Assunzioni per 16mila social media manager negli enti pubblici

Dalla Legge 69/2025 alla crescita dei social manager pubblici, fino alla formazione e all’Ai: ecco come cambia il volto della pubblica amministrazione italiana
20 Maggio 2025
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Fino a qualche anno fa, parlare di social media manager nella Pubblica Amministrazione italiana sarebbe sembrato quasi un’eresia. Ora invece è realtà. Non un sogno, non un’ipotesi accademica, ma un cambiamento normato e attuabile. Il Decreto Pa, convertito nella Legge 69 del 2025, segna un cambio di passo epocale: gli enti pubblici potranno dotarsi ufficialmente di figure professionali competenti nella comunicazione digitale, con un focus specifico sui social network. Perché, se i cittadini sono online, è lì che la Pa deve saper parlare.

L’obiettivo è quello di migliorare la comunicazione tra istituzioni e cittadini, rendendola più chiara, accessibile e diretta. Non si tratta solo di un aggiornamento stilistico, ma di una vera trasformazione culturale, dove Facebook, X, Instagram e LinkedIn diventano strumenti di dialogo e trasparenza amministrativa. Figure nuove, capaci di parlare con il linguaggio del web e di raccontare la complessità del servizio pubblico in modo umano e coinvolgente.

Parliamo di una platea potenziale di oltre 16mila specialisti, uno per ciascuna delle amministrazioni presenti sul territorio: dai ministeri ai piccoli comuni. Professionisti chiamati non solo a gestire profili istituzionali, ma a progettare strategie comunicative, diffondere informazioni utili, contrastare la disinformazione e rafforzare la fiducia nel settore pubblico. Perché, come ricorda Marco Carlomagno, segretario generale della Federazione Lavoratori Pubblici e Funzioni Pubbliche, “la comunicazione non può essere centralizzata: deve partire dai territori e deve puntare su competenze vere, acquisite o da formare internamente”.

Una nuova generazione entra nella Pa

Dietro questa svolta comunicativa, c’è una macchina in fermento che ha già iniziato a muoversi. Tra gennaio 2024 e aprile 2025, sono state attivate procedure per il reclutamento di oltre 406mila nuovi lavoratori nella Pubblica Amministrazione. Una mobilitazione senza precedenti, non solo per quantità, ma anche per qualità dei profili cercati. Basti pensare che più di 8.800 posizioni sono state riservate a esperti digitali, e che a questi si aggiungono i nuovi social media manager e digital manager, figure pensate per innovare tanto la comunicazione quanto i processi gestionali.

A dirlo non sono solo i numeri, ma anche il clima positivo che si respira tra le nuove leve. Su inPa, la piattaforma per il reclutamento, sono registrati oltre 2 milioni di cittadini, con più del 50% dei candidati under 40. Il tempo medio per la chiusura dei concorsi è crollato da 780 a circa 150 giorni, e questo ha permesso di rendere la Pa più attrattiva per le nuove generazioni, un traguardo inseguito da anni.

Il ministro Paolo Zangrillo ha sottolineato come le nuove misure puntino anche ad allargare le maglie d’accesso, coinvolgendo, ad esempio, i diplomati degli Its Academy, che ora possono essere assunti come funzionari con contratti a tempo determinato, con possibilità di carriera a lungo termine. Una svolta meritocratica e pragmatica, che non chiede lauree immediate ma capacità e impegno.

Questa trasformazione non è solo amministrativa. È culturale. È la prova che la Pa non è più il pantano immobile del passato, ma un’organizzazione in evoluzione che sa rispondere a sfide nuove con strumenti nuovi. E tra questi strumenti, la comunicazione digitale gioca ormai un ruolo centrale.

La Pa riscopre sé stessa

Accanto alla modernizzazione degli strumenti, si afferma un fenomeno meno tangibile, ma altrettanto decisivo: il ritorno della fiducia interna. Secondo i dati emersi dalla ricerca Fpa 2025, ben sette dipendenti pubblici su dieci percepiscono il proprio lavoro come utile alla comunità. Non solo: il 76% lo consiglierebbe a un amico o parente, e quasi il 70% si dichiara soddisfatto del proprio ruolo.

Una rivoluzione che parte dal basso, dalle scrivanie e dai team operativi, e che trova alimento nella sensazione di fare qualcosa di importante. A muovere questo nuovo spirito sono in particolare due fattori: la digitalizzazione e il miglioramento della comunicazione verso i cittadini. Due processi ancora in fieri, certo, ma che stanno già producendo frutti concreti in termini di efficienza e coinvolgimento.

Il lavoro di squadra è sempre più diffuso: oltre il 68% dei dipendenti lavora in squadra o in gruppi trasversali, spesso con altri enti. È il superamento dell’antica logica dei silos. L’interazione, la collaborazione intersettoriale, e la trasparenza diventano il tessuto connettivo di una Pa che vuole essere vicina alle persone.

Eppure, non tutto è oro. Ci sono ancora nodi da sciogliere: la valorizzazione del merito, ad esempio, resta un punto dolente. Il 53% dei lavoratori giudica insufficiente il riconoscimento delle competenze e delle performance. Anche sul clima di fiducia interna, soprattutto nei rapporti tra ruoli apicali e operativi, il cammino è lungo. Ma il cambiamento è iniziato. E non sembra intenzionato a fermarsi.

La nuova sfida del capitale umano pubblico

Se il motore della Pa è rappresentato dalle persone, la benzina sono le competenze. E mai come oggi la formazione diventa un nodo cruciale per rendere la macchina pubblica non solo efficiente, ma anche al passo con l’innovazione. I giudizi sulla qualità della formazione ricevuta dai dipendenti pubblici sono generalmente positivi: la modalità di erogazione, l’ampiezza dei temi e il livello di approfondimento dei contenuti ricevono voti superiori alla sufficienza (intorno al 3 su 5).

Ma quando si va a guardare l’adeguatezza della formazione rispetto al ruolo specifico, emergono delle lacune. Serve più precisione, più personalizzazione, più aderenza alle reali necessità operative. Per questo, nel disegno della “Pa aumentata” evocata al Forum Pa 2025, la formazione diventa centrale e va progettata in stretta relazione con i cambiamenti in atto – a cominciare da quelli imposti dalla rivoluzione dell’intelligenza artificiale.

Il 79% dei dipendenti pubblici ritiene che l’Ai aumenti la propria produttività, il 46% ne apprezza l’impatto creativo, e il 43% la considera addirittura una leva professionalizzante. Non è solo questione di automazione, ma di una trasformazione nel modo stesso di pensare il lavoro pubblico. C’è però un 26,5% che riconosce la necessità di aggiornare le proprie competenze per affrontare al meglio questa sfida. Anche qui, quindi, formazione e visione strategica camminano mano nella mano.

Sul fronte del benessere organizzativo, però, la strada è ancora in salita. Solo il 44% dei giudizi è positivo. Manca chiarezza sugli obiettivi, sulle prospettive di carriera, sul riconoscimento del merito. Ma c’è una nuova consapevolezza: che la motivazione passa anche dalla qualità dell’ambiente di lavoro, dall’autonomia decisionale, dalla possibilità di sbagliare senza paura e di essere ascoltati.

Ecco allora che il nuovo volto della Pa non è fatto solo di numeri, algoritmi o riforme legislative. È fatto di persone che tornano a credere nel proprio lavoro, di professionisti capaci di innovare, di team che collaborano oltre i confini formali degli uffici. È la Pa del futuro che prende forma, un tweet alla volta.

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