Stress cronico, distacco mentale, senso di fallimento. Lo chiamano burnout, ma per milioni di lavoratori italiani è semplicemente la nuova normalità. Il 29% ha già vissuto un crollo psicofisico completo, il 44% è stressato ogni giorno e l’11% lo è sempre.
Questi numeri sono il segnale di un sistema che continua a premere sull’acceleratore mentre la gente frena con i nervi. Non si tratta di debolezza individuale. È il risultato di ambienti che spremono senza dare, manager che ignorano i segnali, città che non lasciano spazio di respiro.
Unobravo, piattaforma di psicologia online, ha mappato per la prima volta con questo livello di dettaglio i numeri, i settori, le città e le conseguenze economiche del burnout in Italia. Il quadro è chiarissimo: si lavora troppo, si viene ascoltati troppo poco e si paga un prezzo altissimo, umano e finanziario. Nessun settore è escluso e nessuna città è immune.
Quali sono le città più stressate d’Italia
Non tutte le città italiane rispondono allo stress lavorativo allo stesso modo. Il report di Unobravo ha mappato le dieci metropoli italiane dove il rischio burnout è più elevato, incrociando dati su stress, supporto percepito, soddisfazione lavorativa ed equilibrio vita-lavoro.
- Al primo posto, Bologna: oltre un terzo dei lavoratori (36%) ha già vissuto un episodio di burnout. Il 32% lamenta uno scarso equilibrio tra lavoro e vita privata e più della metà si sente poco supportato dalla propria azienda.
- Segue Genova, con il tasso più alto di lavoratori “frequentemente stressati” (60%). Qui il disagio non è solo individuale, ma condiviso: i lavoratori descrivono un ambiente di lavoro pervaso da tensioni e mancanza di empatia.
- Milano, terza in classifica, conferma la sua reputazione di città ad alta pressione. Il 35% dei dipendenti ha già sperimentato il burnout. L’alto costo della vita, unito a una cultura della performance aggressiva e alla competizione costante, contribuisce a creare un terreno fertile per l’esaurimento emotivo.
Napoli, Roma, Torino, Firenze, Cagliari, Reggio Calabria e Palermo completano la top ten. In queste aree metropolitane, i principali elementi associati al burnout sono la densità lavorativa, la mancanza di supporto percepito e la difficoltà nel mantenere un equilibrio tra sfera privata e professionale.
Le principali cause di burnout
Secondo l’indagine, la causa più frequente di stress lavoro-correlato è la mancanza di riconoscimento: il 39% degli intervistati la indica come il primo fattore. L’assenza di feedback o apprezzamento da parte di superiori e colleghi viene associata a una progressiva demotivazione.
Al secondo posto, il 34% segnala un carico di lavoro eccessivo o irrealistico. Task simultanei, scadenze frequenti e l’assenza di pause sufficienti sono riportati come elementi ricorrenti da chi sperimenta sintomi da stress cronico.
Poi c’è il tema economico: il 32% cita stipendi o benefit inadeguati come fonte di stress. La percezione di uno squilibrio tra impegno richiesto e compenso ricevuto è trasversale a diversi settori e fasce di età.
Il 31% evidenzia problemi di leadership e gestione. In particolare, viene segnalata l’assenza di indicazioni chiare, incoerenza organizzativa o mancanza di comunicazione.
Tra i lavoratori più giovani (18–24 anni), la prima causa è diversa: il 38% indica le ore di lavoro come principale fonte di stress. I dati incrociano perfettamente quelli sugli straordinari: il 15% degli italiani lavora costantemente oltre l’orario.
Poi c’è un 31% che lamenta la cattiva gestione e un 18% che dice di non avere idea di cosa ci si aspetti da lui. Infine, un lavoratore su dieci vive nella paura costante di perdere il posto. A questo si somma un equilibrio vita-lavoro che non regge, un problema per il 22% degli intervistati.
I settori italiani dove il burnout non è più un’eccezione
Il burnout colpisce alcuni settori, più di altri, complici richieste eccessive, scarso supporto e un forte carico emotivo. Il retail e le vendite sono al primo posto: il 45% dei lavoratori del settore segnala alti livelli di stress, il 35% un disequilibrio vita-lavoro e il 43% dichiara di non sentirsi supportato dal proprio datore di lavoro. A pesare sono la pressione delle vendite, l’interazione continua con clienti e l’assenza di riconoscimento.
Poi c’è il comparto sanità e assistenza sociale, dove il 35% dei lavoratori dichiara di aver vissuto un burnout. Il 45% non ha accesso a un adeguato supporto psicologico. Le condizioni di lavoro – turni estenuanti, carenze di organico, emergenze quotidiane – logorano anche i più motivati.
Nel settore hospitality, tempo libero e sport, il burnout tocca il 39%. Il lavoro su turni, la richiesta di disponibilità costante e l’imprevedibilità del carico rendono difficile pianificare il riposo, aggravando la sensazione di esaurimento. Anche i settori dell’istruzione e dei servizi alle imprese mostrano segni di stress diffuso, soprattutto tra i dipendenti più giovani e nelle fasce a bassa retribuzione.
E mentre questi settori collassano, il burnout non si limita a svuotare le persone. Colpisce anche dove fa più male alle aziende: i conti.
Il burnout costa più di quanto si dica
Il burnout non si limita a far perdere ore di sonno. Fa perdere soldi… tanti. L’Italia spende ogni anno oltre 88 miliardi di euro in assenze e produttività persa legate allo stress cronico. Solo per l’assenteismo, le aziende perdono 16,7 miliardi. Ogni dipendente stressato si prende in media 4,8 giorni all’anno per recuperare: costano circa 800 euro a testa.
Il resto è più subdolo: produttività ridotta. Quando il 69% dei lavoratori dichiara che lo stress abbassa la loro efficienza, la perdita non è solo individuale. Se anche solo il 10% della produttività salta, si bruciano 71 miliardi l’anno.
E non finisce lì. Un quarto dei lavoratori pensa seriamente di lasciare e il 16% l’ha già fatto.