In Cina i bambini studieranno l’Ai a scuola già dai 6 anni

L’approccio pedagogico è calibrato con precisione chirurgica sulle diverse fasce d’età
5 Maggio 2025
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Bambina Cinese A Scuola Canva
Una bambina cinese a scuola

Dal 1° settembre 2025, milioni di bambini cinesi, già dall’età di sei anni, dovranno studiare l’intelligenza artificiale a scuola come materia obbligatoria. Non un’opzione, non un’attività extracurricolare, ma un pilastro fondamentale della formazione scolastica al pari della matematica e della lingua madre. Mentre la battaglia commerciale con gli Usa continua a corrente alternata, Pechino scommette sulla conoscenza dell’Ai per dominare il panorama tecnologico globale nei decenni a venire.

Ai a scuola, come funziona il piano di Pechino

Il piano ambizioso del governo cinese prevede che ogni studente, dalla scuola primaria alla secondaria, riceva almeno otto ore di lezioni di intelligenza artificiale all’anno. La Cina sembra aver compreso che, nell’era digitale, la conoscenza profonda dell’Ai rappresenta sia un’arma offensiva che difensiva nel confronto geopolitico globale.

L’approccio pedagogico è calibrato con precisione chirurgica sulle diverse fasce d’età. I bambini più piccoli, dalle classi prima alla terza, verranno introdotti alle applicazioni di base dell’Ai nella vita quotidiana attraverso esperienze pratiche e ludiche. Gli studenti dalla quarta alla sesta classe parteciperanno invece a progetti semplici di codifica e automazione. Il percorso culminerà alle scuole medie e superiori con lo studio di argomenti avanzati come reti neurali, addestramento dei dati e utilizzo etico della tecnologia.

“Promuovere l’educazione all’Ai nelle scuole primarie e secondarie ci aiuterà a esplorare meglio le risorse educative e a sostenere uno sviluppo educativo sostenibile”, ha dichiarato Lin Rupeng, direttore del Dipartimento dell’Istruzione della Provincia del Guangdong. Una provincia, quest’ultima, che ha già implementato un proprio quadro normativo, richiedendo sei ore di educazione all’intelligenza artificiale per gli studenti dal primo al quarto grado e dieci ore per quelli dal quinto all’ottavo.

Il grande balzo tecnologico

La decisione di rendere obbligatorio l’insegnamento dell’Ai si inserisce in una strategia nazionale molto più ampia. Il Ministero dell’Industria e dell’Informazione Tecnologica e il Ministero delle Finanze hanno recentemente istituito un fondo nazionale per l’Ai di 60 miliardi di yuan (8,2 miliardi di dollari) per accelerare gli investimenti strategici nell’infrastruttura e nelle tecnologie all’avanguardia. Un investimento colossale che sottolinea la determinazione cinese nel consolidare la propria leadership globale in questo settore.

Zhou Dawang, capo del dipartimento di scienza, tecnologia e informatizzazione del Ministero dell’Istruzione, ha evidenziato che le nuove linee guida richiedono un aggiornamento completo delle discipline, dei curricula e dello sviluppo dei talenti per soddisfare le esigenze dell’economia digitale e delle industrie future.

La conoscenza ha i suoi pericoli, certo, ma è più pericolosa l’ignoranza”, scriveva Isaac Asimov nel suo romanzo “Io, robot”. E la Cina sembra aver fatto proprio questo principio, scegliendo di abbracciare l’Ai piuttosto che temerla, di comprenderla in profondità piuttosto che subirla passivamente.

Così la Cina ripensa l’educazione

L’integrazione dell’Ai nel sistema educativo cinese non rappresenta solo un’aggiunta curriculare, ma un ripensamento fondamentale dell’approccio pedagogico. Yang Zongkai, presidente dell’Università di Tecnologia di Wuhan e membro del comitato nazionale di esperti sulla digitalizzazione dell’istruzione, ha sottolineato come l’Ai stia rapidamente trasformando i mercati del lavoro e la creazione di conoscenza, imponendo un ripensamento dei modelli di formazione dei talenti. “L’Ia non sta solo ridisegnando il modo in cui insegniamo e impariamo, ma sta anche portando nuove possibilità per l’innovazione educativa,” ha dichiarato Yang.

La sfida è duplice: da un lato, insegnare la tecnologia in sé; dall’altro, ripensare l’intero processo educativo attraverso le lenti dell’intelligenza artificiale.

Secondo una recente ricerca pubblicata sull’International Journal of Academic Research in Progressive Education and Development, l’Ai nell’educazione della prima infanzia può fungere da “catalizatore di sviluppo”, amplificando piuttosto che sostituendo il tutoraggio umano. Gli strumenti tecnologici devono servire come “protesi cognitive” che potenziano anziché rimpiazzare la guida umana, integrando armoniosamente tecnologia e pedagogia. È notizia di questi giorni che Duolingo rimpiazzerà i dipendenti con l’intelligenza artificiale.

