato importante: che i pregiudizi sono forti anche e forse più fra le donne. Il che sembra controintuitivo, e dimostra quanto certi stereotipi siano interiorizzati anche da chi li subisce.
Come si spiega? “Probabilmente con il persistere di una serie di modelli che la comunicazione, il giornalismo stesso, i media in generale, continuano a perpetrare”, ipotizza l’imprenditrice, che prosegue: “Nel momento in cui si sceglie una foto da abbinare a un articolo o a una pagina pubblicitaria, si sceglie un po’ in base a dei preconcetti, e quindi si mette la mamma col bambino in braccio e il papà con la 24 ore”. Ma anche presentare un cda come “tutto in rosa” rischia di farlo passare come fosse una bestia rara invece di normalizzarlo, spiega la founder di B-Side. Allo stesso modo, specifica, “non esiste una leadership femminile, perché si dà per scontato che la leadership femminile debba essere più empatica e più dolce ma non è necessariamente così”.
Sabattini menziona anche l’educazione, sia scolastica che familiare, oltre ai media e ai social, come fattori che contribuiscono al perdurare degli stereotipi. Per quanto non oggetto dell’analisi dell’Osservatorio, “sono tutti i canali in cui in un modo o in un altro viene veicolata una certa immagine della donna e dell’uomo, perché l’uomo stesso è vittima di questa immagine”.
“Se gli uomini entrassero più nell’ordine di idee che questo tipo di pregiudizi danneggia anche loro, la loro capacità, le loro opportunità di esprimersi liberamente senza essere giudicati, probabilmente capiremmo che siamo tutti sulla stessa barca invece di avere delle contrapposizioni”, fa presente l’imprenditrice. Perché “ad esempio a un uomo sensibile viene detto che è poco virile, che gli piacciono le cose da femmine”, e lo stesso potere che esercitano ha un prezzo. Per dirne uno l’imprenditrice ricorda che “ci sono casi di padri che vengono bullizzati perché prendono il congedo facoltativo”, e paradossalmente a volte vengono discriminati.
Rimane il fatto però che i pregiudizi, ben radicati nell’inconscio di tutti, condizionano le donne nelle loro scelte e nel loro modo di relazionarsi. Infatti, se le decisioni femminili vengono prese pensando che “essere ambiziose non è una cosa da donne”, allora “non mi devo porre degli obiettivi troppo alti”.
Leader-Uomo, Support-Donna, un’associazione che pesa in tutti i settori
Considerando questa situazione, nel concreto quali settori lavorativi sono più penalizzati dal fatto che il leader è uomo e la donna è support, e che carriera, comando, ambizione sono caratteristiche maschili mentre compassione e pazienza sono femminili?
“Penso che sia penalizzante in tutti gli ambiti, perché laddove ci sono settori più tecnici, se sei donna devi dimostrare di saperne di più, vedi anche tutto il discorso del mensplaining (quando un uomo spiega qualcosa a una donna presumendo che lei ne sappia poco o niente, anche se è un’esperta, ndr)
Ma anche nelle professioni di cura è sempre la donna che deve accudire, che deve essere compassionevole ed empatica, quindi lo si subisce un po’ in tutte le sfumature”, afferma la founder di B-Side.

E nelle aziende come si può fare per promuovere un cambiamento concreto? “Dipende tanto dalle singole persone. Avere delle policy sicuramente aiuta, così come fare in modo che i corsi sull’inclusività non vengano vissuti come una cosa noiosa e astratta. Il problema, secondo me, c’è soprattutto nelle aziende a tipica conduzione familiare in cui c’è ancora un po’ quella concezione più vecchia e che però sono il nostro tessuto”, spiega Sabattini. Per questo motivo, è importante iniziare dai giovani.
Tra i messaggi errati che la società continua a trasmettere, l’imprenditrice menziona quello per cui “certi sport e certe professioni sono normalmente associati al maschile, cosa che porta ad esempio alla carenza di donne nelle materie STEM (le materie scientifiche)”. Deleterio poi, per Sabattini, “tutto quello che viene considerato da maschio o da femmina, a partire dai giochi dei bambini. Alla bambina compro la bambola e non il Lego Meccano, per dire: sono piccole cose che però cominciano già a instillare dei ruoli di genere”.
D’altronde, sottolinea, le categorizzazioni “fanno comodo, perché per il nostro cervello qualunque scorciatoia che aiuti a fare meno fatica, da un punto di vista di elaborazione cognitiva, è benvenuto”, perché “se per ogni minima cosa dovessimo metterci a rivalutarla da capo non ne usciremmo più”. Ma “è anche importante capire che cosa effettivamente può essere giudicato di primo acchito e che cosa se è giudicato di primo acchito fa dei danni dopo”.
Come si possono scardinare le associazioni implicite?
Proprio perché tutto questo affonda anche in una strategia evolutiva, le associazioni implicite sono anche molto complesse da scardinare. Come si potrebbe fare?
Per Sabattini, “l’unica è partire dalla consapevolezza che esistono e quindi non limitarsi solo ai sondaggi classici in cui è la nostra parte razionale a rispondere, ma capire che c’è tanto sotto”. A tal proposito, anticipa, il lavoro del dell’Osservatorio Gender Gap proseguirà: un’idea è replicare l’analisi sugli studenti, “per vedere se la percezione emersa in questa prima survey cambia in persone che non lavorano, e poi anche su fascia di età diverse”.
È anche necessario “cominciare a lavorare su media, pubblicità, scuola, famiglia, cioè cominciare a scardinare un pochino quel tipo di messaggi, a far diventare normale che quando si parla di un medico non necessariamente è il quarantenne maschio bianco ma può essere anche la ragazza indiana, quindi anche proprio da un punto di vista delle piccole cose, perché sull’implicito ci sono le piccole cose di ogni giorno che si sommano una sopra l’altra”, spiega la founder di B-Side.
Un meccanismo di rinforzo tramite ripetizione che ha un risvolto positivo: tutti possiamo fare qualcosa partendo dal quotidiano, dal linguaggio, che, spiega Sabattini, “ha un potere enorme”. Anche usare il femminile dei termini, in particolare professionali, e introdurli se prima non esistevano, è importante: molte donne usano il maschile, perché in fondo “il femminile a volte lo ritieni sminuente. Finché continuiamo a perpetrare questa cosa, avvalliamo il fatto che direttrice (ad esempio) sia meno”. Le cose insomma “partono un po’ da noi, anche da queste piccole cose, da quando diventerà normale dire ‘imprenditrice’ e non ‘imprenditore in rosa’”.