Alla fine di Bibbiano se ne è parlato, eccome. Media, utenti social, politici: chiunque ha gridato allo scandalo per il caso “dei bambini sottratti” che ha sconvolto l’Italia nel 2019.
Quando a parlare sono stati i giudici, però, il “caso” si è rivelato un enorme castello di sabbia: tutte le principali accuse sono decadute, ma le conseguenze psicologiche e professionali sono rimaste. Ne abbiamo parlato con Luca Bauccio, l’avvocato penalista che nel processo ha difeso Claudio Foti e Nadia Bolognini, i due psicoterapeuti finiti nella gogna mediatica nell’ambito del “Caso Bibbiano”.
Dopo un incubo durato sei anni, entrambi sono risultati innocenti, “ma i danni arrecati alla loro immagine e alla loro carriera forse non verranno mai riparati del tutto”, spiega il legale ai microfoni di Prometeo 360.
Secondo l’accusa, a Bibbiano era stato studiato un sistema per togliere i bambini alle famiglie deboli e venderle ad altre, grazie alle false relazioni dei professionisti.
La sentenza del Tribunale di Reggio Emilia del 9 luglio ha invece assolto undici dei quattordici imputati, condannandone tre con pene (sospese) lievi e ben distanti dalle richieste dell’accusa. Nonché da quanto scritto sui giornali, dove si arrivò persino a parlare di “elettroshock”applicato ai bambini, salvo poi smentire la notizia, quando ormai era iniziata a circolare.
Il punto è proprio questo: nonostante il provvedimento della scorsa settimana, il rumore creato dalle indagini ha superato di gran lungo quello della sentenza. “È più bello trovare un colpevole che un innocente”, spiega l’avvocato Bauccio, da sempre in prima linea contro la narrazione approssimativa e sensazionalistica dei processi. Bauccio ha dedicato al danno di immagine non solo parte della sua carriera da avvocato, ma anche i suoi scritti: “Primo, non diffamare” (2011), “Il Lupo di Bibbiano” (2024) e “La giustizia non è una dea bendata”, che ha deciso di pubblicare proprio in concomitanza della sentenza del Tribunale di Reggio Emilia, senza ancora sapere l’esito. “Bisogna essere onesti e coerenti con i cittadini. Se avessi avuto torto, me se sarei assunto la responsabilità”.
D’altronde, tutta la vicenda Bibbiano ruota attorno a questa parola: “responsabilità”. Ora che quelle degli indagati sono crollate, chi pagherà per il danno di immagine creato ai professionisti coinvolti nella vicenda?
La risposta interessa tutti, perché una società civile deve poter accedere a un’informazione mediatica e a una comunicazione politica che non lucrino dalla menzogna, bensì tutelino la verità.
Caso Bibbiano, danni di immagine irreparabili?
“Il processo mediatico crea danni che possiamo dire indelebili. Per questo non possiamo coltivare l’illusione che quei segni possano scomparire grazie poi ad una sentenza di assoluzione. Ma la sentenza di assoluzione e i processi sono cruciali perché permettono di predicare una verità, l’unica, che è quella processuale”, dice l’avvocato Bauccio a Prometeo 360.
I danni di immagine diventano rapidamente danni professionali: “È come se la vita della persona indagata e messa alla gogna si paralizzasse. Si fermano i progetti, si fermano le ambizioni, si ferma lo slancio di una vita. Spesso, come è successo agli imputati del processo Bibiano, si perde il lavoro. Molti assistenti sociali sono stati licenziati in tronco, i liberi professionisti hanno perso la propria clientela”, il tutto mentre il “massacro mediatico” proseguiva indisturbato.
Secondo lei c’è ancora qualcuno che non ha pagato e, invece dovrebbe pagare?
“Nel caso di Bibiano c’è stata una forte saldatura fra un’indagine penale che aveva tutto il diritto di esserci, anche se sbagliata, una violenta gogna sui mass media, una violentissima gogna sui social e il mondo della politica”, ricorda Bauccio.
Il caso Bibbiano è stata una pagina nera anche per i media italiani che spesso, ricorda l’avvocato Bauccio, “hanno cavalcato l’onda senza neanche prendersi lo scrupolo di verificare le notizie, in barba ad ogni principio deontologico. Editoria, politica, e social network hanno creato un meccanismo infernale, che ha stritolato gli imputati e ha annullato la presunzione di innocenza, che invece è un caposaldo della nostra Costituzione”.
