Stop the Clock, l’Italia rinvia la Csdr: obblighi di sostenibilità spostati per migliaia di imprese

La Legge 118/2025 allinea il calendario alla direttiva Ue “Stop the Clock”. Ecco chi parte subito e chi potrà aspettare.
12 Agosto 2025
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Esg Identity Corporate Index 2024

L’Italia allinea il proprio calendario alla Direttiva europea “Stop the Clock” e riscrive le scadenze della Corporate Sustainability Reporting Directive (Csrd). Per una parte consistente delle aziende, l’obbligo di rendicontazione di sostenibilità slitta di due anni. Per altre, soprattutto i grandi gruppi già sotto la precedente Direttiva NFRD, non cambia nulla: il primo report dovrà essere pubblicato nel 2025, sui dati del 2024.

Il meccanismo divide le imprese in tre ondate temporali di applicazione, indicate con il termine “Wave”:

  • Wave 1 – Prima ondata: grandi imprese ed enti di interesse pubblico con oltre 500 dipendenti, già soggetti alla Dichiarazione Non Finanziaria. Restano sulla tabella di marcia originaria.
  • Wave 2 – Seconda ondata: grandi imprese non comprese nella Wave 1 ma che superano almeno due parametri dimensionali (utili, fatturato, occupati). Entrata in vigore rinviata al 2027.
  • Wave 3 – Terza ondata: pmi quotate (escluse le microimprese) e altre categorie specifiche. Obbligo posticipato al 2028.

Il 9 agosto 2025, con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della Legge n. 118/2025, il rinvio è diventato ufficiale. Ora il vero nodo per le imprese non è più “quando” iniziare, ma come usare il tempo guadagnato per arrivare preparate.

Le tre ondate della CSRD

La distinzione in “Wave” è stata introdotta per gestire in modo scaglionato l’entrata in vigore della Csrd e ridurre l’impatto immediato sugli operatori. La Wave 1 comprende circa un migliaio di grandi imprese italiane, già obbligate a presentare una Dichiarazione Non Finanziaria secondo la Nfrs, la Non-Financial Reporting Directive (la normativa europea che, prima dell’arrivo della Csrd, disciplinava l’obbligo di rendicontazione non finanziaria per alcune grandi imprese e gruppi, ndr). Si tratta di enti di interesse pubblico con oltre 500 dipendenti, in gran parte quotati e con forte presenza internazionale. I nomi sono noti: Eni, Enel, Intesa Sanpaolo, UniCredit, Poste Italiane, A2A, Acea, Assicurazioni Generali, Pirelli, Terna, Hera, Leonardo. Per loro, il primo report Csrd dovrà essere pubblicato nel 2025 e riguarderà l’esercizio 2024.

La Wave 2 amplia il perimetro alle grandi imprese e alle società madri che, pur non rientrando nella Wave 1, superano almeno due dei tre criteri dimensionali fissati dalla direttiva: utili superiori a 25 milioni di euro, fatturato netto oltre 50 milioni e più di 250 dipendenti. Per queste aziende, il “Stop the Clock” sposta l’obbligo di pubblicazione al 2027.

La Wave 3 chiude il cerchio con le pmi quotate (escluse le microimprese) e alcune categorie specifiche come enti finanziari “piccoli e non complessi” e imprese di assicurazione o riassicurazione captive. Il loro obbligo slitta al 2028. Secondo le stime, entro quell’anno la Csrd interesserà in totale 4mila-5mila imprese italiane.

Il pacchetto di rinvii non riduce l’ambizione della direttiva, ma concede margini per rafforzare la capacità operativa delle aziende. Adam Szłapka, ministro polacco degli Affari dell’Unione europea, ha dichiarato che l’obiettivo è “ridurre la burocrazia, garantire la certezza del diritto alle nostre imprese e rendere l’Ue più competitiva”.

