Ai: 9 GenZ su 10 la utilizzano, ma esplode il senso di colpa: cosa fa paura di questa tecnologia?

Sempre più utilizzata, sempre più temuta: ecco come sta cambiando il rapporto tra italiani e Ai
17 Luglio 2025
4 minuti di lettura
Ai Senso Di Colpa Ai Generated
Immagine generata con l'Ai

Oltre 6 dipendenti italiani su 10 utilizzano l’intelligenza artificiale nel proprio lavoro quotidiano, ma l’adozione varia drasticamente tra le generazioni. È quanto emerge dalla ricerca commissionata da Babbel for Business all’istituto Censuswide, che ha analizzato l’integrazione dell’Ai nelle attività professionali e il suo impatto sulla produttività, svelando anche un senso di colpa tra gli utilizzatori più assidui.

Il 62% dei lavoratori italiani dichiara di utilizzare strumenti di intelligenza artificiale, con differenze significative tra le diverse fasce d’età:

  • il 64% dei Baby Boomer (nati tra il 1946 e il 1964) intervistati afferma di non farne mai uso;
  • l’89% dei GenZ (nati tra il 1997 e il 2012) usa l’Ai; tra loro il 22% la utilizza quotidianamente considerandola un vero e proprio “partner” professionale.

La ricerca è stata condotta da Censuswide su un campione rappresentativo a livello nazionale di 1.000 rispondenti italiani maggiorenni nel mese di giugno 2025.

Attività in cui è più usata l’Ai

La creazione di contenuti rappresenta l’ambito di maggiore utilizzo dell’Ai (32%), seguita dall’analisi dei dati e reportistica (25%) e dalle attività linguistiche e di comunicazione (24%). Quest’ultimo settore mostra una penetrazione particolarmente elevata: il 26% dei professionisti che lavorano con lingue straniere utilizza l’Ai quotidianamente.

Le traduzioni guidano la classifica dei compiti linguistici affidati all’intelligenza artificiale (38%), seguite dalle correzioni grammaticali (37%) e dalla riformulazione di testi per adeguarne stile e tono (36%). Quando mancano competenze linguistiche specifiche, gli strumenti automatizzati vengono utilizzati principalmente per la traduzione di contenuti (40%), la localizzazione di testi per social media (31%) e la redazione diretta in lingua straniera (31%).

La fiducia negli strumenti di traduzione automatica risulta moderata: il 51% degli italiani si fida “abbastanza” di questi sistemi, percentuale che sale al 59% tra chi utilizza regolarmente lingue straniere in ambito professionale. “Comprendere come i professionisti integrano l’intelligenza artificiale nelle attività quotidiane ci aiuta ad intercettare nuovi bisogni formativi, sempre più mirati e specifici”, spiega Maren Pauli, Capo della Didattica B2B di Babbel for Business.

Il senso di colpa travolge più di un utilizzatore su due

Un aspetto psicologico rilevante emerso dalla ricerca riguarda un senso di colpa tutto nuovo: il 57% degli italiani che utilizza l’Ai nel proprio lavoro prova disagio quando ricorre a questi strumenti per svolgere attività professionali. Il fenomeno è più pronunciato tra le nuove generazioni: il 79% della Gen Z ammette di provare questo disagio, contro il 64% dei Millennial. I Baby Boomer mostrano maggiore indifferenza, con il 62% che dichiara di non sentirsi mai in colpa per l’utilizzo dell’Ai.

Questo rimorso potrebbe derivare da pressioni sociali legate al timore di perdere competenze personali o di affidarsi eccessivamente alla tecnologia, ma anche da una maggiore consapevolezza sui possibili impatti dell’Ai su privacy, originalità dei contenuti e trasparenza dei processi.

Diverse ricerche scientifiche hanno già dimostrato che l’utilizzo eccessivo dell’Ai può avere effetti deleteri sullo sviluppo cerebrale delle persone.

Gli esperti consigliano di utilizzare il tempo risparmiato per fare altre attività piacevoli che stimolino il cervello (per esempio, leggere un libro) e, in generale, di non affidarsi esclusivamente all’Ai. Il rischio è che il “sistema 0” annichilisca le potenzialità del cervello umano. Un recente studio del Mit ha dimostrato che un massiccio utilizzo di ChatGPT può ridurre sensibilmente l’attività cerebrale danneggiando le capacità di apprendimento, ragionamento e memoria.

