6 milioni di lavoratori italiani rischiano di essere rimpiazzati dall’Ai nei prossimi dieci anni

Il grado di esposizione alla sostituzione o complementarità dell’Ai aumenta con il livello di istruzione
5 Marzo 2025
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Colloqui Di Lavoro

Da oggi al 2035, 15 milioni di lavoratori italiani saranno esposti all’impatto dell’intelligenza artificiale: 6 milioni rischieranno la sostituzione, mentre 9 milioni potranno integrare l’Ai nelle loro mansioni. Questi dati, evidenziati nel Focus Censis Confcooperative “Intelligenza artificiale e persone: chi servirà chi?”, delineano un panorama di trasformazione radicale per il capitale umano, con implicazioni profonde sui livelli di istruzione, sulla distribuzione del reddito e sul gender gap.

I lavoratori più esposti all’Ai

Contrariamente alle attese, la ricerca mostra che il grado di esposizione alla sostituzione o complementarità dell’Ai aumenta con il livello di istruzione. Nella classe dei lavoratori a basso rischio, il 64% non raggiunge un grado superiore di istruzione, mentre solo il 3% possiede una laurea. Al contrario, nelle professioni ad alta esposizione di sostituzione, il 54% dei lavoratori ha un’istruzione superiore e il 33% un diploma di laurea. Per le professioni in cui l’intelligenza artificiale integra le attività umane, il 59% dei lavoratori possiede una laurea, rispetto al 29% con solo un diploma superiore.

Questi dati sottolineano come i lavoratori più istruiti siano maggiormente esposti sia al rischio di sostituzione sia alle opportunità di complementarità offerte dall’Ai, che rappresentano un vantaggio operativo rilevante. La diffusione dei digital twin (gemello digitale), per esempio, può arricchire il lavoro umano, e trasformarlo dalla semplice esecuzione di compiti ripetitivi all’analisi e interpretazione dei dati, rendendo il mestiere più strategico e creativo. Questa tecnologia può anche incrementare l’efficienza operativa rendendo il lavoro meno stressante e migliorando il work-life balance.

Allo stesso tempo, lo sviluppo dell’Ai potrebbe avere un impatto diretto sul gender gap: le donne rappresentano il 54% dei lavoratori ad alta esposizione di sostituzione e il 57% di quelli ad alta complementarità.

Il ritardo dell’Italia nell’adozione dell’Ai

Il Focus Censis Confcooperative evidenzia anche il ritardo dell’Italia nell’adozione dell’Ai rispetto agli altri Paesi europei.

Nel 2024 solo l’8,2% delle imprese italiane utilizzava l’intelligenza artificiale, ben al di sotto della media europea del 13,5%. La Germania si posiziona in cima con un 19,7%, mentre Spagna e Francia raggiungono rispettivamente l’11,3% e il 9,91%. Il divario è particolarmente marcato nei settori del commercio e della manifattura, dove il sistema produttivo italiano risente della forte presenza di micro imprese e Pmi, che spesso hanno risorse limitate per investire in nuove tecnologie. Un ragionamento analogo (con le dovute proporzioni) vale anche per l’Unione europea che deve puntare sul consolidamento delle grandi aziende nazionali per competere con la Cina e gli Stati Uniti in campo Ai. In questa direzione va il piano da 200 miliardi di euro annunciato dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen.

Per quanto riguarda l’Italia, l’adozione dell’Ai ha seguito un andamento altalenante: nel 2021 il tasso di utilizzo era del 6,2%, sceso al 5% nel 2023, per poi salire all’8,25% nel 2024. Al contrario, gli altri Paesi Ue hanno mostrato una crescita più costante, passando dal 7,6% del 2021 all’8% nel 2023 e raggiungendo il 13,5% lo scorso anno.

Le prospettive future

Guardando al futuro, nel biennio 2025-2026 il 19,5% delle imprese italiane prevede di investire in beni e servizi legati all’Ai. Il settore informatico guida questo investimento con il 55% delle imprese pronte a destinare risorse, mentre la ristorazione si attesta al modesto 1,4%. Le grandi imprese mostrano una propensione all’investimento superiore rispetto alle Pmi, che però rappresentano la spina dorsale del tessuto produttivo italiano.

Un altro dato cruciale riguarda gli investimenti in ricerca e sviluppo: attualmente, l’Italia investe l’1,33% del Pil in R&S, contro la media europea del 2,33%. L’obiettivo dell’Ue è raggiungere il 3% del Pil entro il 2030, soglia già superata dalla Germania (3,15%) mentre la Francia, patria di MistralAI, segue a distanza con il 2,18%. Anche in questo caso, il ritardo negli investimenti in ricerca e sviluppo è in parte dovuto alla struttura del sistema produttivo italiano, dominato da micro imprese che, per natura, tendono a investire meno in innovazione.

“Questi dati dimostrano come il paradigma vada subito corretto: la persona va messa al centro del modello di sviluppo con l’intelligenza artificiale al servizio dei lavoratori e non viceversa”, ha detto il presidente di Confcooperative, Maurizio Gardini. Questo messaggio è particolarmente rilevante in un’epoca in cui il progresso tecnologico rischia di ampliare il divario tra chi possiede competenze avanzate e chi, invece, rimane intrappolato in ruoli tradizionali.

L’evoluzione del mercato del lavoro in Italia, influenzata dall’integrazione dell’Ai, non deve essere vista solo come una minaccia, ma anche come un’opportunità per incrementare la produttività.

Le stime indicano che, in dieci anni, l’Ai potrebbe portare a una crescita del Pil fino a 38 miliardi di euro, pari a un incremento del 1,8%. Tale prospettiva rappresenta un potenziale vantaggio competitivo per il sistema economico, a condizione che si investa adeguatamente in formazione e innovazione.

Il ruolo della formazione

Il quadro che emerge dal rapporto è complesso e richiede un approccio integrato. Da una parte, si evidenzia il rischio di sostituzione di 6 milioni di lavoratori, con conseguenze rilevanti per il mercato del lavoro e per la coesione sociale, specialmente tra le donne, che risultano essere la maggioranza nelle categorie ad alta esposizione. Dall’altra, 9 milioni di lavoratori potranno integrare l’Ai nelle loro mansioni, trasformando il lavoro in un’attività a maggior valore aggiunto e spostando il focus verso attività più strategiche e creative e meno ‘passive’ e ripetitive.

Per affrontare questa transizione, è indispensabile un investimento massiccio nella formazione e nell’aggiornamento delle competenze. È fondamentale che aziende e istituzioni sviluppino programmi di formazione continua che consentano ai lavoratori di adattarsi alle nuove tecnologie, riducendo così il rischio di disoccupazione e colmando il divario esistente con i Paesi europei più avanzati in termini di adozione dell’Ai. Il piano da 4,3 miliardi di euro di investimenti annunciato da Microsoft per l’Italia è una buona notizia in tal senso.

Il futuro del mercato del lavoro dipenderà dalla capacità di mettere la persona al centro dello sviluppo tecnologico, garantendo che l’intelligenza artificiale sia al servizio del capitale umano e non una forza che ne amplifica le disuguaglianze. La sfida è grande, ma con investimenti mirati in formazione e innovazione, l’Italia può trasformare queste preoccupazioni in una solida base per una crescita economica sostenibile e inclusiva che attenui le pesanti ricadute della crisi demografica.

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