Cosa deve entrare nella rendicontazione di sostenibilità

Il testo normativo aggiornato non si limita a rinviare le date, ma conferma e dettaglia i contenuti della rendicontazione di sostenibilità. Le imprese obbligate dovranno includere elementi chiave per capire l’impatto dell’azienda su ambiente, società e governance, e viceversa. Le informazioni obbligatorie coprono:

  • resilienza del modello di business rispetto ai rischi Esg: valutazione dei rischi e delle opportunità legati alla sostenibilità, compatibilità con gli obiettivi climatici Ue e l’Accordo di Parigi, piani di transizione e relativi investimenti;
  • obiettivi di riduzione delle emissioni (almeno al 2030 e 2050) con indicatori misurabili;
  • politiche Esg e sistemi di incentivazione collegati: ruolo degli organi di amministrazione e controllo, competenze specifiche, sistemi di incentivi legati alla sostenibilità;
  • procedure di due diligence: processi per individuare e mitigare impatti negativi lungo la catena del valore, dai fornitori ai rapporti commerciali;
  • rischi e dipendenze legati alla sostenibilità, con strategie di gestione.

Per i primi tre esercizi è prevista una certa flessibilità: se alcune informazioni sulla catena di fornitura non sono disponibili, sarà possibile motivarne l’assenza e indicare un piano per ottenerle. Sono presenti anche deroghe per pmi quotate ed enti di minori dimensioni, che potranno limitare la disclosure a una versione ridotta (modello e strategia aziendale, politiche, impatti principali, rischi e indicatori essenziali).

La rendicontazione dovrà essere pubblicata in formato elettronico standardizzato (Esef) e, in caso di omissioni, sarà obbligatorio motivare esplicitamente la scelta. La Consob avrà poteri di verifica e potrà intervenire in caso di non conformità.

Opportunità e rischi del rinvio

Per le aziende delle Wave 2 e 3, il rinvio è un’opportunità. La finestra extra può essere usata per rafforzare la governance dei dati Esg, digitalizzare la raccolta e la validazione delle informazioni, e formare il personale coinvolto. È anche il momento per testare strumenti di calcolo, adottare standard riconosciuti come Gri ed Esrs, e impostare processi di revisione interna coerenti con le best practice della Wave 1.

Il rovescio della medaglia è che il rinvio può rallentare l’adozione di standard di misurazione e la maturazione di competenze specifiche, soprattutto nelle pmi, dove la cultura del reporting non finanziario è ancora in fase embrionale. Chi attende passivamente fino al 2027 rischia di arrivare con processi improvvisati, aumentando i costi e l’esposizione a errori. Sul piano competitivo, chi sfrutta il tempo per integrarsi nei mercati internazionali allineandosi agli standard Esg potrà presentarsi con un vantaggio reputazionale e operativo. Per gli altri, la proroga rischia di trasformarsi in un freno autoimposto.

Dal pacchetto “Omnibus” alla revisione delle soglie

Lo “Stop the Clock” è parte del pacchetto “Omnibus I” della Commissione europea, varato a febbraio 2025 per semplificare la normativa in materia di sostenibilità. L’atto legislativo prevede non solo il rinvio della Csrd per le ondate successive alla prima, ma anche lo slittamento di un anno della Corporate Sustainability Due Diligence Directive (Csddd) per le imprese più grandi. L’obiettivo politico è guadagnare tempo per rivedere le soglie dimensionali della Csrd e per definire modifiche sostanziali.

Il Consiglio Ue e il Parlamento hanno dato priorità alla misura per rispondere alle richieste arrivate dal Consiglio europeo e formalizzate nella “dichiarazione di Budapest” dell’8 novembre 2024, che invoca una “rivoluzione di semplificazione” normativa per garantire un quadro chiaro e ridurre drasticamente gli oneri, in particolare per le pmi.

Il dibattito resta aperto: da un lato c’è la pressione per ridurre gli oneri amministrativi, dall’altro la necessità di mantenere l’Ue leader nella transizione sostenibile. Entro il 31 ottobre 2028, Ministero dell’Economia e Consob dovranno presentare uno studio sui costi e benefici della Csrd, tenendo conto anche delle esperienze degli altri Stati membri.

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