Settori che utilizzano di più l’Ai

L’utilizzo dell’intelligenza artificiale varia considerevolmente per settore:

  • L’It e le telecomunicazioni registrano il tasso di adozione più elevato (84%);
  • seguono l’area delle risorse umane (72%), vendite, media e marketing (70%), logistica (61%) e retail, catering & leisure (60%);
  • il settore manifatturiero e le utilities si attestano al 59%;
  • la sanità presenta percentuali di utilizzo più contenute (49%), ma è il settore che presenta i risvolti più interessanti

L’indagine Babbel evidenzia come ogni settore usi l’Ai per applicazioni specifiche: nei settori sanità, manifatturiero, retail e vendite prevale l’utilizzo per traduzioni; nella logistica per la localizzazione di contenuti marketing; nell’IT per la scrittura di codici in lingua straniera; nelle risorse umane per la creazione e revisione di contenuti marketing.

Formazione e impatto sulla produttività

Lo studio rivela che il 54% di chi utilizza l’Ai ha ricevuto formazione specifica, con il 27% che ha seguito corsi direttamente in azienda. Questa percentuale sale al 32% tra i Millennial e tra chi utilizza lingue straniere nel lavoro.

L’85% dei lavoratori che utilizzano l’Ai riconosce un impatto positivo sulla propria produttività. Un dato particolarmente significativo riguarda i Baby Boomer: il 94% di coloro che utilizzano questi strumenti riporta miglioramenti di produttività, nonostante appartengano alla generazione meno propensa all’adozione di questa tecnologia.

L’81% dei lavoratori italiani afferma che l’intelligenza artificiale ha modificato il proprio modo di lavorare, con il 29% che riscontra effetti nel modo di relazionarsi con colleghi e clienti. Tuttavia, il 24% preferisce ancora un approccio ibrido, affiancando l’Ai ai metodi tradizionali.

La produttività dell’Ai stravolgerà la società?

In merito alla produzione dei contenuti, Babbel sottolinea che l’utilizzo dell’Ai non è (solo) una libera scelta dei giovani, ma la via più efficiente “per rispondere alla pressione di realizzare attività creative in tempi sempre più stretti”.

Il vero impatto di questa tecnologia sull’economia, sui lavoratori e sulla intera società passa, dunque, da una sola domanda: quanto aumenterà la produttività richiesta ai lavoratori dalle aziende? Se l’aumento pareggerà la spinta data dall’Ai, qualsiasi beneficio per i lavoratori sarà annullato. In pratica, si lavorerà agli stessi ritmi forsennati attuali, ma per produrre molto di più.

Al contrario, se la domanda di produttività aumenterà in modo sostenibile, l’Ai potrebbe diventare un concreto alleato del work-life balance, liberando tempo prezioso ai dipendenti e aumentando i margini di guadagno delle imprese. Al momento, come emerge dall’indagine di Babbel, il 23% degli italiani che utilizzano l’Ai riconosce un impatto significativo sulla propria carriera professionale, mentre il 36% esprime fiducia nei benefici a lungo termine.

Intanto, l’automazione procede a ritmi elevati: sempre più aziende implementano i robot nel proprio work-flow; nei magazzini di Amazon il numero di androidi ha quasi superato quello degli esseri umani.

“Avremo bisogno di meno persone che svolgono alcuni dei lavori che vengono svolti oggi, e più persone che svolgono altri tipi di lavori”, ha scritto un mese fa il Ceo Andy Jassy in una lettera inviata ai dipendenti del colosso Usa. Impossibile dire con certezza se, in Amazon e in generale nell’economia globale, saranno di più i lavoratori licenziati o i nuovi assunti. Di certo, l’implementazione dell’Ai permette già adesso di ridurre la forza lavoro senza che la produzione totale ne risenta.

Da qui la proposta di stabilire un reddito universale che spalmi i vantaggi dell’Ai senza creare drammi sociali.

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