La proposta di legge presentata dal deputato di Fratelli d’Italia, Silvio Giovine, che mira a chiudere obbligatoriamente i negozi durante le principali festività nazionali, sta accendendo un acceso dibattito. Il testo prevede che, per sei giorni all’anno – Natale, Pasqua, Primo Maggio, Ferragosto, Capodanno e Santo Stefano – i negozi, inclusi supermercati, dovranno rimanere chiusi. L’intento di questa legge non è solo il rispetto del diritto dei lavoratori a trascorrere le festività con le loro famiglie, ma anche quello di restituire un respiro alla qualità della vita di migliaia di impiegati, stanchi di dover sacrificare le proprie celebrazioni per motivi lavorativi.
Tuttavia, la proposta non è affatto priva di opposizioni. Da un lato, i fautori sostengono che si tratti di una misura di buon senso, volta a riequilibrare la bilancia tra le esigenze dei lavoratori e quelle del commercio. Giovine, infatti, ha dichiarato che dal 2012, con il decreto “salva Italia” del governo Monti, si è perso il controllo locale sulle aperture festive. La proposta, secondo lui, avrebbe l’obiettivo di restituire una “sostenibilità sociale” al lavoro, che troppo spesso impone turni anche nei giorni più significativi dell’anno.
Non tutte le realtà condividono questo approccio. La legge, infatti, non riguarda i pubblici esercizi come bar, ristoranti, e pasticcerie, né i punti vendita in aeroporti e stazioni di servizio, che rimangono liberi di aprire. Per coloro che trasgrediscono e aprono durante i festivi, le sanzioni sono severe, con multe fino a 12mila euro e, in caso di recidiva, la chiusura da uno a dieci giorni.
Le voci critiche
I contrari alla proposta evidenziano diverse problematiche legate a questa proposta. Federdistribuzione, attraverso il suo presidente Carlo Buttarelli, avverte che la chiusura obbligatoria potrebbe spingere ulteriormente i consumatori verso il commercio online, un settore che già opera senza limiti di orario. “I giorni festivi generano il 40% del fatturato settimanale”, afferma Mario Resca, presidente di Confimprese, sottolineando che la chiusura dei negozi in queste giornate potrebbe causare una significativa perdita economica. Aggiunge anche che si rischierebbe una perdita di posti di lavoro, un effetto che, secondo lui, sarebbe in contrasto con gli intenti di tutela dei lavoratori.
Roberto Zoia, presidente del Consiglio Nazionale dei Centri Commerciali, sostiene che la chiusura nei giorni festivi potrebbe creare asimmetrie competitive tra i negozi fisici e l’e-commerce, che lavora 24 ore su 24. I centri commerciali, infatti, registrano le migliori performance di vendita durante le festività, e la proposta potrebbe mettere a rischio l’occupazione di quasi 750.000 persone impiegate in questo settore.
Anche il Codacons boccia la proposta, giudicandola anacronistica e dannosa per i piccoli commercianti, che potrebbero trovarsi svantaggiati rispetto ai giganti dell’e-commerce. Il presidente Carlo Rienzi ha dichiarato che, pur riconoscendo la necessità di combattere il precariato e lo sfruttamento dei lavoratori, non si può risolvere il problema con un’imposizione di chiusura obbligatoria.
Le voci favorevoli
Non tutti, però, si oppongono a questa iniziativa. Coop, da sempre favorevole a una migliore conciliazione tra vita privata e lavoro, ha espresso una posizione favorevole al provvedimento, seppur con un confronto approfondito per evitare effetti negativi sui diversi operatori. Le cooperative, infatti, già chiudono durante le principali festività, e un obbligo di legge potrebbe uniformare le normative in tutto il settore.
Anche il sindacato Filcams Cgil ha dichiarato di sostenere la proposta di legge, sottolineando che l’obiettivo non è solo quello di regolamentare le aperture, ma anche di garantire condizioni di lavoro più dignitose per i lavoratori del commercio, che spesso sono costretti a lavorare durante i festivi senza un adeguato riposo. Filcams chiede una regolamentazione chiara che tenga conto delle esigenze di tutti: lavoratori, imprese e consumatori.
Da parte della Cisl, il segretario generale Davide Guarini ha dichiarato che la proposta potrebbe essere un buon inizio per affrontare il problema, pur suggerendo che sarebbe più opportuno includere tutte le festività, non solo quelle principali.
Il punto di vista dei consumatori e le implicazioni sociali
Le opinioni dei consumatori non sono meno rilevanti. Secondo alcune voci, il divieto di apertura potrebbe risultare problematico per chi si trova ad affrontare situazioni in cui i negozi sono un’importante risorsa nei giorni festivi. D’altro canto, chi è favorevole alla proposta sottolinea la crescente necessità di spazi di riposo per i lavoratori, soprattutto in un contesto che vede il lavoro festivo come una normalità, spesso accompagnata da orari estenuanti e retribuzioni minime.
Nel mezzo di questo dibattito si inserisce il tema della sostenibilità sociale ed economica. Per alcuni, l’equilibrio tra lavoro e vita privata è un obiettivo imprescindibile per la crescita di una società che mira a valorizzare il benessere dei suoi cittadini. La legge proposta, dunque, potrebbe rispondere a una crescente domanda di diritti sociali, senza dimenticare però le implicazioni economiche che potrebbe avere sul commercio fisico e sul mercato del lavoro.
In definitiva, la proposta di legge sulla chiusura obbligatoria dei negozi durante le festività solleva un’importante questione: come riuscire a bilanciare il rispetto dei diritti dei lavoratori con la necessità di sostenere un settore commerciale che già fatica a competere con il mercato globale dell’e-commerce? La strada per trovare una risposta soddisfacente non è facile, ma è chiaro che la società è chiamata a riflettere su un equilibrio sempre più difficile da mantenere tra tradizione e innovazione, tra diritti e opportunità economiche.