Non solo la politica “selvaggia e cannibale”: nel caso di Bibbiano, “abbiamo visto anche l’evaporazione di qualunque forma di presenza politica di contro narrazione politica dei fatti, l’annientamento di qualunque forma di resistenza e controllo democratico”, sottolinea l’avvocato.
Fu sbagliato ribattezzare l’inchiesta “Angeli e Demoni”?
“Di sicuro non fu un caso. Per anni è stata una prassi consolidata quella di dare alle inchieste un nome mediatico, da spendere sui giornali e sui social. La scelta di questi nomi dimostra la contaminazione tra la dimensione giudiziaria e investigativa e quella mediatica. Chi ha scelto di denominare quell’indagine in quel modo, lo ha fatto pensando ad una rappresentazione pubblica di quell’indagine e ha scelto la formula più sensazionalistica per farlo. Non dobbiamo dimenticarci – chiosa Bauccio – che anche le parole creano la realtà. Quel nome era stato scelto per trasformare degli indagati in demoni che avevano rapito e torturato, addirittura con l’elettroshock, gli angeli, ovvero i bambini”.
L’avvocato Bauccio sottolinea che ora non è più possibile attribuire dei nomi “mediatici” alle inchieste per effetto delle novità introdotte dalla riforma della Giustizia targata Nordio.
Il pregiudizio arrecato ai cittadini di Bibbiano
“Tutti vogliono il colpevole, a nessuno interessano gli innocenti e questo è un fatto gravissimo che mina e minaccia la democrazia e la coesione sociale”, avverte l’avvocato prima di riportare un dettaglio eloquente: “Nella estate del 2019, intere famiglie sono state respinte negli alberghi solo perché venivano da Bibbiano, ad altri fu chiesto di non rivelare la propria provenienza per evitare di infastidire gli altri ospiti della struttura”. Nel giro di pochi giorni (le prime indagini vennero notificate a giugno 2019) ogni abitante di Bibbiano diventò il “mostro famelico che rubava i bambini alle famiglie”.
Bibbiano, l’elettroshock e il lupo
L’elettroshock e “il lupo di Bibbiano” furono tra i risvolti più biechi della vicenda. “Quando è uscita la notizia secondo cui la mia assistita, la dottoressa Nadia Bolognini, e altri operatori praticassero l’elettroshock sui bambini, tutti hanno voluto crederci. Nessuno si è chiesto come fosse possibile né se esistesse una macchina del genere in commercio”. Sarebbe bastato questo per smontare questa narrazione, che invece finì sulle prima pagine dei giornali, prima di essere smentita.
“Venuta meno la fandonia dell’elettroshock, è rimasta quella della psicoterapeuta, sempre la mia assistita, che si travestiva da lupo e inseguiva i bambini per spaventarli. È possibile che in tutti questi anni nessuno, tranne qualche eccezione, si sia chiesto perché mai una psicoterapeuta di una certa età, con un curriculum importante, che non ha mai dato segni di squilibrio in passato, si cimenti in una pratica così crudele?”.
La domanda è retorica, la ricostruzione lapalissiana: “Nel corso del processo – spiega l’avvocato Bauccio – si è capito che la psicoterapeuta adottava la tecnica dello psicodramma, che è riconosciuta a livello mondiale e scientificamente validata. Lo psicodramma consiste nell’impersonare specifiche figure in modo da dare al paziente la possibilità di trasferire su quella figura tutto quello di cui non riesce a liberarsi”.
Eppure, bastarono poche intercettazioni a far diventare la psicoterapeuta “il lupo di Bibbiano”. “Così nascono le leggende”, chiosa il legale.
Quindi ritiene opportuna la stretta alle intercettazioni introdotta dal ministro della Giustizia Carlo Nordio?
“Sì, perché, come dimostra anche la recente indagine sull’urbanistica di Milano, la pubblicazione delle intercettazioni viene fatta parzialmente e ha l’effetto di autorizzare chiunque a trarre conclusioni. Nel caso Bibiano sono state fatte sentire i brani i brani della psicoterapeuta che diceva ‘Io sono il lupo, adesso ti uccido, ma nessuno ha sentito che il bambino rideva crepapelle e diceva ancora ancora ancora e correvano, si lanciavano, cadevano per terra. Un lavoro straordinario che è stato invece possibile documentare nel dibattimento dove le intercettazioni vengono ascoltate integralmente”, spiega l’avvocato Bauccio ricordando che “un’opinione moltiplicata per milioni di opinioni fanno una gogna che può distruggere chiunque”.
