Il benessere mentale è ormai riconosciuto dalla grande maggioranza dei lavoratori italiani come un elemento centrale dell’esperienza professionale. Secondo la Salary Guide 2025 di Hays Italia, il 92% dei professionisti considera la salute mentale una priorità sul lavoro. L’81% afferma che essa influisce direttamente sulle proprie performance. Tuttavia, le risposte messe in campo dalle imprese italiane risultano ancora insufficienti: solo il 35% dichiara di aver attivato iniziative concrete in questo ambito, e il 63% dei dipendenti giudica le azioni intraprese come non adeguate.
Anche i dati raccolti dalla prima edizione del barometro Mindex, realizzato da Unobravo, confermano la discrepanza tra aspettative e realtà. Solo un lavoratore su tre ritiene di operare in un ambiente psicologicamente sano. Oltre il 40% non ha accesso ad alcun tipo di supporto specifico in azienda per la salute mentale. La fascia 30-39 anni risulta particolarmente esposta: il 65% di questi lavoratori ha considerato l’idea di dimettersi a causa di stress o burnout. Una quota rilevante, che evidenzia quanto la gestione del benessere non possa più essere trattata come una componente accessoria o simbolica della cultura aziendale.
“La fotografia che emerge è inequivocabile”, commenta Danila De Stefano, CEO di Unobravo. “Serve un cambio di approccio: il benessere psicologico deve diventare parte integrante delle strategie aziendali, non solo in ottica di retention, ma anche per motivi legati alla sostenibilità sociale e alla salute pubblica”.
Politiche aziendali tra sperimentazioni e approcci disomogenei
Negli ultimi anni, un numero crescente di aziende ha iniziato a introdurre politiche orientate al benessere organizzativo, ma l’approccio resta disomogeneo. Le iniziative variano da forme strutturate di smart working, a benefit personalizzati, passando per attività legate alla gestione del tempo e alla flessibilità. In molti casi, tuttavia, si tratta di misure isolate e non inserite in una strategia organica.
Un esempio è l’estensione dello smart working come misura permanente, accompagnata da orari flessibili e piccoli benefit quotidiani, come kit di igiene o materiali per il comfort personale. Queste misure, sebbene apprezzate dai lavoratori, non sempre sono sufficienti a costruire un ambiente realmente inclusivo o sostenibile. La loro efficacia dipende molto dalla coerenza con cui vengono integrate nella cultura aziendale.
Alcune realtà sperimentano soluzioni meno convenzionali, come l’uso di pratiche artistiche o culturali per favorire benessere e creatività nei luoghi di lavoro. L’obiettivo, in questi casi, è creare spazi che stimolino riflessione, connessione tra le persone e apertura mentale. Tuttavia, anche qui il rischio è che l’iniziativa resti circoscritta a piccoli gruppi o si trasformi in un’operazione di comunicazione interna, senza ricadute strutturali.
Altre imprese scelgono di investire nella qualità degli ambienti fisici, nella progettazione degli spazi e nell’organizzazione del lavoro, puntando su comfort, accessibilità e condivisione. In alcuni casi, il benessere viene inteso come un principio guida trasversale, ma nella maggior parte dei contesti permane una gestione frammentata, spesso legata alla sensibilità dei singoli manager piuttosto che a scelte strategiche deliberate.
Team building e salute mentale
Il team building è una delle pratiche più diffuse tra le aziende che intendono rafforzare coesione interna e benessere psicologico. Tuttavia, le sue forme sono cambiate. Non si tratta più solo di eventi ludici o attività fuori sede, ma di strumenti pensati per migliorare il clima relazionale e ridurre il rischio di isolamento, tensioni o disallineamenti tra colleghi.
In alcune aziende, si fa strada l’utilizzo di pratiche come lo yoga della risata, l’art therapy o il volontariato di gruppo, con l’obiettivo di creare spazi informali di interazione e decompressione. Se ben strutturate, queste attività possono avere effetti positivi sul morale e sul senso di appartenenza. Tuttavia, la loro efficacia dipende dalla frequenza, dalla volontarietà della partecipazione e, soprattutto, dal contesto organizzativo in cui si inseriscono.
Come rilevato anche dalla ricerca condotta da Kampaay, piattaforma che organizza eventi aziendali, il problema principale non è la mancanza di iniziative, ma la loro debole integrazione nella cultura aziendale. Il rischio è che restino eventi “una tantum”, poco connessi alle reali esigenze dei lavoratori. “Non basta inserire qualche attività nel calendario aziendale – osserva il Ceo Daniele Arduini – serve un impegno coerente, visibile e condiviso da tutta la leadership”.
Un altro ostacolo alla diffusione di queste pratiche è la percezione che esse riguardino solo determinati profili o settori, mentre le tensioni legate allo stress lavorativo si manifestano in modo trasversale, indipendentemente dalla posizione o dal tipo di mansione. Anche per questo è necessario superare l’idea che il benessere mentale sia un tema ‘soft’ e riconoscerlo come un elemento chiave della performance organizzativa.
La sfida della genitorialità nei luoghi di lavoro
Un altro aspetto cruciale riguarda la gestione dei momenti di transizione personale, in particolare la genitorialità. Il periodo della gravidanza, del congedo e del rientro al lavoro è spesso sottovalutato nella sua complessità, sia in termini emotivi che organizzativi. In Italia, solo una parte delle aziende ha adottato misure strutturate per accompagnare i dipendenti in questa fase.
Secondo l’esperienza raccolta da piattaforme come Women at Business, il sostegno alla genitorialità può rappresentare una leva concreta per migliorare l’inclusività e il senso di appartenenza. Offrire flessibilità reale, spazi di ascolto e percorsi di rientro modulati sulle esigenze individuali significa riconoscere le trasformazioni personali come parte legittima della vita professionale, e non come un ostacolo alla produttività.
Il progetto Genitori Sereni, nato dalla collaborazione tra Quantum Bebè e Soluzioni Srl, propone un modello strutturato di accompagnamento alla genitorialità, con strumenti operativi per la gestione del rientro, supporto psicologico e formazione per il middle management. Secondo le promotrici, l’impatto positivo si manifesta non solo sul benessere dei singoli, ma anche sull’organizzazione nel suo complesso.
Tuttavia, si tratta ancora di esperienze circoscritte. Il nodo resta culturale: in molti ambienti, la maternità e la paternità vengono ancora vissute come criticità da “gestire” anziché come occasioni per rivedere modelli di lavoro più rigidi. La trasformazione richiede un cambiamento profondo nelle pratiche quotidiane, nei processi decisionali e nella valutazione delle performance.