Disarmare le parole per salvare la Terra: l’appello di Papa Francesco

Dall'ospedale, il Pontefice lancia un appello contro la guerra e il suo impatto devastante sul pianeta
18 Marzo 2025
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Papa Francesco
Papa Francesco (Afp)

“Dobbiamo disarmare le parole, per disarmare le menti e disarmare la Terra.” Non è solo un’esortazione morale, ma un appello concreto quello lanciato da Papa Francesco nella sua lettera al Corriere della Sera, una riflessione che si staglia su uno scenario globale segnato da conflitti devastanti. Il Pontefice, dal letto d’ospedale del Gemelli, non ha usato mezzi termini: la guerra non solo uccide gli uomini, ma devasta l’ambiente, compromette il futuro del pianeta e getta ombre sulle speranze delle generazioni a venire.

C’è una lucidità particolare nelle parole del Papa, una chiarezza che nasce dalla fragilità stessa della condizione umana, dalla consapevolezza che le scelte fatte oggi determinano il domani. Eppure, mentre la diplomazia fatica a trovare nuove strade per la pace e le organizzazioni internazionali lottano per recuperare credibilità, il prezzo della guerra viene spesso ridotto a un conteggio di vite umane e danni economici. Ma il vero impatto è molto più ampio: il conflitto non si limita ai campi di battaglia, ma si estende ai boschi che bruciano, ai mari contaminati, alle infrastrutture energetiche distrutte, all’aria resa irrespirabile.

Se le parole possono dividere o unire, è urgente che diventino strumenti di pace. E questo significa riconoscere che disarmare la Terra non è solo un’utopia spirituale, ma una necessità materiale, una questione di sopravvivenza per il pianeta.

Il peso insostenibile della guerra sull’ambiente

Secondo il report dell’Initiative on GHG Accounting of War, il conflitto tra Russia e Ucraina ha già prodotto oltre 200 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti dal 24 febbraio 2022. È una cifra mostruosa, capace di eguagliare le emissioni annuali di interi Paesi europei come Austria, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia messi insieme. Ma non è solo una questione di numeri: questa montagna di gas serra sta accelerando una crisi climatica già fuori controllo, amplificando la frequenza di eventi estremi, intensificando siccità e inondazioni, destabilizzando interi ecosistemi.

Nel 2024, l’aumento delle emissioni derivanti dalla guerra ha raggiunto un record allarmante del 31%. Il dato più inquietante? L’impatto climatico della guerra ha già superato le emissioni previste per la futura ricostruzione delle infrastrutture distrutte. Questo significa che, ancor prima di rimettere in piedi ciò che è stato abbattuto, il danno ambientale è già fuori scala.

Non sono solo i bombardamenti e i combattimenti a rilasciare emissioni: la chiusura dello spazio aereo su Russia e Ucraina ha costretto le compagnie aeree a deviazioni che hanno aggiunto 14,4 milioni di tonnellate di CO2 all’atmosfera. Gli incendi boschivi, spesso innescati dai bombardamenti, hanno emesso oltre 16,9 milioni di tonnellate di gas serra. E poi c’è il problema dell’inquinamento delle acque, delle terre devastate da sostanze tossiche, dei suoli resi sterili da esplosioni e prodotti chimici.

Chi paga il conto climatico della guerra?

Il calcolo del cosiddetto “costo sociale del carbonio” è impietoso: a 185 dollari per tonnellata di CO2 emessa, la Federazione Russa dovrebbe risarcire il mondo con oltre 42 miliardi di dollari. Una cifra che si aggiunge ai danni umani, economici e infrastrutturali. Ma il problema non è solo della Russia: nessuna guerra è mai stata ecologicamente sostenibile. Dai conflitti in Medio Oriente, che hanno trasformato regioni fertili in deserti, alle guerre in Africa, che hanno compromesso falde acquifere e sterminato biodiversità, la storia insegna che ogni guerra è anche una guerra contro l’ambiente.

L’idea che chi scatena un conflitto debba rispondere anche delle emissioni che ha causato è una proposta radicale ma necessaria. Il problema è che la diplomazia internazionale non sembra ancora pronta ad affrontarlo: nei colloqui di pace, le vittime umane restano al centro della discussione, mentre il disastro ecologico viene relegato a nota a margine.

Mentre governi e multinazionali dichiarano impegni solenni per ridurre le emissioni, la realtà ci dice che le guerre annullano ogni progresso. Nel 2023, le emissioni globali di CO2 hanno segnato un nuovo record, spingendo il pianeta sempre più vicino alla soglia critica di +1,5°C rispetto all’era preindustriale. Nonostante i proclami della COP28, nonostante le promesse di transizione energetica, la macchina bellica continua a divorare risorse e a sputare inquinanti, senza alcun vincolo ambientale.

Il paradosso è evidente: si finanziano eserciti mentre si tagliano i fondi per il contrasto al cambiamento climatico. Si costruiscono nuove centrali a carbone per compensare la distruzione di infrastrutture energetiche in guerra. Si investono miliardi in tecnologie belliche sempre più avanzate mentre le energie rinnovabili faticano a ottenere il supporto necessario per decollare su scala globale. In un mondo che continua a dividersi in blocchi contrapposti, la vera minaccia resta la stessa per tutti: un pianeta che non riesce più a sostenere il peso del conflitto.

Disarmare la Terra è ancora possibile?

Se le parole del Papa devono avere un impatto reale, serve un cambio di prospettiva. Disarmare la Terra significa rivedere le priorità politiche ed economiche, mettere in discussione la convinzione che la sicurezza si costruisca con le armi anziché con la cooperazione. Significa anche accettare che la transizione ecologica non sarà mai completa finché esisteranno guerre pronte a cancellare in un istante ogni progresso.

La guerra, ha scritto Francesco, “non fa che devastare le comunità e l’ambiente, senza offrire soluzioni ai conflitti”. Eppure, continuiamo a trattarla come un male necessario, un prezzo da pagare per ragioni geopolitiche. Finché non riconosceremo che ogni bomba sganciata è un colpo inferto non solo a un nemico, ma all’intero pianeta, il cammino verso la pace resterà una strada interrotta.

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