Quanto inquina l’industria alimentare? Troppo, e ci fa anche male

Un terzo dell’inquinamento è provocato dal settore alimentare, anche il nostro corpo ne paga le conseguenze
3 Novembre 2025
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Allevamento Intensivo inquinamento industria alimentare

Il sistema alimentare mondiale è responsabile del 30% delle emissioni totali di gas serra e potrebbe da solo compromettere l’obiettivo di contenere il riscaldamento globale entro 1,5°C, anche se eliminassimo completamente i combustibili fossili. È quanto emerge dal nuovo rapporto della Commissione EAT-Lancet 2025, pubblicato a ottobre e firmato da esperti internazionali in nutrizione, clima, economia e agricoltura provenienti da oltre 35 Paesi.​

Il documento, intitolato “Report on Healthy, Sustainable and Just Food Systems”, rappresenta la valutazione scientifica più completa mai realizzata sui sistemi alimentari globali. Rispetto alla precedente edizione del 2019, il rapporto aggiorna la “dieta per la salute planetaria”, mappa l’impatto del sistema alimentare su tutti e nove i confini planetari e introduce una forte componente di giustizia sociale.​

Cinque confini planetari violati dal cibo

I sistemi alimentari sono il principale fattore che contribuisce alla violazione di cinque dei sette confini planetari già superati: clima, biodiversità, uso del suolo, acqua dolce e inquinamento da azoto e fosforo. Il quadro dei confini planetari definisce nove processi chiave che regolano la vita sulla Terra, e il mondo ha già oltrepassato sei di questi nove limiti.​

“Anche con una transizione globale completa dai combustibili fossili, i sistemi alimentari potrebbero comunque spingere le temperature oltre 1,5°C”, ha dichiarato Johan Rockström, copresidente della Commissione e direttore del Potsdam Institute for Climate Impact Research. Le emissioni provengono in parti pressoché uguali da:

– allevamento del bestiame;

– produzione di colture;

– cambiamenti nell’uso del suolo;

– altri aspetti del sistema alimentare, inclusi refrigerazione, fertilizzanti, trasporto e vendita al dettaglio.​

La dieta per la salute planetaria dimezza le emissioni

Trasformare i sistemi alimentari potrebbe ridurre le emissioni di gas serra di oltre la metà rispetto a uno scenario business-as-usual. Il rapporto propone una “dieta per la salute planetaria” che si concentra su alimenti a base vegetale e minimamente processati, compatibile con diverse culture e tradizioni alimentari.​

La dieta non esclude carne o latticini, ma ne raccomanda porzioni limitate: circa un bicchiere di latte al giorno, un paio di porzioni di carne e due uova a settimana per chi consuma questi alimenti. L’adozione globale di questo modello alimentare richiederebbe un aumento di due terzi nella produzione di frutta, verdura e noci, permettendo una riduzione di un terzo nella produzione di carne rispetto ai livelli del 2020.​

Lo studio stima che questo cambiamento alimentare potrebbe ridurre le emissioni agricole di gas serra non-CO₂ (come metano e protossido di azoto) del 15% entro il 2050. Se combinato con politiche di mitigazione ambiziose, come la tariffazione del carbonio e le regolamentazioni sull’uso del suolo, la riduzione delle emissioni agricole potrebbe arrivare al 34% rispetto ai valori del 2020.​

Oltre ai benefici ambientali, l’adozione diffusa della dieta planetaria potrebbe prevenire circa 15 milioni di morti premature all’anno, grazie ai suoi benefici per la salute.​

Carne: quanto inquina, quanto mangiarne e quanto ne sprechiamo

La carne bovina rappresenta uno degli alimenti con il maggiore impatto climatico. La produzione di un chilogrammo di carne bovina genera in media 23,1 kg di CO₂ equivalente considerando l’intero ciclo di vita, dal campo alla tavola. Il metano proveniente dagli allevamenti contribuisce per il 61% all’impronta di carbonio totale della carne bovina, seguito dal protossido di azoto al 36% e dall’anidride carbonica al 3%.​