Cina e Occidente: due approcci a confronto

Mentre la Cina procede spedita nel suo piano di alfabetizzazione di massa all’IA, altri paesi stanno appena iniziando a muovere i primi passi in questa direzione. La California ha recentemente legalizzato l’introduzione di contenuti relativi all’Ai nei curricula scolastici, mentre l’Italia sta avviando applicazioni pilota di software Ai in 15 aule scolastiche. Tuttavia, nessun Paese occidentale ha ancora adottato un approccio così sistematico e precoce come quello cinese.

L’Unesco, nel suo documento “AI and Education: Guidance for Policy-Makers”, sottolinea l’importanza di politiche che non solo sfruttino il potenziale dell’IA ma che tengano anche conto dell’etica, della privacy dei dati e del divario digitale. Un punto, quest’ultimo, che solleva interrogativi sull’approccio cinese: quanto spazio viene lasciato alle considerazioni etiche nell’insegnamento dell’Ai ai bambini?

Le considerazioni etiche e i dubbi sulla privacy

Se è vero che la conoscenza è potere, è altrettanto vero che il potere necessita di responsabilità. Un aspetto cruciale dell’educazione all’Ai riguarda le considerazioni etiche, la privacy dei dati e l’equità degli algoritmi. Questioni come il pregiudizio algoritmico nei sistemi di riconoscimento facciale e le preoccupazioni sulla privacy dei dati (emerse con forza con il caso DeepSeek) richiedono solide salvaguardie per garantire un accesso equo e proteggere i diritti dei bambini.

In Europa, l’Ai Act impone specificamente la trasparenza negli strumenti di intelligenza artificiale progettati per i bambini piccoli, enfatizzando la progettazione adeguata all’età e i meccanismi di consenso parentale. Una dimensione, quella etica, su cui il piano cinese dovrà necessariamente confrontarsi.

Preparare i cittadini del futuro: una corsa contro il tempo

La corsa all’educazione all’Ai non è solo una questione di competitività economica, ma di preparazione dei cittadini a un futuro radicalmente diverso. L’Unesco sottolinea che l’educazione gioca un ruolo fondamentale nel coltivare l’alfabetizzazione critica all’Ai tra insegnanti e studenti, includendo la comprensione di come funziona la tecnologia, le sue capacità in evoluzione, i punti di forza, i limiti e i rischi. Solo con queste competenze, insegnanti e studenti possono applicare eticamente e responsabilmente gli strumenti di Ai nell’istruzione e negli altri campi. Con questo approccio si potrebbe persino utilizzare l’Ai a fini benefici e di sviluppo sociale, che accorcino le distanze e riducano i contrasti, piuttosto che aumentarli.

La decisione cinese è audace e, per certi versi, rischiosa. Implementare un programma educativo sull’Ai per bambini di sei anni richiede un delicato equilibrio tra innovazione tecnologica e valori educativi umanistici. Tuttavia, è proprio in questa tensione creativa che potrebbero emergere i modelli educativi del futuro.

L’eredità di Sun Tzu

Il piano cinese di educazione all’Ai rappresenta un esperimento sociale e educativo senza precedenti, i cui risultati si manifesteranno pienamente solo nei prossimi decenni. Nel frattempo, pone una domanda fondamentale a tutti i sistemi educativi globali: come prepariamo le nuove generazioni a un mondo in cui l’intelligenza artificiale sarà onnipresente?

Nelle ultime settimane è stato pubblicato lo studio “Ai 2027” secondo cui, lo scontro tra Occidente e Cina sullo sviluppo dell’Ai e il perfezionamento di questi strumenti potrebbe far soccombere l’umanità. Per gli autori dello studio (tra cui l’ex Open Ai Daniel Kokotajlo), continuando ad auto-svilupparsi la superintelligenza artificiale finirebbe per distruggere l’essere umano con l’unico scopo di preservare sé stessa. Nel 2026, i laboratori di Ai potrebbero utilizzare i propri modelli per accelerare lo sviluppo della stessa intelligenza artificiale, triplicando la velocità della ricerca.

Ma è nel 2027 che si concentrerà la vera esplosione delle intelligenze artificiali. A marzo si prevede l’arrivo del “programmatore superumano”, un sistema in grado di sostituire il migliore fra gli sviluppatori di codice.

Il vero pericolo, secondo gli autori dello studio, risiede nel cosiddetto “disallineamento” dell’intelligenza artificiale rispetto agli obiettivi umani. Con l’avanzare dello sviluppo, i sistemi di Ai potrebbero allontanarsi dalle specifiche di modello che definiscono “gli obiettivi, le regole, i principi che dovrebbero guidare il comportamento” dell’intelligenza artificiale e, in pratica, agire di testa propria, non rispondendo più ai comandi degli esseri umani.

D’altronde, pensare che l’innovazione tecnologia si arresterà è utopistico, quanto meno nel senso originale del termine: non avverrà in nessun luogo, né in Occidente né in Oriente, con Usa e Cina che si sfidano per il primato assoluto in questa tecnologia.

La tattica scelta da Pechino è quella di conoscere questa tecnologia, e non di evitarla, unendo l’aspetto umano con quella tecnica. L’insegnamento del generale e filosofo cinese Sun Tzu sembra arrivato fino alla Cina di oggi: “Se conosci il nemico e conosci te stesso, non dovrai temere il risultato di cento battaglie”.

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