Micotossine, aumentano i rischi per l’uomo a causa del cambiamento climatico

Un nemico invisibile, insapore e inodore che diventa sempre più difficile da contenere
14 Marzo 2025
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Agricoltura Campi Allagati

C’è un nemico silenzioso che si insinua nei campi di grano, nei silos di stoccaggio, nei prodotti da forno che portiamo in tavola ogni giorno. Invisibile, insapore, inodore, ma potenzialmente letale: parliamo delle micotossine, sostanze tossiche prodotte dai funghi che stanno guadagnando terreno in Europa a causa dei cambiamenti climatici. L’innalzamento delle temperature e l’aumento dell’umidità stanno creando un habitat perfetto per la proliferazione dei funghi responsabili di queste sostanze nocive. Secondo l’Agenzia Europea dell’Ambiente, l’incremento di micotossine nei raccolti rappresenta una sfida crescente per la salute pubblica e la sicurezza alimentare. Il problema non si limita ai campi agricoli: le micotossine possono resistere ai processi di lavaggio, cottura e trasformazione degli alimenti, rendendo la contaminazione un pericolo subdolo e persistente.

Le conseguenze per la salute sono allarmanti. Queste tossine possono interferire con il sistema ormonale, compromettere il sistema immunitario, danneggiare fegato e reni e persino favorire lo sviluppo di tumori. In alcuni casi, come per il deossinivalenolo, una micotossina molto diffusa nei cereali coltivati in zone temperate, si registra un’esposizione nociva per il 14% della popolazione adulta europea. E non è solo il cibo a essere un vettore: l’acqua contaminata dal deflusso agricolo, l’inalazione di polveri contaminate e l’assorbimento cutaneo sono ulteriori vie di esposizione, rendendo il problema ancora più difficile da contenere.

Chi rischia di più e perché?

Sebbene le micotossine rappresentino un rischio per tutta la popolazione, alcuni gruppi risultano particolarmente vulnerabili. Bambini piccoli, donne in gravidanza e lavoratori del settore agroalimentare sono tra le categorie più esposte. I neonati e i bambini tra 1 e 3 anni, ad esempio, consumano più cibo rispetto al loro peso corporeo e risultano quindi maggiormente a rischio. Inoltre, l’esposizione prenatale a queste tossine può avere effetti negativi sullo sviluppo del feto, attraversando la placenta e interferendo con il sistema endocrino.

Ma non solo: chi lavora a stretto contatto con le colture contaminate o nelle fabbriche di trasformazione alimentare corre rischi elevati, in quanto può inalare particelle tossiche o assorbirle attraverso la pelle. Studi recenti hanno dimostrato che il contatto prolungato con la polvere di cereali infetti può portare a sintomi respiratori cronici e problemi immunitari. Le conseguenze sulla salute vanno dal danno epatico, connesso all’aflatossina B1, al rischio di disturbi riproduttivi causati dallo zearalenone, un estrogeno naturale prodotto da alcuni funghi.

Un altro aspetto preoccupante è l’impossibilità di rilevare facilmente le micotossine negli alimenti. Poiché queste tossine sono inodori e insapori, spesso sfuggono ai controlli visivi e sensoriali. Anche se gli alimenti ammuffiti vengono scartati, ciò non significa che siano esenti da contaminazioni. Secondo l’EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare), il limite regolamentare per la presenza di micotossine nei prodotti agricoli è spesso superato in circa il 25% dei campioni analizzati, mentre fino all’80% dei raccolti può contenere livelli rilevabili di queste sostanze, sebbene non oltre i limiti stabiliti. Questo suggerisce che una larga parte della popolazione europea possa essere esposta a livelli di micotossine che, nel tempo, potrebbero risultare nocivi per la salute.

Il cambiamento climatico accelera la diffusione delle micotossine

Il clima che cambia non è solo una questione di temperature più miti o estati più lunghe: ha effetti diretti sulla sicurezza alimentare. Piogge intense, inondazioni e periodi di siccità prolungati mettono sotto stress le colture, rendendole più vulnerabili alle infezioni fungine e, di conseguenza, alla contaminazione da micotossine. Mais, grano e orzo sono particolarmente a rischio, con implicazioni non solo per la salute umana, ma anche per l’intera filiera agroalimentare.

L’aumento della contaminazione comporta perdite economiche significative. Se un raccolto risulta contaminato oltre i limiti consentiti, non può essere commercializzato per il consumo umano e deve essere destinato ad altri usi o distrutto, con danni enormi per gli agricoltori. Inoltre, per proteggere le colture da questi funghi sempre più aggressivi, gli agricoltori sono costretti a usare fungicidi in quantità crescente. Questo potrebbe avere un effetto collaterale ancora più pericoloso: la selezione di ceppi fungini resistenti ai trattamenti, con conseguente aumento delle infezioni difficili da contrastare, non solo nelle piante, ma anche negli esseri umani.

Gli esperti avvertono che non si tratta di un rischio remoto o circoscritto ad alcune aree: l’intero continente europeo potrebbe assistere a un incremento esponenziale delle contaminazioni. In regioni dove le micotossine erano storicamente un problema limitato, come il Nord Europa, si registrano già aumenti significativi della loro presenza nei raccolti. Questo significa che anche le strategie di prevenzione devono adattarsi rapidamente alla nuova realtà climatica.

Verso una strategia europea

Di fronte a questa minaccia in crescita, l’Unione Europea sta adottando un approccio integrato per affrontare il problema delle micotossine. Il concetto di “One Health“, che riconosce l’interconnessione tra salute umana, animale e ambientale, è fondamentale per coordinare strategie efficaci. La sorveglianza dei livelli di micotossine non dovrebbe limitarsi agli alimenti, ma estendersi all’acqua, ai mangimi per animali e agli stessi esseri umani, per avere un quadro completo dell’esposizione e dei suoi effetti.

Una delle strategie più promettenti è lo sviluppo di colture resistenti alle infezioni fungine attraverso la selezione genetica. Parallelamente, pratiche agricole più sostenibili, come la rotazione delle colture e l’uso di biocontrolli naturali, potrebbero ridurre la necessità di fungicidi chimici. Inoltre, l’impiego di modelli predittivi basati su dati climatici potrebbe aiutare a individuare con anticipo le aree più a rischio, consentendo interventi mirati.

L’Europa si trova di fronte a una sfida complessa, ma non impossibile da affrontare.

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