Come sono cambiati il ruolo e l’esposizione della magistratura nel corso degli anni?
“Siamo passati da una fase in cui ci si lamentava della magistratura che usava i media per dare clamore alle proprie indagini a una fase in cui i media utilizzano le indagini finché fa loro comodo, ma poi vanno avanti da soli: tralasciano le indagini e poi, se arrivano a conclusioni diverse da quello che loro si aspettano, puntano il dito contro i giudici. Questa è la dissoluzione di ogni forma democratica di convivenza civile”, dichiara il legale.
Il caso Bibbiano è l’ennesimo risultato della società degli antipodi, dove tutto è o bianco o nero. Una visione per cui si può essere o completamente d’accordo con qualcuno oppure diventare il suo acerrimo nemico in quella che l’avvocato Bauccio definisce una “visione fascista della società”.
Come passare da una informazione sensazionalistica a una informazione pura
La diffamazione è un reato e per questo è possibile adire le vie legali per ottenere un risarcimento, come successo per Claudio Foti, che, assistito dall’avvocato Bauccio, ha vinto un processo per diffamazione nei confronti della giornalista Selvaggia Lucarelli.
Alcuni contesti, però, sfuggono alla riparazione del danno. Cosa si può fare in questi casi?
“Il sistema italiano non prevede una un meccanismo di risarcimento per chi viene sottoposto ingiustamente ad un’indagine, ma sarebbe il tempo di porsi questo problema perché i danni sono cospicui e perduranti”, afferma Bauccio.
In attesa di riforme in tal senso, “un antidoto contro la gogna mediatica sarebbe la celerità dei procedimenti e la celerità del processo. Un processo che dura sei anni espone l’imputato alla calunnia, alla diceria, alla presunzione di colpevolezza per un tempo eccessivo. Al contrario, un processo e delle indagini celeri permetterebbero non solo di concludere la causa in tempi ragionevoli, ma anche di limitare i relativi danni di immagine”, spiega l’avvocato.
Serve una stretta normativa e deontologica per il settore dell’informazione?
“Se i giornalisti che cavalcano questi scandali subissero delle sanzioni disciplinari molto pesanti, io sono sicuro che ci penserebbero più di una volta prima di avventurarsi nel sensazionalismo”, sottolinea Bauccio.
Tuttavia, il diritto cambia troppo lentamente rispetto alla realtà. Per questo, non basta intervenire con la legge, ma serve agire sulla cultura: “Se vuole difendersi – sostiene l’avvocato – la nostra società deve sviluppare degli anticorpi che contrastino questo modo di fare informazione. Serve creare luoghi di confronto e valorizzare le persone capaci di contrastare le derive colpevoliste attraverso la loro opinione, il loro seguito e la loro influenza nella società. Serve una narrazione alternativa a quella cannibalesca che troppo spesso vediamo”.
“Noi – sottolinea Bauccio – non permetteremo a nessuno di sporcare il nome di queste persone e chiederemo conto di ciò che hanno scritto in malafede. Un conto è la cronaca, anche di indagini che poi dovessero rivelarsi infondate, un altro è ergersi a tribunale e farsi giudici degli altri.
Se tutti quanti scappano perché hanno paura di affrontare la verifica dei fatti e hanno paura della folla, hanno paura dei like, hanno paura dei follower, la nostra società si squaglierà del tutto e noi saremo in balia del più forte, del più prepotente e dell’influencer con più follower”.
La riforma della giustizia e le responsabilità della politica
Una settimana fa il Senato ha approvato la riforma della giustizia, incentrata sulla separazione delle carriere. Sarebbe d’accordo con questa riforma?
“Io penso che una riforma del genere possa dare grandi risultati. La separazione delle carriere – sostiene il legale – potrebbe paradossalmente potenziare la figura del pubblico ministero, trasformandolo quasi in un super poliziotto. L’importante è che le riforme vengano fatte non per punire qualcuno, in questo caso la magistratura o i pubblici ministeri, ma per migliorare la qualità della giustizia, per eliminare o ridurre il rischio che ci possano essere delle sentenze non corrette a causa dell’influenza che un pubblico ministero può avere sui giudici.
Quindi – conclude l’avvocato Luca Bauccio – la separazione delle carriere, che tra l’altro è presente in moltissime democrazie occidentali dove la giustizia funziona meglio, deve essere accettata dai magistrati e la devono interpretare nel modo più corretto e sano i politici. Non è propaganda, è qualità della nostra vita democratica”.