Da plastica ad amminoacido: il riciclo di valore dall’Università dell’Insubria

Lo studio, pubblicato sulla rivista ACS Catalysis
6 Novembre 2025
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Bottiglie di plastica

Trasformare la plastica in molecole di alto valore oggi è possibile. Ad annunciarlo è un gruppo di ricercatori dell’Università dell’Insubria, a Varese, in Lombardia, il quale ha messo a punto un processo innovativo per rendere un rifiuto una risorsa.

Lo studio, pubblicato sulla rivista ACS Catalysis descrive un avanzato metodo biotecnologico che converte il polietilentereftalato (Pet), cioè la resina termoplastica appartenente alla famiglia dei poliesteri, utilizzata comunemente per produrre bottiglie per bevande, contenitori alimentari e fibre tessili, delle bottigliette di plastica, in amminoacidi puri, con elevato valore commerciale.

Lo studio dell’Insubria

A condurre la ricerca è stata la professoressa Elena Rosini, sotto la coordinazione del professor Loredano Pollegioni, delegato di Ateneo per la Ricerca e innovazione tecnolocia e responsabile del progetto ProPla, finanziato da Fondazione Cariplo. I ricercatori del laboratorio The Protein Factory 2.0, il cui team ha coinvolto anche i professori Gianluca Molla e Umberto Piarulli, Prorettore vicario, ha ideato una “catena enzimatica” composta da dodici enzimi provenienti da quattro diversi microrganismi, in grado di degradare il Pet nei suoi monomeri e di convertirli, attraverso passaggi successivi, nell’amminoacido alanina.

Il risultato? Un traguardo pionieristico nella bioeconomia circolare: materiali di scarto e inquinanti si sono dimostrati in grado di diventare composti preziosi grazie a sistemi enzimatici e microbici ingegnerizzati e processi sostenibili.

Riciclare la plastica in amminoacidi

L’importanza di riciclare la plastica è più che mai oggi evidente. Il suo accumulo globale ha rappresentato nel corso degli ultimi anni un problema crescente. La produzione è destinata a superare i 33 miliardi di tonnellate entro il 2050. Si preannunciano possibili conseguenze per gli ecosistemi terrestri e marini.

Inoltre, anche la salute dell’uomo è messa in discussione. Diverse ricerche hanno dimostrato che nano e microplastiche sono contenute negli organi umani, come placenta e testicoli, mettendo a rischio anche la salute dei neonati. In questo contesto, la ricerca dell’Università dell’Insubria si pone come un faro di speranza: non solo è possibile ridurre l’inquinamento da plastica, ma la si può anche trasformare in una risorsa preziosa.

Gli amminoacidi che ne derivano sono la L-alanina e la D-alanina, con un mercato globale stimato rispettivamente in 146 milioni di dollari e 153 milioni di dollari nel 2024.

Gli amminoacidi della plastica

Gli amminoacidi L-alanina e D-alanina sono spesso impiegati in campo farmaceutico, cosmetico e alimentare. La prima funge da fonte di energia, convertita in glucosio nel fegato per sostenere il metabolismo e la performance fisica, specialmente quando le riserve di carboidrati sono basse. La seconda è un componente essenziale del peptidoglicano, una proteina che forma la parete cellulare di molti batteri e agisce come neurotrasmettitore in alcuni casi, come la D-serina che coadiuva i recettori della plasticità sinaptica, memoria e apprendimento, nel cervello dei mammiferi.

“È un esempio concreto di valorizzazione enzimatica della plastica – ha sottolineato la professoressa Rosini –. Siamo riusciti a realizzare l’intera conversione del Pet in composti di alto valore tramite un processo completamente green. Questo dimostra che la plastica può diventare una risorsa, non solo un rifiuto”.

“Questo studio – ha sottolineato Pollegioni – apre la strada a una nuova generazione di processi biotecnologici capaci non solo di eliminare i rifiuti, ma anche di produrre molecole di interesse farmaceutico, cosmetico e alimentare”.

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