Le linee guida sanitarie internazionali raccomandano di limitare il consumo di carne rossa e processata. Il servizio sanitario britannico (Nhs) suggerisce di non superare i 70 grammi al giorno, mentre il World Cancer Research Fund raccomanda un massimo di 350-500 grammi a settimana, equivalenti a circa tre porzioni. La Società tedesca per la nutrizione (Dge) indica un limite di 300 grammi settimanali. Queste raccomandazioni si basano su evidenze scientifiche che collegano il consumo eccessivo di carne rossa al rischio di tumori del colon-retto, malattie cardiovascolari e diabete di tipo 2.​

Lo spreco di carne aggrava ulteriormente l’impatto ambientale. Negli Stati Uniti, il 26% di carne, pollame e pesce viene buttato via a livello retail e consumer, secondo dati del Dipartimento dell’Agricoltura. A livello globale, in media il 11,5-12% di carne e prodotti animali viene sprecato nelle aziende agricole ogni anno, per un totale di circa 153 milioni di tonnellate del valore di 100 miliardi di dollari. Una ricerca ha rilevato che ogni anno, dopo il Covid-19, 18 miliardi di animali muoiono senza mai essere consumati.​

Il 30% più ricco causa il 70% degli impatti ambientali

Il rapporto EAT-Lancet 2025 introduce per la prima volta un’analisi approfondita della giustizia nei sistemi alimentari globali, valutando i diritti al cibo, a un ambiente sano e a condizioni di lavoro dignitose. La ricerca rivela che il 30% più ricco della popolazione mondiale è responsabile di oltre il 70% degli impatti ambientali legati al cibo, come l’uso del suolo e le emissioni di gas serra, su cui l’Onu ha lanciato l’allarme a pochi giorni dalla Cop30 in Brasile.​

Attualmente, meno dell’1% della popolazione mondiale si trova nello “spazio sicuro e giusto”, dove i diritti delle persone e le esigenze alimentari sono soddisfatti entro i limiti che permettono di rispettare la salute del pianeta. Circa un terzo (32%) dei lavoratori dei sistemi alimentari guadagna meno di un salario dignitoso, mentre oltre 1 miliardo di persone rimane denutrito nonostante la sufficienza calorica globale.​

“Queste statistiche evidenziano le grandi disuguaglianze nella distribuzione sia dei benefici che degli oneri degli attuali sistemi alimentari”, si legge nel rapporto. La Commissione sostiene che una trasformazione efficace deve considerare sia le basi sociali che i confini planetari per creare un futuro sicuro e giusto per tutti.​

Otto soluzioni per trasformare il sistema alimentare

Il rapporto delinea otto potenziali soluzioni per raggiungere gli obiettivi di salute, ambiente e giustizia:

– proteggere e promuovere le diete tradizionali sane;

– creare ambienti alimentari accessibili ed economici che aumentino la domanda di diete sane;

– implementare pratiche di produzione sostenibili;

– arrestare la conversione agricola degli ecosistemi intatti;

– ridurre le perdite e gli sprechi alimentari;

– garantire condizioni di lavoro dignitose in tutto il sistema alimentare;

– assicurare voce e rappresentanza significative ai lavoratori del settore;

– riconoscere e proteggere i gruppi emarginati.​

L’analisi economica mostra che rimodellare i sistemi alimentari potrebbe generare benefici per 5.000 miliardi di dollari all’anno migliorando il livello di salute pubblica nonché generando ecosistemi ripristinati e resilienza climatica, oltre dieci volte l’investimento di 200-500 miliardi di dollari necessario per guidare il cambiamento.​

“Il rapporto stabilisce le linee guida più chiare finora per nutrire una popolazione in crescita senza violare lo spazio operativo sicuro sulla Terra definito dai confini planetari”, ha affermato Johan Rockström. Walter Willett, copresidente della Commissione e professore di epidemiologia e nutrizione alla Harvard T.H. Chan School of Public Health, ha aggiunto: “Siamo a un crocevia globale e governi, imprese, società civile e individui hanno tutti un ruolo da svolgere nel riallineare i sistemi alimentari a beneficio di tutte le persone e del pianeta”.

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